Dove si incaglia il processo di pace

Dire che spetta a Bush far avanzare il processo di pace equivale a dire che non spetta agli arabi farlo

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1955“Aspetteremo di vedere che cosa offrono gli Stati Uniti durante l’imminente visita del presidente Bush – ha dichiarato domenica il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa – Bush, in quanto colui che convocò la conferenza di Annapolis, ha la responsabilità di far avanzare il processo”.
Ancora una volta gli israeliani contrari a qualunque concessione territoriale possono dormire sonni tranquilli: i leader arabi sembrano ancora una volta impegnati a condannare il processo al fallimento, aspettando eternamente che qualcun altro al loro posto lo faccia avanzare.
Dichiarare che spetta a Bush far avanzare il processo equivale a dichiarare che non spetta ai paesi arabi farlo. Secondo la concezione, purtroppo assai duratura, che ha la leadership araba del processo di peacemaking, la responsabilità spetta sempre a qualcun altro e la colpa degli insuccessi ricade sempre su qualcun altro.
Non è che sottolineiamo le parole di Amr Moussa nella convinzione che Moussa o la Lega Araba siano politicamente importanti per questo processo. Non lo sono. Ma le parole di Amr Moussa sono un’eco precisa dell’opinione universale fra i leader arabi: una mentalità che ha già contribuito a decenni di falliti “processi di pace” in Medio Oriente, e che con tutta probabilità segnerà il destino anche di quest’ultima iniziativa.
Per fare la pace, bisogna che entrambe le parti di un conflitto capiscano di dover ammettere che qualche misura di ragione sta anche dall’altra parte. Come l’opinione pubblica israeliana ha impiegato gli anni ’90 per accettare la legittimità dell’autodeterminazione palestinese, allo stesso modo arabi e palestinesi dovrebbero intraprendere un analogo percorso culturale e intellettuale.
Se il mondo arabo continua a demonizzare Israele e a delegittimare la sostanziale e riuscita aspirazione ebraica all’autodeterminazione nella sua patria storica, quello che di fatto dichiara è che le sue stesse aperture di pace costituiscono una adesione alla malvagità sionista. In questo senso, il discorso di Fatah e Lega Araba rinforza anziché contrastare l’intransigenza e la violenza di Hamas. E’ una trappola che si costruiscono da sé, e che distruggerà ogni iniziativa di pace che non contempli innanzitutto il riconoscimento da parte araba dei diritti nazionali ebraici in Terra d’Israele.
Non è George Bush ad essere responsabile di fare la pace tra ebrei e arabi. Lo sono gli ebrei e gli arabi, compresi Amr Moussa e tutti gli altri leader, e i popoli di cui sono alla guida.
In Israele vediamo ancora una volta un primo ministro impegnato, a ragione o a torto, a preparare l’opinione pubblica a dolorose concessioni. La scorsa settimana Ehud Olmert ha parlato a questo stesso giornale di concessioni su Gerusalemme, parole che hanno avuto forte eco nel paese e nell’intero mondo ebraico. Sull’altro versante, invece, vediamo tutti i leader arabi, senza eccezione, che continuano a predicare che gli arabi non hanno bisogno di ripensare nulla, che le concessioni israeliane sono tutte dovute per via dell’iniquità d’Israele, e che sul versante israeliano non c’è alcun diritto, ma solo potere.
Ad Amr Moussa, a Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e a tutti i loro colleghi vogliamo dire questo: cercate di non cadere ancora una volta nella trappola che segna il destino di questo processo da quasi una generazione. Dal punto di vista del (mancato) riconoscimento che c’è qualche ragione anche dalla parte del sionismo, e che pertanto le vostre iniziative di pace non sono un compromesso col demonio, per come stanno ora le cose non c’è grande differenza fra la vostra leadership “moderata” e gli estremisti jihadisti genocidi di Hamas. Siete tutti d’accordo che Israele è irrimediabilmente sbagliato; semplicemente non siete d’accordo sulla condotta da tenere. E allora, come potete giustificare davanti alla vostra gente il fatto di fare la pace con Israele?
Al presidente George Bush e al segretario di stato Condoleezza Rice vogliamo dire che questo è l’errore della diplomazia americana, l’invisibile intralcio negli ingranaggi delle vostre iniziative, che le ha condannate sin dall’inizio e che ha condannato tutte le iniziative americane sin da quando ha iniziato a prender forma il paradigma “due popoli-due stati”. Questa non è una battaglia sulle linee da tracciare sulle mappe. È innanzitutto una battaglia che ha luogo nei cuori e nelle menti.
Se l’amministrazione americana e il resto della comunità internazionale vogliono avviare un serio processo di pace, dovrebbero iniziare prendendo alcuni di quei 7,8 miliardi di dollari stanziati per il proto-stato palestinese e investirli per insegnare ai palestinesi la verità sui legami fra gli ebrei e questa terra, per insegnare loro che lo stato ebraico si fonda su un’autentica, sostanziale volontà nazionale, e che non deve stupire il fatto che gli israeliani, i quali pure non sono sempre capaci di definire e argomentare filosoficamente la loro libera identità nazionale ebraica, sono tuttavia pronti a morire per difenderla.
Il rifiuto di riconoscere la legittimità d’Israele, il tentativo arabo e palestinese di relegare gli israeliani al di fuori del concetto di legittima nazionalità significa sottrarsi a quella nozione di autodeterminazione che i palestinesi stessi proclamano, quando rivendicano uno stato palestinese.
Il mondo deve esigere la cessazione dell’istigazione araba contro il progetto nazionale ebraico: è il prerequisito di qualunque vero e duraturo riconoscimento della legittimità e dell’esistenza d’Israele.

(Da: Jerusalem Post, 8.01.08)

Nel disegno in alto: Un esempio della consueta propaganda sulla stampa araba che demonizza Israele e il “complotto ebraico mondiale”