Dividere Gerusalemme equivale a uccidere Gerusalemme

Ecco perché sarebbe una scelta palesemente insensata e profondamente ingiusta

di David M. Weinberg

image_2793Il risultato del recente confronto Obama-Netanyahu è che la Casa Bianca vuole che Israele si muova rapidamente verso la divisione di Gerusalemme. Purtroppo, però, il diffuso assunto secondo cui spaccare in due Gerusalemme porterebbe prosperità alla città e la pace fra ebrei e arabi è un madornale errore. In realtà, dividere Gerusalemme distruggerebbe la città, che ne morirebbe sotto ogni aspetto: culturale, economico e non solo. Sul piano politico, poi, la scissione fra sovranità araba e sovranità ebraica farebbe di Gerusalemme il bersaglio del conflitto mediorientale: e la città si ritroverebbe peggio messa della Belfast dei tempi peggiori.
Il primo motivo è che qualunque sezione della città ceduta al controllo arabo diventerebbe immediatamente epicentro della feroce guerra che si combatte all’interno del mondo arabo su modi di vita, ideologia e legittimità islamica. Chi esattamente dovrebbe governare nella parte araba di Gerusalemme est? Il declinante movimento nazionale laico palestinese (il cui potere in Cisgiordania è nel migliore dei casi assai incerto), o l’estremismo islamista di Hamas (che persegue apertamente la distruzione di Israele), o le forze suicide affiliate ad al-Qaeda (la cui forza sta crescendo nei territori), o il sempre più estremista e violento movimento arabo-islamico israeliano (che è stata la forza principale dietro ai recenti disordini al Monte del Tempio di Gerusalemme), o i giordani (che accampano solidi titoli per la leadership araba su Gerusalemme in base al trattato di pace del 1994 con Israele), o i marocchini (che sono alla testa del Supremo Comitato per Gerusalemme della Lega Araba), o i sauditi (che considerano se stessi gli autentici custodi dei luoghi santi islamici)?
Ciascuna di queste forze cercherebbe di affermare la propria supremazia e di rafforzare la propria legittimità nel mondo arabo attraverso il controllo della Gerusalemme araba e aggredendo ciò che rimarrebbe della Gerusalemme ebraica. Quale miglior prova della propria lealtà alla causa islamica che attaccare la residua presenza israeliana nella città? Con le basi operative nella metà orientale della città (i cui quartieri non sarebbero più sotto controllo di sicurezza israeliano) – località che si trovano letteralmente a pochi metri dalle case e dai centri governativi e commerciali israeliani – tale terrorismo apparirebbe davvero molto fattibile, e irresistibilmente allettante.
Così, se la città venisse irresponsabilmente recisa in due metà, inevitabilmente morirebbe di morte lenta. Quale famiglia israeliana andrebbe più il venerdì sera, a piedi e coi bambini, al Muro Occidentale (il cosiddetto muro del pianto) attraversando vicoli e posti di blocco controllati dalla polizia palestinese? Quale gruppo di giovani ebrei della diaspora andrebbe più fra i negozi dell’isola pedonale di Mamilla, esattamente sotto la Porta di Giaffa, con i tiratori scelti palestinesi o della Lega Araba piazzati sulle sovrastanti mura della Città Vecchia? Quale gruppo di cristiani americani sfilerebbe più lungo le stazioni della Via Crucis nei quartieri cristiano e musulmano di Gerusalemme vecchia, con le pattuglie della “polizia morale” di Hamas o saudita mandata a molestare le donne? Quale azienda hi-tech investirebbe più a Gerusalemme quando i razzi Qassam iniziassero ad abbattersi dal quartiere arabo di Sheikh Jarrah sul parco industriale di Har Hotzvim?
Il mondo ha bisogno che gli si ricordi una fatto molto semplice: è solo il completo controllo israeliano dell’intera città che impedisce a Gerusalemme di diventare un calderone violento del conflitto interno a un mondo arabo e islamico esplosivo, e di trasformarsi nel barile più infiammabile che si sia mai immaginato del conflitto arabo-israeliano. Non esiste al mondo forza di pace “neutrale” che potrebbe compiere un lavoro più serio e più efficace di quello delle Forze di Difesa e della forze di sicurezza israeliane nel tenere i terroristi fuori da Gerusalemme.
