E’ dura essere cristiani in Israele, ma non per colpa del governo o degli ebrei

"Noi vediamo e apprezziamo l'opportunità di vivere una vita pienamente libera e cristiana nello stato ebraico"

Di Padre Gabriel Nadaf

Padre Gabriel Nadaf, autore di questo articolo

Padre Gabriel Nadaf, autore di questo articolo

Il mio nome è Gabriel Nadaf e ho il privilegio di essere un sacerdote greco-ortodosso originario di Nazareth, in Galilea. La mia gente è stata erroneamente definita “arabi cristiani”, ma la realtà è che siamo aramei, discendenti di persone che hanno vissuto qui in Israele sin dai tempi biblici. Recentemente, a seguito di una lunga campagna pubblica, il Ministero dell’interno israeliano ci ha riconosciuti come “nazione aramea“. Partner in questo sforzo sono state diverse organizzazioni sioniste israeliane.

Negli ultimi tre anni sono diventato una figura controversa, in Israele, per il semplice motivo che io abbraccio il sionismo, la sovranità ebraica in Israele e la tolleranza, il rispetto e le opportunità che sono scaturite per tutti da quella sovranità. Ritengo che i nostri giovani – i giovani cristiani – debbano integrarsi pienamente nella società israeliana. Parte integrante di tale integrazione è il servizio di leva nelle Forze di Difesa Israeliane o altre forme di servizio civile nazionale normalmente previste dalla legge israeliana per i diciottenni.

Nel 2012, insieme ad alcuni ufficiali cristiani delle Forze di Difesa israeliane ho fondato il Forum per l’Arruolamento dei Cristiani Israeliani. I miei sforzi hanno avuto risultati contrastanti. Sul versante positivo, centinaia di giovani cristiani, arabi o aramei, hanno ascoltato il mio appello e hanno servito il proprio paese con distinzione. Sono stati accolti dai loro commilitoni, che li considerano compagni d’armi e non stranieri mescolati fra loro.

Sul versante negativo, il contraccolpo – per così dire – dei miei sforzi fra gli elementi oltranzisti delle comunità cristiana e arabo-musulmana è stato molto forte. Soldati cristiani sono stati tormentanti dai loro vicini, e in molti casi dalle loro stesse famiglie. Questi soldati si sono trovati costretti a spogliarsi delle uniformi dell’esercito prima di rientrare nelle comunità d’origine per il concreto timore d’essere fatti segno di vessazioni sulla via di casa. Nel 2012, durante una conferenza a Nazareth dei sostenitori del nostro Forum, un leader locale, l’avvocato Abir Kopty dal Mossawa Center, ha attaccato i partecipanti accusandoli di perseguitare i palestinesi, sostenendo che l’integrazione dei cristiani nelle Forze di Difesa israeliane è un tentativo di dividere la società araba nella sua “lotta nazionale contro Israele”. Dopo quella conferenza, è iniziata una campagna di molestie contro gli organizzatori. Gli studenti che avevano partecipato sono stati minacciati, isolati e fatti oggetto di ogni sorta di umiliazione attraverso i social network e sui mass-media arabi. Personalmente, le mie opinioni e le mie iniziative mi hanno procurato numerose minacce di morte, la scomunica da parte del Consiglio della Chiesa Ortodossa e l’interdizione ad entrare nella Basilica dell’Annunciazione.

Simboli cristiani sulla divisa di un soldato delle Forze di Difesa israeliane

Simboli cristiani sulla divisa di un soldato delle Forze di Difesa israeliane

Tutte queste angherie non hanno nulla a che fare con il governo israeliano o la popolazione ebraica. L’affermazione che Israele sarebbe un cosiddetto “stato da apartheid” è una totale assurdità. Le mie sfide e i miei successi sono lì a dimostrare dove stanno i veri problemi per i miei fratelli cristiani. Mi duole dirlo, ma va detto. L’istigazione contro di me, contro la mia attività e contro tutti i cristiani che cercano di integrarsi nella società israeliana è capitanata da leader arabi, in Israele e all’estero, e anche da alcuni parlamentari arabi che siedono alla Knesset. La parlamentare Hanin Zoabi mi ha scritto, su carta intestata della Knesset, accusandomi di “aiutare il nemico del popolo palestinese” e di “collaborare con le forze di occupazione”. Naturalmente, tutto questo crea un clima di istigazione contro di me e contro chiunque sia interessato a integrare la minoranza cristiana nel quadro dei servizi nazionali in Israele.

