Grandi successi, ma ancora tanta strada da fare

Forse dovremmo cambiare la nostra definizione di anno non male.

image_71Alcuni commenti dalla stampa israeliana nella 56esima Giornata dell’Indipendenza

Scrive il Jerusalem Post: Israele ha molto da festeggiare. Contro ogni probabilità, il popolo ebraico oggi ha un paese nella sua terra, dopo duemila anni di esilio. Israele non rappresenta un successo soltanto rispetto ai suoi vicini, ma anche su scala globale. Nonostante le zoppicanti politiche economiche, il nostro standard di vita si classifica oggi al 35esimo posto fra le nazioni del mondo, e l’aspettativa di vita al 19esimo posto (sopra a Stati Uniti e Regno Unito). Abbiamo di gran lunga il più alto numero per abitante di imprese start-up nel settore hi-tech e attiriamo investimenti venture capital più di molti paesi europei. In proporzione, Israele ha il più alto numero al mondo di laureati, e la quarta forza aerea del mondo dopo Stati Uniti, Russia e Cina. Paradossalmente tuttavia, visto il mondo in cui siamo abitualmente diffamati, i nostri maggiori successi non sono materiali, bensì morali. I nostri nemici sono rosi dall’odio verso di noi e veniamo attaccati in modo così efferato che chiamarla guerra significa dare dignità a un’aggressione sostenuta quasi interamente da veri e propri criminali di guerra. Eppure non abbiamo gettato dalla finestra i nostri valori democratici in nome della sicurezza, come dimostrano l’accurato scrutinio giudiziario cui sono sottoposte le forze di polizia e la libertà che hanno tutti i parlamentari arabi di ingiuriare il loro paese e di schierarsi dalla parte dei suoi nemici. Più tragicamente, abbiamo sacrificato la vita di tanti nostri soldati per ridurre la minimo possibile le vittime fra i palestinesi in un modo che poche, o forse nessuna democrazia al mondo avrebbe fatto in condizioni analoghe. I giorni che ci attendono potrebbero non essere facili sotto molti aspetti. Ma, nel momento in cui festeggiamo la nostra 56esima giornata dell’indipendenza, ricordiamoci quanta strada abbiamo fatto e, allo stesso tempo, quanta ancora dobbiamo farne per migliorare ciò che è e resta un’opera in corso di realizzazione. In base alla nostra esperienza, possiamo confidare nel futuro successo.

Scrive Ha’aretz: La palude diplomatica in cui Israele si trova nella sua 56esima giornata dell’indipendenza non è iniziata nel corso dell’ultimo anno, e non aiuta il paese ad essere accettato come parte integrante del Medio Oriente. Sia le guerre passate che la guerra in corso con i palestinesi, che dura già da tre anni e mezzo, hanno generato un conflitto regionale che a prima vista sembra irrisolvibile. Gli arabi vedono Israele come uno stato occupante che brama espandersi. Israele vede gli arabi come eterni nemici il cui solo obiettivo e spazzarne via l’esistenza. Queste percezioni hanno offerto le basi ideologiche per le guerre d’Israele. Questa è la realtà che il conflitto israelo-palestinese impone ormai da decenni. La soluzione è complicata, ma non impossibile. Deve iniziare con un cambiamento nel modo di vedere di entrambe le parti. La volontà d’Israele di correggere il proprio punto di vista – ritirandosi da territori e smantellando insediamenti – è qualcosa di più di un semplice messaggio inviato ai palestinesi per cui anch’essi devono adottare una visione del mondo realistica. L’adozione di politiche realistiche da entrambe le parti – politiche che respingano le vecchie ideologie, buone più che altro a fomentare conflitti – potrebbe essere il grande contributo offerto da questo Giorno dei Caduti al Giorno dei Caduti dell’anno prossimo.

Scrive Yediot Aharonot: Obiettivamente parlando si può dire che l’anno trascorso non è stato poi tanto male. L’economia è tornata a crescere. Una parte cruciale della barriera anti-terrorismo è stata finalmente costruita. Sono state inaugurate nuove ferrovie. Le organizzazioni terroristiche hanno subito un colpo dopo l’altro. I servizi di sicurezza hanno ottenuto successi impressionanti. Capitali stranieri sono tornati ad affluire nel paese, oliando gli ingranaggi della nostra economia. Le esportazioni fioriscono. E fioriscono la cultura del paese, e il suo cinema. Cosa è che è andato male? Forse dovremmo cambiare la nostra definizione di “anno non male”. Come può essere “non male” un anno in cui sono caduti 185 membri delle forze di difesa nella guerra contro il terrorismo, e 137 civili sono stati uccisi dai terroristi? Come può essere “non male”, quando la disoccupazione continua a svettare e i dati sulla povertà toccano nuovi record? Come può essere OK quando si teme che le ombre della corruzione si staglino sulla testa del primo ministro? Fra quattro anni Israele compirà 60 anni. E’ ora di maturità e normalizzazione. E’ ora di stabilire confini. E’ ora di ancorare la vita pubblica a standard di diritto, moralità e integrità. E’ ora di porre fine al conflitto con i nostri vicini. E’ ora di eliminare la povertà, la disoccupazione e gli squilibri educativi.

(Da: Jerusalem Post, Ha’aretz, Yediot Aharonot, 26.04.04)