Gli americani hanno capito troppo tardi che Israele non è il vero problema in Medio Oriente

John Kerry ha sprecato due anni facendo 13 viaggi in Israele mentre le vere questioni esplodevano in Siria e Iraq

Di Guy Bechor

Guy Bechor, autore di questo articolo

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Solo un paio di anni fa il segretario di stato americano John Kerry era convinto d’aver trovato il punto d’appoggio alla Archimede su cui fare leva per risolvere tutti i problemi del Medio Oriente: Israele. Questa era anche la percezione del presidente Barack Obama e del suo segretario alla difesa, Chuck Hagel: una soluzione in Israele avrebbe permesso di stabilizzare tutto il Medio Oriente.

Una percezione ingannevole, che rappresenta la continuazione dell’approccio pluridecennale secondo il quale Israele è la radice di tutti i problemi del Medio Oriente: una sorta di approccio quasi antisemita. Il conflitto che coinvolge gli ebrei in Medio Oriente (e la loro pretesa di indipendenza) è stato gonfiato a tal punto da politici, accademici e propagandisti, che nel corso degli anni in molti sono caduti nella trappola di pensare che gli ebrei in questa regione siano il vero problema.

Ora quello stesso Kerry sta cercando di mettere insieme una “coalizione” per combattere l’ISIS, e non si prende nemmeno la briga di venire in Israele perché in fondo cosa può fare di utile Israele? Forse che siamo sunniti o sciiti? Siamo forse parte del conflitto fra nazionalismo arabo e islamismo estremista?

In effetti Kerry ci ha messo parecchio a capire che non solo noi non siamo il punto d’appoggio alla Archimede con cui risolvere i problemi del Medio Oriente, ma anzi il collegamento fra noi e quei problemi è molto tenue. Solo ora gli americani hanno compreso che il conflitto d’Israele è ai margini dei margini dei reali problemi di questa regione.

Ma nel frattempo sono passati due anni. Mentre Kerry sperperava non meno di 13 viaggi in Israele, che sono serviti soltanto a dimostrare quanto sia fuori strada l’idea che hanno gli americani del Medio Oriente, la Siria è diventata un covo di assassini jihadisti, l’Iraq è andato in pezzi e l’ISIS si è fatto sempre più forte insieme alla sfida islamista di stabilire con la forza un califfato islamico che aspira a raggiungere l’Europa occidentale e gli stessi Stati Uniti.

Kerry avrebbe dovuto dedicare tutto quel tempo ai veri problemi, non ai problemi immaginari. Tutti quanti in Medio Oriente hanno assistito a questo spreco di tempo e ne hanno tratto le loro conclusioni.

Il Segretario di stato Usa John Kerry in elicottero sopra Baghdad lo scorso 10 settembre

Il Segretario di stato Usa John Kerry in elicottero sopra Baghdad lo scorso 10 settembre

Non c’è da meravigliarsi che la coalizione che gli americani stanno ora reclutando è d’accordo sul concretizzarsi solo a parole. L’incapacità di Washington di comprendere il Medio Oriente fa ancora da deterrente giacché, per chi vive in questa regione, l’incapacità di comprendere si traduce in un pericolo esistenziale. L’incapacità di comprendere dell’amministrazione Obama continua a tenere lontani dalla coalizione i potenziali partner, che temono d’essere ancora una volta traditi e abbandonati dagli americani.

I soggetti musulmani in Medio Oriente vogliono che gli Stati Uniti combattano l’ISIS, mentre gli Stati Uniti vogliono che siano raggruppamenti musulmani locali a combattere l’organizzazione jihadista. Tra questi poli è impossibile una vera e propria coalizione, che infatti rimane a livello di retorica.

La cosa irritante è che nel frattempo l’ISIS non ha perso tempo ed ora sta costruendo la sua coalizione basata su accordi armistiziali passivi, mentre la coalizione di Obama e di Kerry dovrebbe basarsi su una guerra attiva a cui nessuno è sinceramente interessato, compresi gli stessi americani. La coalizione dell’ISIS comprende già la Turchia, attraverso la quale passano equipaggiamenti militari e migliaia di combattenti diretti verso l’organizzazione jihadista (l’ISIS conta più di 30.000 combattenti, quasi tutti arrivati attraverso la Turchia). Di più. La Turchia acquista dall’ISIS petrolio a buon mercato che affluisce al paese attraverso le condotte in Iraq e in Siria. Non ha senso creare una coalizione globale contro l’ISIS finché la Turchia appoggia questa organizzazione e le permette di prosperare. La coalizione dell’ISIS comprende anche alcuni ribelli moderati siriani, e persino il presidente siriano Bashar Assad è un silenzioso socio dell’ISIS con il tacito accordo di non combattersi a vicenda.

E’ un peccato che gli Stati Uniti abbiano sprecato tanto tempo e fatica su cose marginali di secondaria importanza anziché affrontare immediatamente le questioni principali e fondamentali. Ora sembra già troppo tardi.

(Da: YneNews, 19.9.14)