E’ ora di cominciare a pensare in modo diverso

L'impossibilità della soluzione 'due stati'

Da un articolo di Dror Ze'evi

Con mio dispiacere, Netanyahu ha ragione: la soluzione ‘due stati’ non funziona. Mahmoud Abbas ci crede ancora, ma non vuole percorrere la strada richiesta per spingere perfino la sinistra israeliana ad accettare questa proposta. A parte lui, non c’è quasi nessun palestinese che creda in questa soluzione, e per strano che possa sembrare, non molti sono interessati ad essa, anche se prevalessero le condizioni pro-palestinesi più ottimali.
Al contrario di quanto avviene per il publico ebraico, l’idea di stato non è mai stata importante per la maggior parte del pubblico palestinese, in confronto a problemi come il diritto al ritorno e “veder prevalere la giustizia.” Proprio come molti arabi, i palestinesi non sono nemmeno molto elettrizzati dall’idea di un’indipendenza distinta, sia essa palestinese, giordana o siriana. Pochi ammetteranno pubblicamente che la soluzione dei due stati è l’unica possibilità, e quindi l’unico mezzo per far pressioni su Israele.
Eppure, quando viene loro richiesta una decisione, il cuore le va contro. In altre parole, anche in uno scenario improbabile in cui Abbas firmi un accordo di spartizione per due stati in una forma che Israele sia pronto ad accettare, il publico palestinese rifiuterà tale accordo e il terrorismo riemergerà presto.
Uno stato con la capitale a Ramallah o perfino alla periferia di Gerusalemme non è nei desideri di alcun palestinese di mia conoscenza. La possibilità di portare decine di migliaia di profughi in Israele, che per noi sarebbe una concessione particolarmente difficile da fare, non soddisfa nemmeno la punta dell’ iceberg quando si tratta delle aspirazioni palestinesi.
Se colleghiamo questi forti sentimenti palestinesi al fatto che Netanyahu, Barak e Yisrael Beiteinu gestiranno il governo di Israele nel prossimo decennio in una forma o nell’altra, raggiungeremo la conclusione che non c’è denominatore comune per un dialogo su due stati.
Dan Meridor e Ahmed Qureia possono continuare a stare al tavolo dei negoziati fino all’alba, e Netanyahu può anche ingannare il mondo sostenendo di aspirare ad un accordo, eppure due stati che vivano pacificamente l’uno accanto all’altro non saranno il risultato. A credito di Netanyahu bisogna ammettere che anche se Yossi Beilin fosse primo ministro, è in dubbio che si otterrebbe questo risultato.
Quindi il primo passo è quello di liberarsi dal dogma dei due stati e rendersi conto che gli accordi di Oslo non hanno più senso e che tutta l’area tra il Giordano ed il Mediterraneo –Giudea, Samaria, Gaza, la Galilea, la regione Sharon, la Piana Costiera, ed il Negev – constituiscono un solo stato. Si’, anche Rafah e Khan Younis sono parte di questo stato e sì, questo stato compie una grave e orribile discriminazione contro i palestinesi.
Netanyahu ha ragione a dire che il primo passo importante è economico. Dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per incrementare gli investimenti internazionali nelle zone palestinesi e svilupparvi l’economia..
Eppure anche se ha ragione nel valutare che la soluzione dei due stati non è realistica, la visione di Netanyahu è carente in termini di un’alternativa. Vuole egli vedere Israele perdere la sua maggioranza ebraica nel futuro? O alternativamente, si aspetta di tenere i residenti arabi senza diritti di cittadinanza per sempre?
Precisamente perché la soluzione ‘due stati’ è lontana, dobbiamo pensare al carattere futuro di questo paese ed al modo in cui possiamo migliorare la discriminazione contro i palestinesi. Molti tra noi credono che possiamo semplicemente continuare a revocare i loro diritti di cittadinanza, eppure anche se le questioni fondamentali di giustizia non sono di alcun interesse per noi, è chiaro che entro pochi anni ci trasformeremo, anche agli occhi dei nostri pochi amici, in un regime arretrato ed oppressivo peggiore della maggior parte delle dittature arabe.
Ci sono alcune idee che permetterebbero la coesistenza di palestinesi ed israeliani pur garantendo loro l’autonomia. Irlanda ed Iraq, per esempio, stanno sviluppando questi approcci, che permetterebero a due gruppi etnici di coesistere sotto lo stesso ombrello statale. La Svizzera ha migliorato il concetto dei cantoni etnici, e perfino in Kosovo abbiamo visto lo sviluppo di idee di sovranità condivisa nello stesso territorio. Alcune di queste idee possono essere applicabili anche qui. E’ venuto il momento di pensare in un altro modo.

(Da: YnetNews, 13.04.09)