Dopo Riad

Se gli stati arabi vogliono la pace con Israele, perché rifiutano incontri e negoziati?

M. Paganoni per NES n. 4, anno 19 - aprile 2007

image_1656“L’iniziativa di pace araba del marzo 2002 – scrive Gerald Steinberg (Jerusalem Post, 14.03.07) – venne presentata in risposta agli attacchi dell’11 settembre contro gli Stati Uniti, nel quadro di una massiccia campagna di pubbliche relazioni volta a limitare i gravi danni d’immagine dell’Arabia Saudita presso gli americani. Una volta raggiunto l’obiettivo, l’iniziativa scomparve senza cambiare nulla sul terreno, né gli attacchi del terrorismo palestinese né la pervasiva opera di istigazione anti-Israele e anti-Usa condotta anche con fondi sauditi”.
“All’epoca – ricorda un editoriale del Jerusalem Post (4.04.07) – l’Arabia Saudita non segnalò in alcun modo a Israele di essere seriamente intenzionata alla pace, ad esempio tagliando i finanziamenti a Hamas. Questi, anzi, nel 2003 superarono il 50% delle risorse incamerate dall’organizzazione jihadista palestinese. E non per caso i sauditi non si fecero avanti direttamente con Israele, preferendo lanciare la loro iniziativa tramite Thomas Friedman sulle colonne del New York Times. Il mezzo era il messaggio: l’iniziativa saudita non era diretta a Israele, ma all’opinione pubblica americana”.
Oggi le cose non sembrano molto migliorate. Nonostante Gerusalemme abbia segnalato per tempo quali fossero i punti più critici del testo arabo (imposizione di confini non negoziabili, riaffermazione del “diritto” dei profughi palestinesi a “palestinizzare” Israele), il summit della Lega Araba non ha ritenuto di cambiare una virgola. “Come al solito – scrive Shlomo Avineri (YnetNews, 20.03.07) – la discussione sulla risoluzione della Lega Araba si svolge lungo la tradizionale contrapposizione tra falchi e colombe rispetto al processo negoziale, senza vedere che ciò che manca del tutto, in quel documento, è proprio la disponibilità ad avviare un negoziato. La Lega Araba chiede a Israele di accettare tre richieste: il completo ritiro da tutti i territori, una ‘giusta soluzione’ basata sulla risoluzione Onu del 1949 che prevedeva il ritorno dei profughi in Israele, e un accordo per la creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania e striscia di Gaza con capitale a Gerusalemme. Una posizione araba che avanzasse queste richieste come base per colloqui negoziali con Israele sarebbe perfettamente comprensibile. Chiaramente Israele arriverebbe a quei colloqui con le sue proprie richieste, e le parti potrebbero arrivare a un accordo di compromesso. Ma la risoluzione non dice questo. Essa ribadisce le tradizionali rivendicazioni arabe e chiede a Israele di accettarle alla lettera. Successivamente (e solo successivamente) il conflitto potrà finire e iniziare la normalizzazione. Non è esattamente un ultimatum imposto a Israele, ma nella sostanza gli assomiglia molto”.
Ciò nondimeno il primo ministro israeliano Ehud Olmert – che pure gode di strettissimi margini di manovra, stretto com’è fra crollo di popolarità e guai giudiziari – ha reagito con un segnale di apertura. “Invito a un incontro tutti i capi degli stati arabi – ha dichiarato – compreso naturalmente il re dell’Arabia Saudita, che considero un leader molto importante. Non intendo dettare loro cosa dovrebbero dire, ma sono certo che capiranno che anche noi abbiamo da dire la nostra”.
L’offerta di Olmert non salta fuori dal nulla. Nelle scorse settimane si è molto discusso della possibilità di un incontro “4 più 4 più 2”, che nel gergo diplomatico indica il Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) più un “quartetto arabo” (Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti), più Israele e Autorità Palestinese. Le parole di Olmert sembrano avallare questo approccio, e con esso persino la possibilità che Israele accetti di incontrare l’attuale governo palestinese Hamas-Fatah. Ma la reazione araba è stata del tutto negativa: o Israele accetta integralmente il documento della Lega Araba, o di incontri non si parla neppure.
“Se gli stati arabi desiderano lanciare un processo di pace con Israele – si domanda il Jerusalem Post – perché non iniziare con un incontro fra i paesi che dicono di volere la pace? Non è chiaro perché questi paesi debbano rifiutare questo incontro. Dopo tutto Olmert e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) hanno deciso di incontrarsi ogni due settimane. Perché il re saudita dovrebbe boicottare Israele più di quanto non faccia Abu Mazen?”.
E conclude: “Il vero ostacolo a questo processo è la volontà saudita di non fare assolutamente nulla che vada oltre un gesto minimo verso Israele. I sauditi avrebbero potuto rilanciare la loro iniziativa nella sua versione originale prima che il vertice di Beirut del 2002 la peggiorasse. Avrebbero potuto appoggiare l’incontro 4 più 4 più 2. Avrebbero potuto fare qualche passetto verso la normalizzazione con Israele. Ma non hanno fatto nulla di tutto questo. Dal che si può concludere che non sono seriamente interessati ad arrivare alla pace, quanto piuttosto a sembrare interessati alla pace. Nel migliore dei casi, si può supporre che, non avendo ancora deciso se i venti della regione soffiano a favore dell’Iran o degli Stati Uniti, i sauditi come al solito stanno cercando di tenere il piede in due staffe”.