Fare affari: la pace concreta

I boicottatori odiano Israele e vogliono un conflitto infinito.

Di Paul Hirschson

image_3668La compagnia di giro degli anti-israeliani in servizio permanente effettivo va in brodo di giuggiole all’idea di minare la legittimità di Israele. Per promuovere questo obiettivo propongono di imporre sanzioni, esortano a disinvestire, lanciano boicottaggi. Incriminare Israele per ogni sorta di presunta malvagità sarebbe il brivido finale, facendo di ogni singolo israeliano l’emblema di tutto il paese per aprire la strada al prossimo round di attacchi. Una volta conseguito l’isolamento di Israele, affermano, sarà possibile minare la sua stessa legittimità.
Gli arabi farebbero bene a considerare in cosa consista, posto che esista, il dilemma se fare o no affari con aziende israeliane. Ad esempio, nel campo delle telecomunicazioni, dove Israele gioca un ruolo particolarmente significativo, se il mondo arabo incoraggiasse le aziende israeliane a concorrere a bandi e gare d’appalto otterrebbe prezzi e servizi molto migliori di quelli dei concorrenti d’Israele in giro per il mondo. Intanto, invece, continua a farsi mungere.
Circa l’8% del costo di ogni prodotto è attribuibile a trasporto e consegna dei componenti. Tutto il mondo arabo importa da paesi lontani prodotti che Israele potrebbe consegnare da un giorno all’altro, per camion. Israele potrebbe ridurre il costo di tali prodotti di diversi punti percentuale. Lo stesso vale nella direzione opposta.
Sono stato nel Kuwait la prima volta nel 1995, poi ho viaggiato e lavorato parecchio nel mondo arabo, dove ho anche vissuto alcuni anni. I primi veri guadagni li ho fatti facendo affari nel mondo arabo per conto di aziende israeliane. E ci hanno guadagnato anche gli arabi: committenti, manager, tecnici, soci, agenti, distributori e altri. È così che funziona negli affari.
I viaggi d’affari comportano del tempo trascorso in ristoranti, caffè e vita notturna. La conversazione prima o poi abbandona gli affari in senso stretto e verte inevitabilmente su politica, famiglie, letture e, naturalmente, lo sport. Si finisce per conoscersi e capirsi, si fa amicizia al di là del rapporto di lavoro.
Coloro che fanno propaganda per l’isolamento e il boicottaggio di Israele non sanno quel che dicono. O forse considerano il proseguimento all’infinito del conflitto come il loro vero obiettivo. Chiunque sia veramente interessato alla soluzione del conflitto si adopera per avvicinare le parti a livello di contatti personali, e non solo a quello delle squadre governative che conducono i negoziati. Coltivare i rapporti d’affari fra le parti significa fare la pace nel senso più vero e concreto. È ora di piantarla con le tifoserie da stadio e iniziare a fare affari. Nello sport, una parte deve perdere per forza; negli affari, quando sono fatti in modo coretto, vincono tutte le parti.
Quelli di noi che sono realmente interessati a risolvere il conflitto devono aspirare a una situazione in cui un numero sufficiente di persone da entrambe le parti del conflitto arabo-israeliano siano coinvolte in affari fra loro abbastanza intensamente da far sì che il processo di comprensione, che porta alla riconciliazione, diventi irreversibile.
Per chi è interessato a bruciare i ponti anziché costruirli, la strada del boicottaggio è avvincente. Il mondo arabo, e quello palestinese in particolare, dovrebbero capire che questa gente non li perdonerà mai quando effettivamente ci riconcilieremo tra noi. Cosa che prima o poi faremo.
Un approccio razionale porta a una semplice conclusione: non c’è alcun dilemma. Coltivare affari fra Israele e mondo arabo è la vera costruzione della pace.

(Da: Jerusalem Post, 20.2.13)

Nella foto in alto: Il parlamentare britannico George Galloway, veterano attivista anti-israeliano, ha precipitosamente abbandonato un dibattito all’Università di Oxford, mercoledì sera, non appena ha appreso che stava discutendo con uno studente di cittadinanza israeliana. Galloway era intervenuto al dibattito parlando a favore della mozione “Israele deve ritirarsi immediatamente dalla Cisgiordania”, quando Eylon Aslan-Levy, 21 anni, studente al terzo anno in politica, filosofia ed economia, ha preso la parola contro la mozione spiegando che un ritiro dalla Cisgiordania deve avvenire nel quadro di una soluzione negoziata che preveda il riconoscimento sia dello israeliano che dello stato palestinese. A due minuti dall’inizio del suo intervento, Galloway lo ha interrotto dicendo: “Hai detto ‘noi’. Sei israeliano?”. Alla risposta affermativa dello studente, Galloway ha immediatamente abbandonato la sala dicendo al pubblico esterrefatto: “Non discuto con israeliani, sono stato imbrogliato. Non riconosco Israele e non discuto con gli israeliani”. In una dichiarazione diffusa mercoledì sera su Facebook, Galloway ha spiegato: “Questa sera mi sono rifiutato di discutere con un israeliano, un sostenitore dello stato dell’apartheid Israele. La ragione è semplice: nessun riconoscimento, nessuna normalizzazione. Solo boicottaggio, disinvestimento e sanzioni fino a quando lo stato dell’apartheid sarà sconfitto”.
Vedi il filmato su:

http://www.jpost.com/International/Article.aspx?id=304039

oppure: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=r6pVT-p6pwU