Dopo il Monte del Tempio, i palestinesi puntano ad appropriarsi della Tomba dei Patriarchi di Hebron

Abusano della procedura d’urgenza a scapito di altri paesi e non fanno che approfondire il conflitto, dice l’ambasciatore d’Israele all’Unesco

La Grotta dei Patriarchi, a Hebron

Il Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità ha in programma di discutere l’iscrizione della Città Vecchia di Hebron, compresa la Tomba dei Patriarchi, alla voce “stato di Palestina” durante la sua prossima riunione dal 2 al 12 luglio a Cracovia, in Polonia. “Non è che un nuovo fronte della guerra per i luoghi santi che i palestinesi tentano di appiccare come parte della loro campagna propagandistica contro Israele e la storia del popolo ebraico” dice l’ambasciatore d’Israele all’Unesco, Carmel Shama HaCohen. E aggiunge: “Israele rispetta la sensibilità musulmana e garantisce libertà di culto, ordine e sicurezza, manutenzione ordinaria e sviluppo delle strutture in cui si trovano i siti sacri. Non solo l’essenza stessa della loro richiesta è offensiva, ma anche il modo in cui calunniano Israele accusandolo di cose mai accadute”.

Il Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità opera sotto l’egida dell’organizzazione Onu per l’educazione, la scienza e la cultura. Negli ultimi tre anni Israele ha dovuto battersi duramente all’Unesco per impedire ai palestinesi di riclassificare lessicalmente il luogo più sacro dell’ebraismo, il Monte del Tempio, come sito religioso esclusivamente musulmano sotto il nome di al-Haram al-Sharif. “Siamo ora di fronte a una chiara continuazione degli attacchi e delle votazioni all’Unesco vergognosamente allucinate su Gerusalemme, il Monte del Tempio e il Muro Occidentale (“del pianto”)”, spiega Shama HaCohen.

L’Unesco ha riconosciuto la Palestina come “stato” nel 2011, il che ha permesso all’Autorità Palestinese di inscrivere due siti nell’elenco del patrimonio mondiale dell’umanità: la Chiesa di Betlemme nel 2012 e le colline terrazzate di Battir nel 2014. In entrambi i casi l’Autorità Palestinese ha accelerato le candidature sostenendo che i siti fossero in pericolo, e l’argomento venne accetto sotto pressione della lobby dei paesi arabo-musulmani nonostante il parere negativo del comitato professionale preposto.

Fino a quando la Tomba dei Patriarchi è rimasta sotto controllo arabo-islamico, agli ebrei era proibito avvicinarsi e pregare più in là del settimo gradino della scala esterna

Ora l’Autorità Palestinese sta facendo lo stesso per quanto riguarda la Città Vecchia di Hebron, che comprende la struttura erodiana della Tomba dei Patriarchi (o Grotta di Machpela) che ospita sia luoghi di culto ebraici che la moschea Ibrahimi. Se il Comitato di 21 membri approverà la richiesta dell’Autorità Palestinese, per la prima volta un luogo santo ebraico sotto controllo israeliano verrà registrato come “stato di Palestina”.

Il Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Umanità ha pubblicato una settimana fa l’elenco dei 35 siti che intende prendere in considerazione, inclusa Hebron (sebbene sul sito Unesco non siano ancora comparsi i documenti palestinesi a supporto della candidatura né la valutazione tecnica del competente sottocomitato professionale). Shama HaCohen dice che Israele si sta adoperando già da un mese presso i membri della commissione, presentando una serie di argomenti contrari.

Sin dalla Bibbia, che parla dell’acquisto da parte di Abramo, la Tomba dei Patriarchi e in generale la città di Hebron sono il secondo sito più sacro dell’ebraismo dopo il Monte del Tempio di Gerusalemme e il suo Muro Occidentale. L’iscrizione del sito a nome dei palestinesi è discutibile anche sul piano diplomatico giacché l’area è sotto il controllo israeliano in base al Protocollo di Hebron firmato nel 1997 da Israele e Autorità Palestinese. Inoltre, i palestinesi fanno continuo ricorso alla procedura d’urgenza a scapito di altri paesi che spesso devono lavorare molti anni per soddisfare tutti i requisiti necessari alle candidature. “In realtà, il sito non corre nessun pericolo” sottolinea Shama HaCohen. Anzi, Israele collabora con le autorità religiose di Hebron per quanto riguarda la manutenzione e le riparazioni del sito e per garantire l’accesso ai fedeli musulmani alla moschea Ibrahimi. Infine, ma non meno importante, la registrazione di siti utilizzati congiuntamente da israeliani e palestinesi dovrebbe attendere fino a quando non ci sarà un accordo sullo status finale che ponga fine al conflitto in tutti i suoi aspetti. Ciò consentirebbe sia a Israele che ai palestinesi di chiedere congiuntamente l’iscrizione del sito, dice Shama-HaCohen, aggiungendo che registrare il sito a nome di una sola delle parti prima dell’accordo finale serve solo per inasprire il conflitto.

In una lettera inviata al direttore generale dell’Unesco Irina Bokova per dire quanto è importante che l’Unesco “difenda la verità”, i presidenti delle principali organizzazioni ebraiche americane hanno anche ricordato che gli stessi rappresentanti palestinesi, compreso il capo del Wakf islamico di Hebron e del Wakf della Grotta dei Patriarchi, hanno elogiato il grado di cooperazione delle autorità israeliane responsabili per la sicurezza di questi siti sacri a Hebron e le misure di pubblica sicurezza a tutela di tutti i fedeli. “I leader religiosi palestinesi hanno riconosciuto pubblicamente il rispetto di Israele per la libertà di culto di tutti e hanno espresso apprezzamento per la sensibilità mostrata dalle autorità israeliane nel rispondere alle speciali richieste palestinesi” hanno scritto i due autori della lettera, Stephen M. Greenberg e Malcolm Hoenlein, a nome della Conferenza dei presidenti degli enti ebraici americani.
I 21 membri del Comitato che dovranno prendere la decisione sono: Angola, Azerbaigian, Burkina Faso, Croazia, Cuba, Finlandia, Indonesia, Giamaica, Kazakistan, Kuwait, Libano, Perù, Filippine, Polonia, Portogallo, Sud Corea, Tunisia, Vietnam e Zimbabwe. Per impedire l’iscrizione, Israele deve ottenere il voto di almeno un terzo dei paesi: un obiettivo che allo stato attuale appare quasi impossibile.

(Da: Jerusalem Post, YnetNews, 16.6.17)