Dopo queste tormentate giornate dagosto

Alla fine resta qualcosa che solo poco fa poteva sembrare unimprobabile speranza.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_861Scrive Haaretz: Come è accaduto la scorsa settimana nella striscia di Gaza, anche nello sgombero degli ultimi due in sedimenti di Homesh e di Sa-Nur, in Cisgiordania, i timori della vigilia per eventuali gesti disperati o di estrema violenza si sono rivelati infondati. Nonostante la concentrazione nei due insediamenti di estremisti anti-ritiro non residenti venuti da fuori, alla fine ha prevalso la comprensione del fatto che lo sgombero era ormai un fatto compiuto e che ferire i soldati e i poliziotti non avrebbe aiutato in alcun modo la protesta… Così sembra essere terminata la parte dello sgombero che riguarda i civili, ma solo dalle aree interessate. Ora aspettiamo di vedere cosa accadrà sull’altro versante della Linea Verde (ex linea armistiziale fra Israele e territori dal ’49 al ’67): il reinsediamento e il recupero degli sgomberati, e la parte che riguarda i militari a Gaza, la rimozione delle strutture e la preparazione dell’area per il suo trasferimento all’Autorità Palestinese… L’attenzione si sposta ora sul piano diplomatico e delle relazioni di scurezza tra Israele, Autorità Palestinese e soggetti internazionali come gli Stati Uniti e l’Egitto. E sul tentativo da parte dell’Autorità Palestinese di governare la striscia di Gaza sgomberata e di avviare la sua economia.

Scrive il Jerusalem Post: Alla resa dei conti i residenti sgomberati e i loro sostenitori hanno certamente mostrato tutta la loro angoscia nell’essere rimossi, ma non hanno fatto ricorso alla violenza contro i loro concittadini incaricati di dare esecuzione al piano… I coloni sono stati fatti sgomberare, ma il disimpegno non è finito. Tombe e sinagoghe attendono ancora d’essere rimosse. L’esercito ha molte responsabilità da adempiere prima d’aver completato il ritiro. E lo Stato ha un l’obbligo duraaturo da assolvere verso coloro che ha sgomberato forzatamente: garantire che vengano reinsediati nel modo più soddisfacente possibile. Per quanto possibile, dovrebbero poter ricostituirsi in comunità, e sarebbe bene per Israele saper mettere a frutto il loro spirito pionieristico. Ma alla fine di queste brevi, traumatiche giornate d’agosto ci resta qualcosa che solo pochi giorni fa poteva sembrare un’improbabile speranza: se possiamo emergere relativamente indenni da un processo così lacerante, forse allora possiamo essere capaci di trovare gli strumenti per determinare, insieme, come meglio garantire il nostro futuro e la nostra sicurezza e poi, insieme, operare insieme per arrivarci.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, 24.08.05)