Farhud: il pogrom dimenticato del 1941 in Iraq

Importante ricordare la pulizia etnica che si abbatté sulle comunità ebraiche nei paesi arabi.

Di Zvi Gabay

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Profughi ebrei dall’Iraq al loro arrivo in Israele

A Shavuot, la festa ebraica che quest’anno si inizia a celebrare dalla sera di martedì, gli ebrei iracheni ricordano il 72esimo anniversario del pogrom Farhud: i tumulti del 1941 in cui vennero massacrate fra 150 e 180 persone e altre migliaia ferite, mutilate, violentate.
Il Centro per il Retaggio dell’Ebraismo Babilonese (iracheno), a Or Yehuda (Israele), ha catalogato i nomi delle vittime, mentre in tutto il mondo gli ebrei iracheni ricordano quei terribili disgraziati eventi così simili alla Notte dei Cristalli di tre anni prima in Germania.
I tumulti Farhud (in arabo “espropriazione violenta”) videro protagonista una folla che era stata aizzata alla violenza e si tradussero, per la comunità ebraica irachena, nella perdita di ogni fiducia nel paese che avevano considerato casa loro per millenni: quella comunità di circa 140mila ebrei è oggi ridotta a pochi sparsi individui.
Gli ebrei iracheni vennero perseguitati senza nessuna ragione evidente. Gli ebrei, che avevano vissuto in Iraq per 2.500 anni, non stavano sovvertendo il paese dall’interno, come gli arabi palestinesi che in quello stesso periodo combattevano contro le comunità ebraiche e poi contro lo Stato di Israele. In effetti, in quegli anni gli ebrei furono bersaglio di ostilità e persecuzioni praticamente in ogni paese arabo in cui vivevano, e non solo in Iraq. Centotrentatre ebrei vennero uccisi in Libia quando in quel paese nord-africano le violenze anti-ebraiche raggiunsero il culmine nel novembre 1945. Ad Aden, nello Yemen, un centinaio di ebrei vennero assassinati nel novembre 1947. In Egitto gli ebrei vennero buttati fuori dalle loro case ed espulsi dal paese.
Nonostante tutta l’attenzione internazionale prestata alla “Nakba” palestinese, ben poco è stato detto sulla grave sopraffazione patita dagli ebrei dei paesi arabi. È vero che la storia non è una gara fra tragedie, ma è importante far conoscere la pulizia etnica che infuriò in tutte le nazioni arabe. Le dimensioni della tragedia furono pesanti: circa 850mila ebrei furono costretti a fuggire dalle loro case nei paesi arabi, a fronte dei 650mila profughi palestinesi. Eppure, per ragioni che non è facile capire, lo stesso governo israeliano non ha ancora posto la catastrofe che colpì gli ebrei arabi in cima alla sua agenda, interna e internazionale.
Gli ebrei nei paesi arabi vennero perseguitati prima che fosse dichiarata l’indipendenza d’Israele. Gli storici Edwin Black, Shmuel Moreh e Zvi Yehuda hanno pubblicato una ricerca che mette in luce i legami fra il governo filo-nazista dell’allora primo ministro iracheno Rashid Ali al-Gaylani e il Terzo Reich in Germania. L’Iraq applicò contro gli ebrei normative discriminatorie che investivano ogni aspetto della vita quotidiana, e poi istigò la folla alla violenza fisica contro gli ebrei. Il pogrom Farhud del 1941 fu il culmine di questo processo. La fusione di un nazionalismo venato di xenofobia e di contagiosi sentimenti antisemiti creò una realtà impregnata di odio verso l’ebreo. L’ambasciatore di Germania in Iraq, Fritz Grobba, fu pronto a fomentare quest’attitudine, mentre il leader palestinese Haj Amin al-Husseini, fuggito dalla Palestina perché ricercato dagli inglesi, trovava in Iraq un’arena ideale per le sue attività anti-ebraiche. L’atmosfera brutalmente anti-ebraica culminò nell’impiccagione di Shafiq Ades, un facoltoso uomo d’affari ebreo, nella piazza centrale di Bassora, mentre l’aria era carica di trasmissioni radio anti-ebraiche e incendiari discorsi dal podio dell’Onu.
Infine, senza altra possibilità di scelta, gli ebrei dell’Iraq raccolsero le loro cose e abbandonarono il paese, quell’Iraq che loro più di altri avevano fatto entrare nell’era moderna. Si lasciarono alle spalle i beni privati e tutte le proprietà delle loro antiche comunità, compresi i luoghi venerati come sepolture dei profeti Ezechiele, Giona, Naum di Alqoshi ed Esdra lo Scriba, delle quali si impossessò il governo iracheno.
Vi furono naturalmente iracheni che si rifiutavano di giustificare le aggressioni contro la popolazione ebraica, ma furono zittiti. Gli ebrei divennero il capro espiatorio del conflitto fra sunniti e sciiti, proprio come oggi Israele si trova in mezzo al conflitto fra Iran e arabi. Se ancora oggi gli ebrei si fossero trovati in numero significativo nei paesi arabi, è del tutto ragionevole supporre che le loro comunità sarebbero state devastate nelle recenti rivolte in Egitto, Libia, Tunisia, Yemen e in Siria.
Il numero di ebrei con alle spalle una vicenda di vita nei paesi arabi si sta fatalmente assottigliando di anno in anno. È giunto il momento di commemorare il loro retaggio in Israele, di impedire che abbia il sopravvento la propaganda araba, abbracciata da coloro che negano che pogrom arabi anti-ebraici abbiano mai avuto luogo, analogamente alla minaccia posta dai negazionisti della Shoà. Quanto prima Israele si impegnerà a preservare l’eredità degli ebrei arabi riconoscendone ufficialmente il carattere di vittime, tanto più rapidamente potrà migliorare la sua posizione interna e internazionale. Inoltre, custodendo questo pezzo di storia ebraica Israele può rafforzare le voci moderate nel mondo arabo, specialmente quelle provenienti da intellettuali che hanno riconosciuto una catastrofe mediorientale che vide vittime gli ebrei, e non solo i palestinesi. Allo stesso tempo, i dirigenti palestinesi dovrebbero smettere di coltivare nella loro gente l’illusione del cosiddetto “diritto al ritorno”, in modo che la tragica ruota della storia non abbia a rigirare su se stessa.

(Da: Israel HaYom, 13.5.13)

Si veda (in inglese):

The Farhud

JIMENA (dedicated to educating and advocating on behalf of the 850,000 Jewish refugees from the Middle East and North Africa)

Justice for Jews from Arab Countries