Effetti collaterali della «primavera araba»

Le solite, eterne minacce a Israele per deviare rabbia e frustrazione delle masse arabe.

Di Guy Bechor

image_3633Tra gli effetti collaterali del virus della “primavera araba” vi sono le minacce e gli improperi diretti contro Israele. Si tratta di uno fenomeno abbastanza bizzarro: di questi tempi tutti i leader mediorientali, sia “moderati” che “estremisti”, minacciano e maledicono Israele. Che si tratti di Ahmadinejad e di Erdogan, i grandi estimatori del sionismo, o del consigliere di Morsi e della Fratellanza Musulmana, o dei collaboratori di Assad e dei ribelli siriani (ciascuna parte accusa Israele di aiutare l’altra, mentre nessuna delle due è di alcun interesse per Israele), di soggetti del terrorismo come Hezbollah e Hamas o dei “moderati” tipo Autorità Palestinese e Giordania, tutti danno addosso a Israele. Uno minaccia che Israele non esisterà più di qui a dieci anni, l’altro proclama che ha già finito di esistere; uno minaccia Israele coi missili e la demografia, l’altro lo minaccia con l’Onu, e il suo vice con la Lega Araba. Nessuno fa nemmeno il tentativo di essere un po’ più “politicamente corretto”, quando l’argomento è Israele: tutti si sentono autorizzati a dire qualunque cosa.
La domanda è: perché? Perché i leader mediorientali si prendono la briga di minacciare Israele quando i loro paesi deperiscono, le loro economie sono al collasso e loro stessi sono sotto la minaccia di contro-rivoluzioni, mentre le loro promesse di riforme non si materializzano mai?
La domanda contiene in sé la risposta. Per vari decenni i leader arabi e mediorientali hanno cercato di nascondere l’amara verità ai cittadini deviando la loro attenzione su Israele. Come strumento per la loro sopravvivenza hanno costruito pletorici eserciti a leva obbligatoria, che non possono più finanziare, e hanno condotto sistematiche campagne di propaganda per incolpare Israele di tutto. Per decenni le masse hanno abboccato e hanno gridato: “Morte a Israele, lunga vita al presidente”.
Ma negli ultimi due anni la verità è venuta a galla: non c’è alcun nesso fra Israele e la disastrosa condizione economica e sociale in cui versa il mondo arabo, con i gruppi etnici contro i gruppi etnici, le tribù contro le tribù, le religioni contro le religioni, la violenza e il sangue. E quelli che promettevano “l’islam è la soluzione” non hanno alcun modo di mantenere la loro quasi mistica promessa.
In altre parole, le minacce contro Israele fanno parte di un tentativo disperato, patetico, quasi grottesco di tornare ai bei vecchi tempi quando a milioni credevano in queste menzogne.
Sia chiaro, le minacce non indicano sempre una concreta intenzione di fare la guerra a Israele. I nuovi leader arabi sono ben consapevoli della forza economica e militare di Israele. Si tratta per lo più dell’ennesimo tentativo di usare Israele per indirizzare verso l’esterno la rabbia araba.
Minacce e insulti non hanno molto effetto su Israele, un paese di otto milioni di persone con l’esercito più forte del Medio Oriente e il mercato in più rapida crescita dell’Occidente. È piuttosto la stabilità dei regimi mediorientali che dovrebbe essere misurata in base alla quantità di minacce che fanno a Israele. Più il regime è debole, più fa minacce. E viceversa.

(Da: YnetNews, 7.1.13)

Nella foto in alto: Guy Bechor, autore di questo articolo