Ma queste persone sono state aiutate. Con il pretesto della difesa dei diritti umani, organizzazioni come Mossawa – finanziata dal New Israel Fund – hanno aderito alla campagna di istigazione e di accuse contro gli esponenti della comunità arabo-cristiana in Israele favorevoli all’integrazione nelle Forze di Difesa israeliane, spesso etichettate come “l’occupazione sionista”. E’ stata compilata una lista nera dei preti e dei leader cristiani che sostengono l’integrazione e la cooperazione con lo Stato di Israele, e sono state pubblicate sulla stampa araba le foto di personalità e di giovani che hanno partecipato a eventi delle Forze di Difesa israeliane, incoraggiando la violenza e mettendo chiaramente in pericolo la loro stessa vita. Mossawa non è la sola a voler negare ai cristiani il diritto di integrarsi nella società israeliana. La campagna contro l’arruolamento volontario degli arabi israeliani è condotta anche da altre organizzazioni: una campagna che contempla forti pressioni esercitate sulla stampa arabo-israeliana, ad esempio con una serie di articoli pubblicati nel 2012 sul sito “972” contro il servizio sia civile che militare; con attività scolastiche volte a insegnare ai ragazzini a non servire il loro paese; con gli sforzi di Baladna, una ong che da anni cerca di convincere i giovani arabi in Israele delle “minacce” implicite del partecipare al servizio nazionale, e quelli di Adalah, un’altra ong che si adopera per impedire che i congedati dall’esercito ricevano i sussidi per l’abitazione nelle città arabe.

Di queste organizzazioni non profit israeliane che si oppongono all’integrazione della comunità aramea nella società israeliana, alcune sono composte da arabi israeliani, altre sono di estrema sinistra e anti-sioniste. Sono ong che rifiutano Israele come patria nazionale del popolo ebraico. Vorrebbero cancellare la “legge del ritorno” e rimuovere ogni connotazione ebraica di Israele. Vorrebbero rigettare la lingua ebraica come prima lingua ufficiale, modificare la bandiera e l’inno nazionale, fare di Israele uno stato bi-nazionale. Sono organizzazioni che esortano gli arabi di Giudea e Samaria (Cisgiordania) e gli arabi che vivono in Israele a unirsi fra loro per combattere contro il sionismo. L’idea che un gruppo si sia separato da questa lotta identificandosi come arameo è, per loro, intollerabile.

Arabi israeliani in servizio cvile volontariato presso l’Ospedale Rambam di Haifa

Arabi israeliani in servizio cvile volontariato presso l’Ospedale Rambam di Haifa

Tutte queste organizzazioni sostengono di battersi per i deboli, per le minoranze che non possono difendersi da sé e che chiedono di difendere i loro diritti. Ma alla fin fine, le azioni di queste ong sollevano la questione di quali siano realmente i diritti per cui si battono, gli interessi che proteggono e quali siano i loro veri obiettivi. Chiaramente queste ong non hanno alcun interesse che gli arabi cristiani divengano parte integrante della società israeliana. Proprio come i paesi arabi che hanno usato i palestinesi nei campi profughi come pedine nella lotta contro lo Stato di Israele, così queste ong vorrebbero ridurre la mia comunità a carne da cannone per la loro guerra contro la legittimità di Israele.

Alla mia comunità viene detto, in pratica, di battersi per perpetuare la propria emarginazione dalla società israeliana, anche quando l’obiettivo del governo israeliano è quello di favorirne il pieno inserimento. Forse che la comunità cristiana non ha il diritto di seguire la propria volontà e di integrarsi, se lo desidera, nella società israeliana? No, secondo la maggior parte delle ong che si dicono votate ad aiutare la nostra comunità.

Come sacerdote, sono addolorato per questa volontà di ostacolare il benessere degli individui in nome di un’identità monolitica di gruppo le cui finalità e i cui obiettivi sono imposti da gente che può anche avere poco o nulla in comune con la comunità che dicono di rappresentare.

Nel momento in cui noi cristiani in Israele esaminano la situazione dei nostri fratelli in tutto il resto del Medio Oriente, restiamo sconvolti dalle persecuzioni che così tanti di loro hanno subito e subiscono in Egitto, in Siria, in Iraq e altrove. La verità è che soltanto in Israele noi cristiani possiamo praticare pienamente la nostra fede e possiamo essere membri produttivi della società.

Non siamo interessati a politiche ingannevoli che procurano solo danni e ostacoli. Al contrario, noi vediamo e apprezziamo l’opportunità di vivere una vita libera e perfettamente cristiana nello stato ebraico.

E’ importante che i cristiani di tutto il mondo capiscano che l’Israele ebraico è un’amministrazione responsabile verso i cristiani. Meritiamo di essere sostenuti, e non demonizzati, nei nostri sforzi per aderire maggiormente a questa società amica.

(Da: Jerusalem Post, 29.3.15)

Si veda anche:

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