Fatah ha firmato la propria fine?

Le feste per il nuovo governo palestinese potrebbero presto trasformarsi nel necrologio di Fatah

Da un articolo di Avi Issacharoff

image_1627Le celebrazioni sabato a Ramallah e Gaza per la nascita del governo di unità nazionale palestinese potrebbero presto trasformarsi nel necrologio per il movimento Fatah.
Nel corso dell’ultimo anno Fatah si è presentato come la più chiara alternativa politica a Hamas. Ora è diventato il più stretto alleato del primo ministro palestinese Ismail Haniyeh. Alti esponenti di Fatah si erano opposti a questa mossa, preoccupati che l’organizzazione finisse con l’essere identificata con il fallimento dell’economia, della sicurezza interna e con la mancanza di un orizzonte politico. Le limitate contestazioni da parte di alte figure di Fatah verso la politica di Hamas si esauriranno, e con esse svaniranno le chance per Fatah di incarnare una reale concorrenza politica e culturale rispetto agli islamisti.
Sabato scorso sia Haniyeh che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) erano tutto sorrisi, ma chi ha davvero motivo per compiacersi è solo Haniyeh, con i suoi soci di Hamas. Dopo serrati negoziati, Hamas ha mantenuto la maggioranza nel governo con Fatah che accettava di considerare il ministro degli esteri Ziyad Abu Amar come uno dei suoi rappresentanti indipendenti. Respinta l’idea di tenere elezioni anticipate, scomparsa l’idea di un referendum sul “documento dei detenuti”, già compaiono le prime crepe nell’assedio diplomatico di Hamas mentre l’organizzazione non ha cambiato nulla di sostanziale nella sua ideologia: no al riconoscimento dello stato di Israele, no ai negoziati (il lavoro sporco viene lasciato ad Abu Mazen), sì alla “resistenza”, cioè alla violenza.
Ma il governo di unità nazionale e i danni a Fatah devono essere sembrati il male minore: l’alternativa per Abu Mazen era la guerra civile. Il problema è che, da qui alle prossime elezioni presidenziali (fra un paio d’anni) l’opinione pubblica palestinese dimenticherà lo sforzo fatto da Abu Mazen per i superiori interessi, e ricorderà soprattutto che Fatah non funziona. La maggior parte dei 75.000 iscritti a Fatah – dicono i giovani capi della milizia Tanzim in Cisgiordania – già oggi è consapevole che non c’è alternativa a Hamas. La sesta convention del partito, che doveva varare riforme e ringiovanimento dei quadri, è diventata una vecchia barzelletta: ormai non si sa nemmeno se verrà mai convocata. Fatah è in crisi economica e i tentativi dei suoi funzionari di guadagnare consensi con una rete di servizi d’assistenza impallidiscono a confronto del sistema di servizi sociali finanziato da Hamas. La corruzione nelle istituzioni dell’Autorità Palestinese e il caos nelle strade vengono fatti risalire a Fatah e ai suoi apparati di sicurezza. Soprattutto si diffonde la sensazione che, in effetti, non via sia nessuno che governa Fatah.
Intanto Hamas continua a portare avanti la sua silenziosa rivoluzione. Di recente undici membri di Hamas sono stati nominati ai posti chiave del ministero dell’istruzione e il numero di ore scolastiche dedicato agli studi religiosi è aumentato del 20%. Hamas arriva al cuore della gente e uno dei modi migliori per farlo resta quello delle moschee. A Ramallah nel 2000 ce n’erano cento. Oggi sono diventate 190. Senza leggi che pongano limiti, Hamas sta pilotando il mutamento culturale della società palestinese. Oggi la maggior parte delle donne gira a capo coperto, comprese quelle che lo fanno solo per evitare critiche in pubblico. I ristoranti che servono alcolici sono sempre meno, e alle sale per matrimoni e altre feste viene chiesto di non ospitare danzatrici del ventre.
I capi di Hamas si sentono sicuri di sé, in questi giorni, adoperandosi incessantemente per guadagnare nuovi adepti, mentre Fatah va avanti con le sue lotte intestine.

(Da: Ha’aretz, 18.03.07)

Nella foto in alto: Membri delle Brigate Martiri di al-Aqsa (braccio armato del partito di Abu Mazen Fatah), agghindati da attentatori suicidi, esibiscono copie del Corano durante un raduno a Nablus (Cisgiordania) domenica 18 marzo.