«Fuori da Gaza, lontano dalle rappresaglie di Hamas»

Solo ora i giornalisti stranieri iniziano a dire la verità sulla guerra di Hamas

E’ stato detto che quando parlano i cannoni, le muse tacciono. Nel caso dei giornalisti stranieri nella striscia di Gaza, il silenzio derivava principalmente dalla paura.

Un giorno dopo che si è conclusa l’operazione anti-terrorismo “Margine protettivo”, ha cominciato lentamente ad emergere un quadro un po’ più autentico. I giornalisti stranieri che lasciano la striscia di Gaza iniziano finalmente a rivelare ciò che Israele ha sostenuto sin dall’inizio: che Hamas sparava facendosi scudo della popolazione e delle strutture delle Nazioni Unite. Perché non hanno segnalato questi fatti quando i combattimenti erano in corso? Stando a quanto ammettono loro stessi, perché temevano per la propria vita. “Vedevamo cosa facevano gli uomini di Hamas – ha spiegato un giornalista spagnolo – Ma se avessimo osato puntare le telecamere su di loro, avrebbero aperto il fuoco contro di noi e ci avrebbero ucciso”.

Ora che sono fuori della striscia di Gaza, i giornalisti rivelano ciò che Hamas cercava di impedire al mondo di vedere. Un giornalista indiano, ad esempio, ha documentato come i militanti di Hamas lanciassero i razzi da una postazione appena fuori dalla finestra dell’albergo dove alloggiava, nella striscia di Gaza, poco prima che entrasse in vigore il cessate il fuoco. Il video è stato messo in onda solo dopo che il giornalista aveva lasciato Gaza. Intervistato a questo proposito, ha risposto: “C’è una congiura del silenzio che nasce dalla paura: nessuno è disposto a riferire in tempo reale”. Il reportage del giornalista indiano Sreenivasan Jain, per il canale di news in lingua hindi NDTV, dice: “E’ iniziata con una tenda misteriosa, con una tettoia blu apparsa improvvisamente ieri (4 agosto) alle 6.30 del mattino, in uno spiazzo di terra accanto alla nostra finestra. Abbiamo visto tre uomini andare molte volte dentro e fuori la tenda, a volte con dei cavi. Un’ora dopo sono usciti, hanno smontato la tenda, si sono cambiati i vestiti e se ne sono andati”. Il giornalista sottolinea che “è importante riferire su come Hamas mette in pericolo questi civili sparando razzi dal cuore stesso delle zone civili”.

Il corrispondente di France 24 Gallagher Fenwick ha trasmesso un servizio che mostra razzi in fase di lancio a soli 50 metri dall’hotel dove alloggiavano i giornalisti stranieri, e a 100 metri da una struttura delle Nazioni Unite. “L’esercito israeliano ha ripetutamente accusato i militanti palestinesi di sparare dall’interno di aree civili densamente popolate, e questo è esattamente il tipo di situazione che abbiamo qui: razzi impiantati a ridosso di edifici con dentro un sacco di abitanti”, ha riferito il giornalista dopo aver lasciato Gaza.

Anche il giornalista italiano Gabriele Barbati ha detto la verità su Hamas, una volta uscito dalla striscia di Gaza e dunque non più sotto la minaccia dei terroristi. In un tweet, Barbati ha scritto: “Fuori da Gaza, lontano dalle rappresaglie di Hamas: razzo fuori bersaglio ha ucciso i bambini ieri a Shati. Testimoni: miliziani sono accorsi e hanno rimosso i rottami”. Ed ha aggiunto: “Il portavoce IDF (Forze di Difesa israeliane) ha detto la verità nel comunicato di ieri sul massacro del campo Shati: non era per fuoco israeliano”.

Un altro giornalista straniero ha definito un segreto di Pulcinella il fatto che Hamas sfrutta l’ospedale Al-Shifa come suo centro di comando, ma i giornalisti a Gaza non ne parlano per paura di mettersi in pericolo (si veda: La semplice logica dovrebbe dirci che se Hamas nasconde razzi e comandanti nelle scuole e negli ospedali è perché sa che davvero Israele fa di tutto per non colpire i civili).

