Gli inutili trucchetti di Condoleezza Rice

? un errore elogiare Abu Mazen per la lotta che non fa al terrorismo.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_819La visita del segretario di stato Usa Condoleezza Rice durante lo scorso fine settimana, pensata per facilitare il piano di disimpegno israeliano, è stata molto deludente. Il viaggio, frettolosamente preparato, aveva l’intento di fermare il deterioramento della situazione provocato dall’attentato suicida della Jihad Islamica davanti al centro commerciale di Netanya del 12 luglio, che ha ucciso cinque israeliani, e dai continui bombardamenti di Hamas sulle comunità israeliane nella striscia di Gaza e nel Negev occidentale, che hanno causato la morte della 22enne Dana Galkovitch a Netiv Ha’asara (Israele) e che terrorizzano gli abitanti di Sderot e Gush Katif.
Sebbene il ministro degli esteri palestinese si sia candidamente rimangiato l’impegno che l’Autorità Palestinese si era assunta sottoscrivendo la Road Map di confiscare le armi e gli esplosovi nelle mani di Hamas, Jihad Islamica e dei soggetti all’interno di Fatah schierati con il fronte del rifiuto, la Rice si è ugualmente complimentata con la dirigenza palestinese per aver fatto “passi importanti” contro il terrorismo. Sono complimenti sbagliati.
Resta da indovinare a quali “passi” facesse riferimento la Rice: forse si riferiva al proposito di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di incorporare i terroristi nelle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese; o forse allo sforzo tardivo, discontinuo, ampiamente inefficace e, a quanto pare, già interrotto da parte del suo ministro degli interni Nasser Youssef di porre fine al caos palestinese, non per il bene di Israele ma dei palestinesi stessi.
Quali che fossero questi “passi”, a una ventina di giorni dal disimpegno l’avversione di Abu Mazen ad affrontare gli estremisti ha contribuito a rendere possibile l’assassinio sabato notte di una coppia di israeliani che rincasavano dopo aver fatto visita ai famigliari a Ganei Tal. Gli ci sono volute parecchie ora ad Abu Mazen anche solo per condannare l’agguato, e non perché immorale in se stesso ma in quanto controproducente per i palestinesi.
Un’ulteriore strage è stata sventata, certo non grazie all’Autorità Palestinese, nella notte di venerdì quando le Forze di Difesa israeliane hanno catturato un attentatore suicida affiliato al movimento Fatah (che fa capo ad Abu Mazen) partito con l’intenzione di farsi esplodere in un luogo affollato di Tel Aviv. Il terrorista, che aveva addosso una cintura esplosiva da cinque chili imbottita di chiodi, aveva attraversato la barriera difensiva attorno alla striscia di Gaza nella zona del kibbutz Nir-Am. Un altro infiltrato, sposato a una donna arabo israeliana di Giaffa e dunque meno soggetto a controlli, aveva il compito di portare l’attentatore sull’obiettivo.
Complessivamente sono stati 92 i tentativi di infiltrazione terroristica dalla striscia di Gaza in Israele sventati dalle forze di sicurezza israeliane dall’inizio del 2005. Quello di venerdì scorso è stato il primo tentativo riuscito di penetrare da Gaza in Israele.
In questo contesto, l’ammirazione della Rice per i “passi” intrapresi da Abu Mazen per frenare il terrorismo palestinese appare un po’ fuori luogo. Eppure la Rice si è spinta oltre, con un’ulteriore incongrua dichiarazione: “Quando gli israeliani si ritireranno, la striscia di Gaza non potrà restare sigillata e isolata… siamo impegnati a garantire un collegamento fra Gaza e Cisgiordania”. Un’affermazione di questo genere suona sgradevole per almeno due motivi.
Primo, perché sottintende che Israele starebbe arbitrariamente ostacolando i movimenti palestinesi, presumibilmente per puro dispetto o per capriccio, come se questi movimenti non avessero gravi e immediate implicazioni sulla sicurezza.
Secondo, perché proprio nel momento in cui Israele si trova contemporaneamente sotto attacco terroristica e lacerato sullo sgombero degli insediamenti, Washington sembra voler andare alla ricerca di qualche altra richiesta palestinese da appoggiare e con la quale redarguire pubblicamente Israele.
È quella che viene chiamata “equidistanza”, un atteggiamento che il predecessore della Rice all’inizio dell’amministrazione Bush si era ripromesso di non continuare, e che invece rimane una chiave di volta della politica statunitense. L’equidistanza si basa sull’idea che gli Stati Uniti debbano preservare la propria credibilità come “onesto mediatore” calibrando col bilancino le dichiarazioni volte ad accontentare o scontentare le due parti. Ma in genere c’è ben poca “onestà” in questo esercizio. Onestà significa lodare e criticare dove e quando lodi e critiche sono meritati, certo non distribuendole sommariamente ed arbitrariamente in eguali proporzioni, anche quando una delle parti sta facendo uno sforzo doloroso e rischioso per la pace mentre l’altra si sta preparando per il prossimo round di terrorismo.
Il Medio Oriente ha bisogno di più onestà e di meno equidistanza. Il terrorismo, pensavamo fosse la convinzione dell’amministrazione Bush, deve imbattersi in una condanna morale di assoluta chiarezza. Può darsi che anche un ultimatum senza incertezze non sarebbe sufficiente per costringere Abu Mazen a fare i passi che deve fare. Ma è chiaro, comunque, che niente che sia meno di un netto ultimatum otterrà nulla del genere.

(Da: Jerusalem Post, 25.07.05)