False illusioni

Quante volte è stato detto che, ritirandosi, Israele avrebbe acquisito il diritto a difendersi con forza?

Di Yoel Meltzer

image_3131Uno dei vantaggi dati per scontati della soluzione “due popoli-due stati” è che la creazione di uno stato palestinese dovrebbe rendere finalmente i palestinesi pienamente responsabili delle loro azioni. Dopodiché – vien detto – ogni atto di aggressione originato dalla nuova entità statale contro Israele verrà considerato un attacco a Israele da parte di un paese sovrano, e non più di qualche organizzazione terroristica. È proprio questo mutamento – così si dice – ciò che permetterà a Israele non solo di reagire con forza ad ogni eventuale atto di aggressione da parte palestinese, ma anche di farlo con il pieno appoggio e la comprensione della comunità internazionale.
Sebbene questa linea di ragionamento appaia assai invitante tanto da convincere anche diversi scettici, non la si deve prendere per buona tanto facilmente. In realtà, una rapida rassegna degli ultimi vent’anni sembra piuttosto indicare il contrario.
Al culmine della guerra nel Golfo del 1991, l’Iraq lanciò una quarantina di missili Scud su Israele nel tentativo di trascinarlo nel conflitto. Si trattò del caso classico di un paese arabo sovrano che aggredisce Israele con missili ad alta capacità distruttiva, lanciati contro alcune delle regioni più densamente popolate del paese. Eppure, per via di varie considerazioni di carattere geopolitico e di pressioni esercitate dietro le quinte, Israele decise di non reagire.
Una decina di anni dopo, Israele procedette alla rapida rimozione di tutte le sue truppe dalla “fascia di sicurezza” nel Libano meridionale. All’epoca ci venne promesso che le posizioni abbandonate da Israele sarebbero state prese in consegna dall’Esercito del Libano Meridionale allo scopo di impedire che i terroristi Hezbollah (filo-iraniani) si installassero a un tiro di schioppo dal confine settentrionale di Israele. Di più. Ci venne garantito dall’allora primo ministro israeliano Ehud Barak che, se Hezbollah avesse commesso un qualunque atto di aggressione contro Israele, la nostra risposta sarebbe stata determinatissima. Come al solito Israele si attenne alla sua parte dell’intesa, mentre gli arabi non lo fecero. Risultato: ci ritrovammo con Hezbollah schierato a ridosso del nostro confine. Tale sviluppo offrì a Hezbollah l’opportunità di osservare da vicino i movimenti dei soldati israeliani, cosa di cui approfittarono immediatamente. Dopo pochi mesi di sorveglianza ravvicinata, terroristi Hezbollah attraversarono il confine e sequestrarono tre soldati israeliani. Eppure, nonostante il diritto, acquistato a caro prezzo, di replicare a un atto di aggressione totalmente non provocato, e nonostante la promessa del primo ministro che avremmo reagito con forza a una situazione del genere, alla fine si fece ben poco. Le promesse restarono vane e disgraziatamente i tre soldati vennero uccisi.
Cinque anni più dopo il tragico rapimento in Libano, Israele rimuoveva ogni presenza ebraica, civile e militare, dalla striscia di Gaza. All’epoca venne detto che lo sgombero delle truppe da Gaza avrebbe spostato l’onere della responsabilità sull’Autorità Palestinese, costringendola in questo modo a tenere a freno le varie organizzazioni terroristiche. Ma anche questo, come tutti gli altri vantaggi promessi, si rivelò infondato e gli attacchi contro Israele non fecero che aumentare. È vero che Israele alla fine rientrò nella striscia di Gaza, nel gennaio 2009, nel quadro dell’operazione “piombo fuso” contro Hamas, ma ciò avvenne soltanto dopo che migliaia di razzi erano stati lanciati dalla striscia di Gaza sulle comunità civili ebraiche nella regione attigua al confine. E tutta la comprensione del mondo, che ci era stato promesso che avremmo acquisito col nostro ritiro unilaterale, si sciolse come neve al sole in mezzo a una pioggia di accuse e di ipocrite condanne della comunità internazionale per l’intervento di Israele a Gaza.
Vi sono state occasioni in cui Israele ha risposto con forza a sequele di attacchi da oltre confine, come nella seconda guerra in Libano dell’estate 2006; tuttavia la tendenza crescente nel corso degli anni è stata quella di ricorrere a risposte limitate, o di non reagire del tutto. Non basta. Anziché guadagnarsi il sostegno del mondo grazie a questo comportamento contenuto e rispettoso, il trend è stato accompagnato da un’atmosfera internazionale di crescente ostile verso Israele.
Stando così le cose, perché dovremmo credere che la prossima volta andrà diversamente? È assai più plausibile supporre che gli atti di aggressione da uno stato palestinese in Cisgiordania incontreranno la solita risposta israeliana basata sull’autocontrollo. E in quelle occasioni in cui Israele, esasperato, reagirà con maggior determinazione, si può tranquillamente presumere che il mondo si precipiterà a condannare lo stato ebraico senza alcuna considerazione per le circostanze reali.
Alla luce di tutto questo, come è mai possibile fondare su un presupposto smentito dai fatti un indebolimento della sicurezza nazionale di Israele, cosa che certamente accadrà se verrà creato uno stato palestinese in Cisgiordania?

(Da: YnetNews, 28.4.11)

DOCUMENTAZIONE
Diceva il noto scrittore pacifista israeliano Amos Oz, intervistato da Ha’aretz il 17 marzo 2000, due mesi prima del ritiro israeliano dal Libano: “Nel momento stesso in cui ce ne andremo dal Libano meridionale potremo cancellare la parola Hezbollah dal nostro vocabolario, giacché l’idea stessa di uno scontro fra stato di Israele e Hezbollah era una pura follia sin dall’inizio, e sicuramente non avrà più alcuna rilevanza una volta che Israele sarà tornato al suo confine settentrionale internazionalmente riconosciuto”.