Gli iraniani alle porte

Senza allentamento delle sanzioni, Teheran non avrebbe potuto nemmeno sognare di investire enormi risorse finanziarie e militari nell’edificazione di un nuovo impero persiano

Di Avi Issacharoff

Avi Issacharoff, autore di questo articolo

A meno di grossi cambiamenti, Israele rischia di trovarsi avviato verso un altro scontro violento lungo il suo confine settentrionale, questa volta contro truppe iraniane o combattenti sostenuti dall’Iran e dotati di missili su ordine da Teheran.

La scomparsa dello Stato Islamico (ISIS) da vaste porzioni della Siria, unita alla mancanza di interesse (o di volontà) da parte delle superpotenze di rimuovere Assad dal potere, stanno aprendo la strada al controllo iraniano dei territori fino a poco tempo fa tenuti dal gruppo jihadista. Allo stesso tempo, un enorme numero di combattenti Hezbollah fedeli all’Iran si sono trincerati nel Libano meridionale, sia in postazioni ben visibili sia in punti d’osservazione spacciati per “osservatori a scopi ambientali”, stando a quanto riferiscono gli ufficiali israeliani. Israele non potrà tolleralo a lungo. La presenza di forze sciite al confine, siano esse Hezbollah o altre milizie sostenute dall’Iran, unita agli sforzi dell’Iran di far affluire armamenti in grado di alterare gli equilibri militari, segnalano che l’era della calma che Israele ha goduto dopo la guerra contro Hezbollah dell’estate del 2006 sta arrivando al capolinea.

All’inizio di questo mese il nuovo ministro della difesa iraniano ha dichiarato che il suo paese ha privilegiato il potenziamento del proprio programma missilistico e l’esportazione di armi per puntellare i vicini alleati. “Quando un paese diventa debole, altri sono incoraggiano ad attaccarlo – ha detto il generale Amir Hatami, senza specificare di quali paesi stesse parlando – Dovunque sia necessario, esportiamo armi per aumentare la sicurezza della regione e di singoli paesi, per evitare guerre”.

All’inizio del funerale di un loro generale a Teheran, due Guardie Rivoluzionarie iraniane hanno preparato una bandiera israeliana che verrà calpestata e poi bruciata durante la cerimonia

Gerusalemme ha messo in guardia contro gli sforzi iraniani di creare strutture per la produzione di missili in Libano. Il ministro della difesa Avigdor Liberman ha detto al Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, nel loro incontro in Israele alla fine di agosto, che l’Iran sta “lavorando per creare fabbriche per produrre armi di precisione all’interno dello stesso Libano”. Liberman non ha minacciato esplicitamente di attaccare le fabbriche di missili iraniani in Libano, ma ha affermato che “il governo libanese e i cittadini del Libano meridionale devono sapere” che Israele sarà costretto a reagire con determinazione e potrebbe essere trascinato in futuri conflitti. La presenza di progetti per almeno due stabilimenti iraniani per la produzione di missili è stata rivelata da Israele all’inizio dell’estate. A fine agosto il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto a Guterres che l’Iran è coinvolto anche nella costruzione di un’altra base missilistica in Siria. Non è ancora il momento di correre nei rifugi. A quanto risulta l’Iran non ha ancora iniziato a costruire gli impianti missilistici, verosimilmente destinati a produrre missili più potenti e più precisi di quelli nell’attuale arsenale di Hezbollah. Ma non ci vorrà molto tempo. I contratti tra la Siria e il Libano da una parte e l’Iran dall’altra per creare le fabbriche sono quasi completati, cosi come un accordo che permetterà all’Iran di costruire un porto in Siria, guadagnandosi un accesso diretto al Mediterraneo.

Perché tutte queste carte notarili? Secondo i funzionari israeliani, l’Iran sta cercando di adottare il modello usato dalla Russia quando si è assicurata il permesso di piazzare un porto a Tartus, cosa che venne fatta con l’approvazione di entrambi i rami del parlamento secondo modalità che supererebbero anche l’esame di un tribunale internazionale. Questi contratti possono essere annullati solo con l’accordo di entrambe le parti. Anche gli iraniani vogliono assicurarsi il loro porto marittimo, ed ecco perché stanno prestando un’attenzione così meticolosa agli aspetti legali.

