Giocare col fuoco a Gerusalemme e scottarsi a Ramallah

Allo scontro con Hamas, Abu Mazen preferisce una guerra di religione al Monte del Tempio

di Avi Dichter

image_2781Gerusalemme è il cuore della nazione ebraica. Eppure, nonostante il suo status di più sacro sito ebraico, lo Stato d’Israele ha fatto del Monte del Tempio di Gerusalemme un luogo di libertà religiosa: un fenomeno che non si era registrato per secoli, né sotto gli ottomani, né sotto gli inglesi e nemmeno sotto i giordani.
Ciò nondimeno esiste oggi una fazione di estremisti musulmani che istiga alla violenza sul Monte del Tempio, nel tentativo di dissuadere i fedeli ebrei dal recarsi al (sottostante) Muro Occidentale (“del pianto”) e per creare ad arte un’atmosfera di conflitto nella città e nell’intera regione.
A peggiorare le cose, questi facinorosi godono dell’appoggio dell’Autorità Palestinese, che incoraggia tale conflitto come evidente diversione dal suo perdente scontro interno contro Hamas nella striscia di Gaza. Anziché affrontare i veri problemi che ha in casa con Hamas, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) dedica tempo e risorse a fomentare un pericoloso gioco a Gerusalemme. La sua riluttanza ad fronteggiare le vere minacce interne per condurre piuttosto una superflua guerra religiosa e demagogica non farà altro che compromettere la stabilità del suo stesso governo in Cisgiordania, come già accaduto nella striscia di Gaza. Il cinismo dell’Autorità Palestinese combinato ai tentativi di Israele di garantire la libertà religiosa toccano un tasto inquietante. Mi fanno venire in mente ciò che disse il compianto filosofo americano Eric Hoffer: “Quelli che mordono la mano che dà loro da mangiare solitamente sono gli stessi che leccano lo stivale di chi li prende a calci”.
Se non verranno fermate, le manifestazioni violente al Monte del Tempio possono solo portare all’infelice scenario di Israele costretto a far rispettare la legge in maniera tale da rischiare di violare la libertà di religione di alcuni. Uno scenario che tuttavia va contro il tessuto stesso della democrazia israeliana. Pertanto Israele continuerà a proteggere la libertà di religione nella nostra capitale per i fedeli di tutte le fedi. Allo stesso tempo, però, il mondo deve capire chiaramente che Gerusalemme non tornerà alla condizione dei confini pre-’67 (che la spaccavano a metà come una Berlino mediorientale).
Tuttavia, benché questa sia una politica chiara e di importanza strategica che sta al cuore del più vasto consenso in Israele, il governo israeliano deve essere più sensibile sul piano tattico nei progetti edilizi a Gerusalemme: cosa essenziale per non compromettere la già fragile fiducia sulla questione di Gerusalemme (posto che vi sia della fiducia, in effetti). Gesti come l’annuncio da parte del governo di nuove unità abitative all’inizio di questo mese sono l’esatto esempio di una gaffe grossolana che ha messo in imbarazzo non solo i nostri alleati americani, ma anche molti israeliani, con effetti controproducenti.
Prima che vengano anche solo concepiti dei negoziati attorno a Gerusalemme, il livello di fiducia tra Israele e palestinesi deve elevarsi come mai prima d’ora, cosa che può essere ottenuta grazie a misure volte a costruire fiducia, e che sarà possibile solo dopo che saranno risolte le questioni di Gaza e Cisgiordania, dei blocchi di insediamenti e della Valle del Giordano.
Al momento ci troviamo di nuovo sul punto di iniziare colloqui, questa volta attraverso un mediatore. Sicché, dal momento che ci troviamo alla vigilia dell’avvio di un nuovo round di negoziati, è cruciale che questa volta si trovi una soluzione efficace, e per questo dovremmo tenerci tutti alla larga da gioco fin troppo familiare dello scaricabarile. Credo che l’unico modo per raggiungere questo obiettivo sia di condurre negoziati diretti, con il sostegno americano.
Navigati esponenti dell’Autorità Palestinese tra cui Muhammad Dahlan convengono che coinvolgere terze parti come mediatori intralcerà soltanto il processo. Per cui, ripeto: l’unica strada in assoluto verso un accordo durevole sono i negoziati diretti. Qualunque reale soluzione alle questioni nella nostra regione, con i palestinesi e soprattutto a Gerusalemme, può e deve essere risolta solo attraverso colloqui diretti. Sarà difficile, ci vorrà tempo, potrebbe essere necessario persino un miracolo: ma per fortuna nella città santa i miracoli sono sovente possibili.

(Da: Jerusalem Post, 21.3.10)

Nella foto in alto: musulmani in preghiera sulla spianata delle Moschee (Monte del Tempio) a Gerusalemme