Ma non erano solo i giornalisti stranieri ad aver paura delle probabili vendette di Hamas. Anche i reporter palestinesi hanno subito minacce quando hanno tentato di criticare l’organizzazione terroristica e di riferire notizie veritiere. Il giornalista palestinese Radjaa Abu Dagga, ad esempio, ha riferito d’essere stato convocato per un interrogatorio all’ospedale Al-Shifa dove uomini armati di Hamas volevano sapere se scriveva per un giornale israeliano. Abu Dagga, che scrive per testate francesi e algerine, ha detto che gli è stato sequestrato il passaporto e gli è stato vietato di lasciare la striscia di Gaza. In seguito ha pubblicato un articolo sul quotidiano francese Libération, ma è stato costretto a rimuoverlo dopo aver ricevuto minacce.

I giornalisti a Gaza subivano non solo minacce, ma anche manipolazioni. Sudarsan Raghavan, del Washington Post, ha raccontato come gli uomini di Hamas hanno organizzato la messa in scena di un attacco israeliano: ha riferito d’essere stato portato a fotografare una moschea bombardata, dove ha scoperto che qualcuno aveva “preparato” la scena mettendo in bella mostra un tappeto da preghiera e pagine bruciate del Corano. Stando al suo racconto, era evidente che qualcuno li aveva messi lì per creare simpatia verso la lotta palestinese. Niente di più facile che avessero anche fatto sparire armi compromettenti.

Il sito web CBN ha scritto che, oltre alle moschee, Hamas ha utilizzato anche le chiese per lanciare i suoi attacchi. Nel suo reportage, il giornalista George Thomas ha detto che il più eminente esponente cristiano di Gaza, l’arcivescovo Alexios, “ha portato CBN News sul tetto a terrazza fuori dal suo ufficio per mostrare come gli islamisti avessero utilizzato l’edificio della chiesa per lanciare razzi su Israele”. L’arcivescovo ha spiegato che “l’islam comanda in questo luogo e si deve obbedire a tutto ciò che dice Hamas, o affrontarne le conseguenze”.

(Da: YnetNews, 7.8.14)

Testimonianza a YnetNews di un giornalista straniero che ha chiesto di non pubblicare il suo nome: «Il controllo di Hamas sul lavoro dei giornalisti stranieri  durante i giorni di combattimento a Gaza non era molto sofisticato, ma molto efficace. In primo luogo, Hamas ha stabilito che i portavoce dell’organizzazione potevano essere intervistati solo nel cortile dell’ospedale Al-Shifa. Come risultato, si sono create lunghe file di giornalisti in attesa di un’intervista i quali, durante l’attesa, non avavno altro da fare che vedere i feriti che arrivavano all’ospedale. Il che ha creato l’impressione che Hamas voleva trasmettere: uno stato di emergenza con imminente disastro umanitario. In secondo luogo, Hamas non ha mai permesso ai giornalisti stranieri di accedere ai siti militari attaccati da Israele, che fossero basi delle organizzazioni armate, siti di lancio dei razzi o altri obiettivi affiliati a Hamas. I morti e i feriti appartenenti all’organizzazione armata non sono mai stati filmati e quindi, dal punto di vista dei mass-media, non esistevano. Tutto questo è servito a Hamas per creare l’impressione che le vittime fossero tutte civili. In terzo luogo, era chiaro che Hamas lanciava razzi da aree popolate da civili, ma l’organizzazione ha imposto ai fotografi della stampa di non documentare questo fatto». (Da: YnetNews, 7.8.14)

Alcune cifre poco note circa la guerra a Gaza (sulla base di stime delle Forze di Difesa israeliane):

– Il 18% dei razzi lanciati da Hamas, vale a dire circa 600 razzi, sono stati sparati da scuole, ospedali, moschee e cimiteri.

– Il 14% dei razzi lanciati da Hamas, vale a dire circa 450 razzi, sono ricaduti all’interno della striscia di Gaza. Tenerlo presente, prima di accusare Israele di ogni singola distruzione e di ogni singola vittima civile all’interno di Gaza. (Da: Israel HaYom, 7.8.14)