Forze straniere a garanzia della pace?

I precedenti non sono incoraggianti: è estremamente improbabile che qualsiasi forza internazionale possa garantire la sicurezza di Israele e la pace

By Danny Ayalon

Danny Ayalon, autore di questo articolo

Danny Ayalon, autore di questo articolo

La recente serie di attacchi terroristici da Gaza ha riportato alla ribalta la questione dell’eventuale affidamento della sicurezza di Israele a forze internazionali, come è stato proposto per alcune aree della Cisgiordania.

In realtà l’ostinazione con cui la il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) rifiuta la presenza di forze di sicurezza israeliane nella Valle del Giordano dopo la firma di un accordo di pace, non è compatibile con la responsabilità fondamentale che ha Israele di proteggere i propri cittadini.

A prima vista la proposta di sostituire le forze israeliane in Cisgiordania con una forza della Nato presenta diversi elementi allettanti, primo fra tutti l’idea di garantire la sicurezza per Israele senza dover tenere soldati israeliani in Cisgiordania, quindi senza violare la futura sovranità palestinese. Tuttavia, sebbene in teoria questa possa sembrare una buona soluzione di compromesso, la sua attuazione in pratica presenta grossi problemi.

Soldati jugoslavi inquadrati nelle truppe Onu schierate nel Sinai nel 1957. Furono ritirati su ordine di Nasser nel maggio 1967

Soldati jugoslavi inquadrati nelle truppe Onu schierate nel Sinai nel 1957 e  ritirate, su ordine di Nasser, nel maggio 1967

La triste verità è che è estremamente improbabile che truppe di pace della Nato, o se è per questo di qualsiasi altra forza internazionale, sarebbero in grado di garantire la sicurezza di Israele e quindi di dissipare i timori di Israele per la propria sicurezza. Per averne la prova basta dare un’occhiata agli eventi degli ultimi decenni.

Si consideri la storia delle missioni internazionali di pace. Israele sperimentò drammaticamente in prima persona, nel 1967, quanto le forze di pace internazionali non siano in grado di garantire la sicurezza. Abdel Nasser d’Egitto, quando iniziò ad ammassare il suo esercito ai confini d’Israele, non dovette fare altro che ordinare ai caschi blu di andarsene dal Sinai (dove erano stati schierati nel 1957 a garanzia del ritiro israeliano): le forze di pace se ne andarono docilmente, lasciando Israele da solo di fronte all’esercito egiziano pronto per attaccare.

L’Unifil, la forza di pace schierata nel Libano meridionale sin dal 1978, non ha mai impedito un solo lancio di razzi Hezbollah contro Israele né il rapimento da parte di Hezbollah di soldati israeliani, due eventi che hanno portato Israele alla seconda guerra in Libano nell’estate 2006.

D’altra parte, le forze di pace si ritirarono anche dalle loro missioni in Somalia e in Ruanda senza impedire i massacri di massa e i genocidi che vi vennero poi perpetrati.

Anche la guerra civile bosniaca offre un quadro pieno di dubbi circa lo sforzo delle truppe internazionali di peacekeeping. Mentre infuriava il massacro, le Nazioni Unite garantivano la città di Srebrenica come rifugio sicuro per i profughi e coloro che cercavano di mettersi in salvo. Poi, nel luglio 1995, le truppe di pace forti di 400 uomini se ne restarono in disparte mentre a Srebrenica veniva consumato l’assassinio a sangue freddo di migliaia di bosniaci.

navi della Marina Militare italiana ormeggiate a Sharm El Sheikh nel quadro della Forza Multiunazionale

Navi della Marina Militare italiana ormeggiate a Sharm El Sheikh nel quadro della Forza Multinazionale

Tutto questo non vuol dire che un accordo di sicurezza che coinvolga truppe Onu o della Nato non debba necessariamente funzionare. Ma certamente si tratta di un compito enorme. La Cisgiordania e la valle del Giordano sono mantenute in sicurezza dalla deterrenza d’Israele e dalla provata capacità di intervento preventivo delle Forze di Difesa israeliane: il che comporta fra l’altro l’impiego di decine di migliaia di soldati israeliani, molti dei quali formano unità sotto copertura e forze speciali antiterrorismo note per essere fra le migliori al mondo nel loro campo, per non dire dell’incessante lavoro di intelligence operato da persone che conoscono l’ambiente, i luoghi, la lingua. Non esiste forza della Nato o dell’Onu che potrebbe avere il necessario mandato e le necessarie competenze, né l’impegno e la motivazione dei soldati israeliani. Se qualcosa hanno dimostrato tragedie come quella di Srebrenica, è quanto sia difficile spingere forze straniere a trattare la sicurezza degli altri come se fosse la propria e quella delle proprie famiglie.