Non c’è assolutamente nulla nell’esperienza concreta che giustifichi l’illusione che dei governatori arabi a Gerusalemme rispetterebbero l’alto standard israeliano di libertà di culto nella città per tutte le religioni. Non esiste nessun paese arabo o islamico in Medio Oriente dove cristiani ed ebrei possano gestire liberamente le proprie istituzioni religiose. Sotto i regimi dell’Autorità Palestinese e di Hamas, i cristiani di Cisgiordania e Gaza sono stati braccati, terrorizzati, cacciati. La Betlemme cristiana praticamente non esiste più da quando è passata sotto controllo palestinese. La Chiesa della Natività è stata profanata da terroristi musulmani palestinesi che, nel 2002, ne fecero un covo armato. Chi proteggerebbe le chiese di Gerusalemme dal subire la stessa sorte sotto un regime islamico? Sinagoghe e luoghi santi ebraici a Gerico e Nablus (in Cisgiordania) e a Gush Katif (nella striscia di Gaza) non hanno avuto destino migliore: sono stati devastati e dati alle fiamme sotto gli occhi della polizia palestinese. Sotto il regime giordano, agli ebrei non era nemmeno permesso raggiungere i loro luoghi santi a Gerusalemme est, mentre migliaia di plurisecolari tombe ebraiche sul Monte degli Olivi venivano profanate e le lapidi usate per pavimentare strade e latrine. Come si potrebbe impedire tutto questo sotto un regime palestinese?
La verità è che non sarebbe possibile. Né gli ipotetici governanti arabi di Gerusalemme est che il presidente Barack Obama è così ansioso di insediare, né la comunità internazionale custodirebbero adeguatamente gli interessi ebraici e cristiani a Gerusalemme. Israele è l’unico custode di Gerusalemme che si sia dimostrato affidabile e responsabile.
E già che siamo in argomento, c’è da dire un’altra verità politicamente “scorretta”: Israele ha la necessità e la volontà di sviluppare Gerusalemme come una città vitale e affascinante, vero cuore dell’antico popolo ebraico e del moderno stato d’Israele. Arabi e palestinesi, invece, non sono realmente interessati a Gerusalemme: non lo sono mai stati. In realtà, vedrebbero come un trionfo il fatto in sé che fosse persa dagli ebrei, anche a costo di distruggerla a tal punto, nel corso del conflitto, da lasciarla in rovina per mille anni. Ecco una ragione in più per non lasciare che Gerusalemme venga spezzettata coi palestinesi.
Come ha detto paternalisticamente ricordato il segretario di stato Usa Hillary Clinton, “bisogna dire la verità, quando è necessario”. Giusto. E la verità è che Gerusalemme è fiorita sotto Israele, non prima. In egual misura per ebrei, musulmani, cristiani, studiosi, religiosi, artigiani, architetti, artisti, archeologi, turisti e pellegrini, gli ultimi 43 anni sono stati tempi buoni. Ed anche per i cittadini normali: mai prima, nei suoi tremila anni di storia, Gerusalemme ha esercitato una tale attrattiva per i semplici abitanti: basta vedere l’incredibile domanda residenziale e i prezzi delle abitazioni schizzati alle stelle.
Israele ha sviluppato la città giudiziosamente, trasformandola da una cittadina depressa in una splendida metropoli, e l’ha accortamente mantenuta aperta a tutte le fedi, ampliando le opportunità per ogni culto. La oculata custodia israeliana ha tenuto a freno le sempre latenti tensioni nazional-religiose della città. Con poche eccezioni, ha saputo gestire questa complicatissima città con sottigliezza e sensibilità.
Persino gli arabi di Gerusalemme ne convengono. Qualunque palestinese vi direbbe (in privato, naturalmente) che, nel contesto più generale delle cose, preferisce vivere in una Gerusalemme controllata da Israele che in una Gerusalemme controllata da una imam-crazia di Hamas o da quell’entità palestinese così impropriamente chiamata “Autorità” (priva com’è di autorità e di democrazia di qualunque genere). Ecco perché ben pochi arabi di Gerusalemme hanno mai partecipato ad attività terroristiche. Ecco perché ogni palestinese che ne abbia avuto la possibilità si è freneticamente affrettato verso il lato israeliano della barriera di sicurezza, dentro e attorno a Gerusalemme. Ecco perché gli arabi di Gerusalemme stanno comprando case a un ritmo vertiginoso in quartieri abitati prevalentemente da ebrei come French Hill, Pisgat Ze’ev e Talpiot.
Dunque, la scissione di Gerusalemme non solo sarebbe palesemente insensata, ma anche profondamente ingiusta nei confronti della storia ebraica e dell’amministrazione israeliana della città.

(Da: Jerusalem Post, 1.4.10)

Nella foto in alto: Domenica delle Palme a Gerusalemme