Postazione Hezbollah al confine con Israele spacciata per un punto d’osservazione a scopi di “tutela ambientale”

L’investimento iraniano non si limita al porto marittimo e agli impianti per la produzione di razzi. Teheran investe molti denari e risorse anche in vari progetti economici in Siria, da una rete per cellulari alle estrazioni minerarie. Assad, consapevole che questo è l’unico modo per garantire la sopravvivenza della sua dinastia alawita, ha dato la sua benedizione. Per ora la presenza militare iraniana in Siria si limita ufficialmente ai “consiglieri” della Guardia Rivoluzionaria. Ma si tratta di qualcosa di molto più consistente se si tiene conto delle molte migliaia di sciiti sparsi in tutta la Siria che sono a libro-paga di Teheran. Hezbollah, la milizia più fedele all’Iran, ha già schierato in Siria in modo permanente un terzo delle truppe da combattimento che ha a disposizione, e nonostante le gravi perdite subite sembra non avere alcuna intenzione di lasciare il paese nel futuro prevedibile.

In Libano, dove il denaro è nelle mani di grandi e ben note famiglie di affaristi sunniti e cristiani, gli iraniani sono meno interessati a investire in infrastrutture e vogliono solo costruire l’impianto per produrre missili di precisione. Il primo ministro libanese Saad Hariri – il cui governo comprende anche Hezbollah sebbene egli abbia accusato la Siria, alleata di Hezbollah, d’aver assassinato suo padre Rafik Hariri il 14 febbraio 2005 – è troppo debole per affrontare Hezbollah e i suoi sostenitori.

Mentre Teheran investe enormi risorse per trasformare la Siria in una provincia iraniana, gli Stati Uniti e la Russia hanno deciso di trascurare questo dramma che altera profondamente la regione. I russi sono gli unici che potrebbero veramente fare la differenza. Ma non hanno alcuna intenzione di farlo. È vero il contrario: per loro, la presenza di migliaia di sciiti servirà a puntellare il regime di Assad. L’incontro del mese scorso a Sochi tra Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin probabilmente non cambierà di molto questa aritmetica. La Russia vuole vedere Assad rafforzato, anche se questo significa consentire a Teheran di farlo.

Un carro armato di produzione sovietica T-72 fotografato nella regione di Aleppo, in Siria, con le insegne di Kataib Hezbollah (Brigata del Partito di Dio), gruppo paramilitare iracheno sciita sostenuto dall’Iran

Washington avrebbe potuto fare pressione sulla Russia. Ma il presidente Donald Trump, in tutt’altre faccende affaccendato, ha scelto di ignorare ciò che sta succedendo in Siria: una scelta di per sé assai pericolosa. A fine agosto il quotidiano Asharq al-Awsat ha riferito che gli Stati Uniti hanno ceduto con la Russia su diverse questioni, durante i recenti colloqui ad Amman sul cessate il fuoco nella Siria meridionale e presso le alture del Golan. In primo luogo, gli americani hanno convenuto che spetterà agli ispettori russi monitorare l’attuazione del cessate il fuoco e farsi “giudici” nei conflitti tra le forze filo-Assad e filo-Iran e i loro avversari: in pratica, come lasciare i topi a guardia del formaggio. In secondo luogo, gli americani hanno accettato che le milizie sciite (filo-iraniane) si schierino fino a 10 miglia (16 km) dal confine con la Giordania e il Golan israeliano, e non a 20 miglia (32 km) come Washington e Amman avevano inizialmente chiesto. Secondo il reportage, in alcuni punti la zona cuscinetto si ridurrà addirittura a cinque miglia (8 km). Se la notizia è vera, non si può fare a meno di pensare che l’amministrazione Usa sta voltando le spalle alle più elementari esigenze di sicurezza di Israele su questo fronte.

Ma non è solo colpa di Trump. I massicci investimenti dell’Iran sono evidentemente il risultato della maggiore stabilità finanziaria raggiunta dal paese grazie all’accordo sul nucleare iraniano sottoscritto dal predecessore di Trump, Barack Obama. Il budget delle forze armate iraniane è ora di 23 miliardi di dollari e le Guardie Rivoluzionarie hanno visto un balzo del 40% del loro bilancio rispetto allo scorso anno. Senza l’allentamento delle sanzioni, Teheran non si sarebbe mai potuta nemmeno sognare di lanciarsi nell’edificazione di un nuovo impero persiano esteso dallo Yemen al Libano, passando per l’Iraq e la Siria.

(Da: Times of Israel, 3,9.17)