Israele è al sicuro perché Hamas, Siria, Hezbollah sanno tutti molto bene che gli israeliani non esiterebbero un attimo a mandare i propri soldati in prima linea, o a compiere un raid in caso di manovre pericolosamente sospette, né tanto meno esiterebbero a rispondere al fuoco se venissero attaccati. Quale paese della Nato potrebbe davvero garantire che, nel momento in cui le cose si mettessero al peggio a Jenin o sul confine siriano, farebbe tutto ciò che è necessario per preservare la sicurezza di Israele e dei suoi abitanti? Quelle forze della Nato non saranno molto più probabilmente un intralcio per la difesa di Israele?

Jihadisti del gruppo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” in parata lo scorso gennaio a Tel Abyad, Siria

Jihadisti del gruppo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” in parata lo scorso gennaio a Tel Abyad, in Siria

Non basta. Se Israele dovesse lasciare la Cisgiordania nel quadro di un accordo di pace senza lasciare dietro di sé una sua presenza militare, si verificherebbe quasi certamente un immediato afflusso di gruppi terroristici. Abbiamo già visto Hamas prendere il controllo nella striscia di Gaza dopo che Israele se ne è ritirato nel 2005, e abbiamo già visto al-Qaeda entrare nel Sinai nonostante la presenza della forza multinazionale che vi si trova sin dal 1982. Israele semplicemente non può permettersi che lo stesso accada in Cisgiordania, a pochissimi chilometri dalle sue più grandi città.

Dopo che la lacerazione della Siria ha trasformato quella regione in una calamita per i gruppi terroristici della jihad globale, al-Qaeda compresa, Israele rischia di tirarsi addosso gli stessi problemi con l’accordo di pace che spera di firmare con i palestinesi grazie alla mediazione di John Kerry. Il disimpegno israeliano da Gaza, i postumi della guerra in Iraq, la guerra civile siriana, l’instabilità nel Sinai egiziano sono tutti precedenti istruttivi che ci dicono una cosa precisa: gruppi e cellule terroristiche di ogni sorta convergeranno immediatamente in qualsiasi spazio o vuoto di potere che penseranno di intravedere, e stabiliranno una testa di ponte in ogni ettaro di territorio lasciato incustodito.

Salafiti nella striscia di Gaza

Miliziani salafiti schierati nella striscia di Gaza

Infine, ma non meno importante: mettere soldati dei paesi Nato in condizioni di serio pericolo allo scopo di tutelare i cittadini israeliani comprometterà gravemente l’immagine di Israele presso l’opinione pubblica di quei paesi e renderà molto complicate le relazioni diplomatiche con tutti i suoi alleati in Europa e America. Quando soldati della Nato dovessero iniziare a perdere la vita o ad essere sequestrati da gruppi terroristi, questo diventerebbe qualcosa di molto peggio di un incubo per le pubbliche relazioni, finendo con l’influenzare pesantemente le scelte politiche ed economiche nei confronti di Israele.

Il mondo anela a un accordo di pace tra Israele e palestinesi, ma altrettanto importante dell’arrivare a un accordo è la durata futura di quell’accordo. Finché permangono, nel cortile fuori casa nostra, nemici così pericolosi come i gruppi terroristici estremisti e le ideologie genocide, la sicurezza di Israele deve essere affidata ai soldati israeliani: non solo per garantire la sicurezza di Israele, ma anche per garantire la tenuta e la longevità di quegli accordi di pace che tutti aspettiamo da così tanto tempo.

(Da: Jerusalem Post, 15.3.14)