Disimpegno: primi bilanci con un occhio al futuro

Lopinione a confronto di due ministri israeliani.

image_855Come verrà giudicato a posteriori, fra un anno o due, il disimpegno israeliano dalla striscia di Gaza? Quali saranno i criteri per valutarne il risultato? Fondamentalmente due: uno, se il terrorismo continuerà e su che scala; due, se Gaza diventerà un modello positivo per la futura indipendenza palestinese e cosa accadrà in Cisgiordania.
Il ministro delle difesa israeliano Shaul Mofaz ritiene che il processo politico debba essere temporaneamente sospeso. Ora è il momento di leccarsi le ferite, di ricomporre le fratture e le incomprensioni, di ripristinare il Likud. Mofaz non intende abbandonare il suo partito per altre avventure politiche.
A differenza dell’ex ministro delle finanze Benjamin Netanyahu, Mofaz è convinto che il disimpegno migliorerà la sicurezza d’Israele. Non si aspetta certo che il terrorismo scompaia, ma si aspetta che venga trasferito in Cisgiordania dove le Forze di Difesa israeliane dispongono di maggiore flessibilità operativa. La principale minaccia che continuerà a venire dalla striscia di Gaza saranno i lanci di missili Qassam. Comunque, secondo Mofaz, dopo il disimpegno Israele avrà ancora a sua disposizione una serie di strumenti militari ed economici con cui potrà esercitare una effettiva azione deterrente rispetto ai Qassam. Più si svilupperà l’economia palestinese, più sarà sensibile alla pressione economica. Se i palestinesi avranno un porto marittimo, dovranno preoccuparsi che non venga bloccato da Israele come reazione ad attentati terroristici. E se non basterà, Israele ha abbastanza strumenti militari per esercitare pressione dall’esterno della striscia di Gaza.
Il ministro della difesa israeliano dice che il disimpegno offre all’Autorità Palestinese un’opportunità, obbligandola di fatto ad affrontare la prova. Mofaz confida molto nel piano economico formulato da James Wolfensohn, l’inviato speciale del Quartetto Usa-Ue-Russia-Onu per lo sviluppo di Gaza dopo lo sgombero. In questo sta la possibilità di rafforzare il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a fronte di Hamas. Tuttavia, l’Autorità Palestinese dovrà dimostrare di essere in grado di adottare le norme di comportamento di un futuro stato, garantendo “una sola autorità, una sola legge, un solo esercito”, come ha promesso Abu Mazen. Il proseguimento del processo politico ne verrà di conseguenza.
Mofaz vorrebbe che Israele mantenesse il controllo sul passaggio fra Egitto e striscia di Gaza almeno per un primo periodo provvisorio, finché non sarà chiaro che l’Autorità Palestinese si sta stabilizzando ed è in grado di assumersi responsabilità di governo e di sicurezza. Il suo principale avversario nelle discussioni sul “day after” è il vice primo ministro Shimon Peres, che invece vorrebbe aprire il passaggio il più rapidamente possibile.
Secondo il punto di vista di Peres, i controlli di sicurezza a Rafah dovrebbero essere effettuati da una terza parte, possibilmente europea. Contesta l’idea di Mofaz di spostare il passaggio a Kerem Shalom. Peres non è impressionato dalla minacce ai palestinesi di staccare Gaza dall’unificazione delle procedure doganali che esiste fra Israele e territori. A suo dire, chi fa questa minaccia fa solo scena, giacché anche per Israele è importante mantenere la struttura doganale e non creare a Gaza “un’enorme area duty-free senza gara d’appalto”.
Peres ritiene che Israele dovrebbe porre fine a ciò che resta della sua amministrazione a Gaza il più rapidamente possibile, senza continuare a controllare i passaggi fino a quando sarà costruito un porto palestinese indipendente. Due anni così sarebbero, a suo modo di vedere, un’eternità. Se non aumenteranno i movimenti di passaggio, Gaza resterà soffocata.
Peres ritiene che saranno le forze economiche a dettare la fattibilità di stabilire uno stato palestinese. L’interesse d’Israele, a suo parere, è quello di assistere i palestinesi nella creazione di una moderna economia indipendente, perché una striscia di Gaza pervasa da privazioni e povertà rappresenta un pericolo per Israele.
Peres considera l’attuale sgombero dalla striscia di Gaza come una fase di un processo che deve continuare anche in Cisgiordania. La sfida sarà quella di creare una maggioranza dell’opinione pubblica che appoggi un altro ritiro, e questa sarà la piattaforma programmatica dei laburisti per la campagna elettorale.
Secondo Peres, il successo del disimpegno risiede nell’assenza di qualunque insediamento nella striscia di Gaza. Se Gaza diventerà un esportatore di terrorismo, le Forze di Difesa israeliane potranno anche tornare, ma non torneranno gli insediamenti. Le forze armate erano a Gaza al solo scopo di proteggere gli insediamenti, una situazione simile a quella che esiste in Cisgiordania.
Questa è anche l’opinione dei consiglieri del primo ministro israeliano Ariel Sharon. A loro modo di vedere, il successo del disimpegno risiede nel fatto che nessun israeliano verrà più ucciso nella striscia di Gaza e che verranno risparmiate le sostanziose spese che erano necessarie per mantenere una divisione rafforzata a salvaguardia degli insediamenti.
Secondo sia Sharon, che Mofaz e Peres, Israele ha già iniziato a beneficiare dell’iniziativa del disimpegno. Ha ottenuto supporto internazionale, la lettera del presidente Bush che promette il controllo israeliano sui maggiori blocchi di insediamenti in Cisgiordania, un maggiore sostegno al piano della Road Map con la sua richiesta che i palestinesi smantellino le strutture terroristiche.
Israele ha dimostrato d’essere capace di decidere lo sgombero di insediamenti e di attuare la sua decisione, cosa che in precedenza veniva messa in dubbio. Ora l’onere della prova passa ai palestinesi.

(Aluf Benn su: Ha’aretz, 21.08.05)

Nella foto in alto: Una recente riunione del governo israeliano