Finanzia responsabile

Olmert dovrà pilotare la nave dello stato attraverso tempeste socio-economiche e minacce esterne.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1151Considerando la bastonata appena inflitta a Binyamin Netanyahu, il recente e piuttosto rivoluzionario ministro delle finanze, ci si perdonerà se ci chiediamo come mai i politici non evitino come la peste, per puro istinto di auto-conservazione, la poltrona del Tesoro. I ministri delle finanze israeliani non sono mai stati molto popolari, trasformandosi piuttosto in comodi punching-ball.
Eppure il braccio di ferro fra Kadima e laburisti per l’apparentemente ingrato incarico non è assurdamente motivato da questioni di prestigio. Come ha spiegato il ministro del turismo Avraham Hirchson, il dicastero delle finanze è di cruciale importanza perché permette al partito che lo detiene di attuare le sue politiche. Inoltre, nella campagna elettorale appena conclusa l’economia e le concomitanti questioni sociali sono insolitamente salite al vertice nella scala di priorità dell’elettorato. Partiti come quello Laburista e lo Shas, e in una certa misura lo stesso Kadima, hanno condotto una campagna populista, sottolineando le gravi difficoltà prodotte dalla politica economica di Netanyahu e minimizzando nel contempo l’incombete collasso dal quale quelle politiche hanno permesso all’economia israeliana di riprendersi. Campagna assai efficace, come dimostrano i risultati. Persino il curioso successo del partito dei pensionati – sebbene dovuto in misura non piccola a un volubile voto di protesta – attesta il fatto che le questioni sociali sono divenute preminenti in un paese dove le preoccupazioni per la sopravvivenza avevano finora messo in ombra tutto il resto. Questa nuova importanza delle questioni economiche rende il Tesoro un punto di forza ancora più potente di quanto già non fosse.
Cosa ulteriormente enfatizzata dallo scontro latente fra le concezioni economiche che guidano Laburisti e Kadima. Per quante critiche Kadima possa muovere a Netanyahu, resta il fatto i suoi luminari hanno prestato servizio insieme a lui nello stesso governo, ne hanno appoggiato la dottrina e hanno goduto dei suoi frutti (il rilancio dell’economia). Tutto il contrario dello zelo sindacalista di Amir Peretz e delle sua ambizione di ridistribuire le risorse in modo tale da restaurare lo stato assistenziale almeno al livello dell’era pre-Netanyahu.
La scelta non è tanto sul grado di generosità del governo, quanto sui criteri fondamentali. Qualunque partito ottenga il ministero delle finanze, dovrà comunque non perdere di vista il fatto che le elezioni sono finite, e resistere alla tentazione di disfare tutto ciò che Netanyahu ha fatto pagando personalmente un considerevole prezzo politico. È stato accusato di rendere i ricchi più ricchi, ma in realtà ha sfidato le banche, i mercati finanziari, i fondi pensioni. Disfare gran parte di tutto questo può anche procurare guadagni politici nell’immediato, ma potrebbe essere disastroso sul medio-lungo periodo. Il ministro delle finanze che si atteggiasse a generoso benefattore dei poveri guadagnerebbe sicuramente molti punti. Ma alla fine, distribuire assistenza a pioggia non fa che aumentare la povertà perché riduce la crescita e le opportunità di impiego. I poveri, specie nei settori ultra-ortodosso e arabo della società israeliana, devono essere svezzati dai fondi governativi e incoraggiati e avviati al lavoro. Ci vuole grande selettività nei sussidi al reddito. Non tutti i fisicamente abili che li richiedono sono davvero bisognosi. È un segreto di Pulcinella che i registri del welfare israeliano sono pieni di gente che non dichiara redditi percepiti “non ufficialmente”. Il che sottrae l’aiuto a coloro che ne hanno realmente bisogno, come gli anziani e gli infermi.
Un grande peso ricade oggi sulle spalle di Ehud Olmert. Ora non gode più dei vantaggi del primo ministro ad interim. Supponendo che venga incaricato di formare il prossimo governo, e che riesca a farlo, Olmert dovrà pilotare la nave dello stato attraverso tempeste socio-economiche, ma anche tenere sempre presenti le minacce esterne. Come dimostrano l’attentato a Kedumim, i quotidiani lanci di missili Qassam e persino di razzi Katyusha da Gaza, non abbiamo ancora raggiunto un’autentica sicurezza, nè la riduzione delle pesanti spese militari che tale sicurezza può esigere. Inoltre, il progettato ritiro di Olmert da gran parte della Cisgiordania non sarà a buon mercato.
Il test cruciale di Olmert sarà la sua capacità di evitare pasticci politici temporanei a spese di una finanza responsabile. Kadima ha diritto di distinguersi dalla politica economica di Netaniahu, e di cambiarne le priorità. Ma non dovrebbe farlo andando all’indietro, assecondando anomalie strutturali e tornando a politiche che, per tanta parte della sua storia, hanno debilitato l’economia israeliana.

(Da: Jerusalem Post, 3.04.06)