Hamas è frustrata, dunque pericolosa

Perso il sostegno di Cairo e Damasco, in rotta con Ramallah, il movimento islamista palestinese ricorre all’inveterata tattica dei capi arabi: alimentare le fiamme contro Israele

Editoriale del Jerusalem Post

Hamas è sotto pressione. I legami dell’organizzazione terroristica islamista palestinese con l’Egitto non erano particolarmente buoni neanche sotto il presidente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, ma per Hamas le cose vanno di male in peggio da quando in Egitto la giunta militare ha cacciato dal potere con la forza la Fratellanza Musulmana. Le forze armate egiziane hanno lanciato una grossa offensiva lungo il confine con la striscia di Gaza, nel quadro di una più ampia campagna che mira a riprendere il controllo sulla penisola del Sinai precipitata nel caos. Le forze egiziane hanno intensificato la distruzione dei tunnel usati per il traffico di armi e merci (vera e propria arteria su cui si fonda la forza dei clan che controllando il contrabbando a Gaza) perché si ritiene che costituiscano le vie di fuga utilizzate da beduini e terroristi islamisti dopo che hanno messo a segno attacchi e attentati contro soldati e poliziotti egiziani. Intanto da Gaza giungono notizie di serie difficoltà economiche, tanto da rendere concretamente possibili, all’interno della Striscia, rivolte popolari e rafforzamento dei gruppi estremisti salafiti e della jihad globale.

Il confine fra striscia di Gaza e Sinai egiziano

Il confine fra striscia di Gaza e Sinai egiziano

Naturalmente oggi il Cairo si guarda bene dal rilanciare i rapporti con Gaza, abbandonando l’Hamastan palestinese alla sua condizione di paria. Il mese scorso il ministro degli esteri egiziano Nabil Fahmy ha minacciato una “dura reazione” se Hamas dovesse mettere in qualche modo a repentaglio la sicurezza nazionale dell’Egitto, e i pescatori di Gaza sono stati ripetutamente maltrattati per essersi avvicinati troppo al confine marittimo con l’Egitto.

Nel frattempo in Cisgiordania l’Autorità Palestinese si è rimessa in piedi, guadagnando ampia copertura mediatica e sostegno internazionale per la sua disponibilità a tornare al tavolo dei negoziati con Israele. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha fatto notizia per aver detto alla tv tedesca Deutsche Welle che i negoziati non sono a un punto morto, contrariamene a quanto sostenuto dagli esponenti palestinesi, e ha garantito che lo dice a nome di tutto il popolo palestinese, nonostante vi siano anche forti opposizioni. E l’Autorità Palestinese può vantare dei risultati concreti per la sua disponibilità a trattare: 26 detenuti palestinesi, per la maggior parte terroristi responsabili della morte di israeliani innocenti, sono già stati rilasciati nella prima di tre fasi di scarcerazioni. Altri due gruppi di detenuti verranno scarcerati nei prossimi mesi.

Al contrario, Hamas in Cisgiordania è in declino. Dopo aver ottenuto nel 2006 una vittoria schiacciante alle elezioni locali in gran parte delle città di Cisgiordania, Hamas è gradualmente diventata un movimento marginale e perseguitato, in calo nel sostegno pubblico. Proprio nelle ultime settimane le forze dell’Autorità Palestinese hanno fatto irruzione nelle case di importanti attivisti di Hamas e Jihad Islamica e hanno lanciato un’operazione per stanare gli islamisti a Jenin. Hamas non è riuscita ad aprire nemmeno una sede fuori dalla striscia di Gaza. Il mese scorso la Giordania pare abbia rifiutato centinaia di milioni di dollari in aiuti offerti dal Qatar, uno dei pochi sostenitori di Hamas, in cambio del permesso a Hamas di aprire uffici nel Regno Hashemita. E la settimana scorsa l’alto esponente di Hamas Moussa Abu Marzouk ha criticato Khaled Mashaal, capo dell’ufficio politico di Hamas, per la scelta di schierarsi con i ribelli siriani sganciando di fatto l’organizzazione dalla Siria.

"Le minacce di Ismail Haniyeh non vanno prese alla leggera"

“Le minacce di Ismail Haniyeh non vanno prese alla leggera”

È su questo sfondo di conflitto e declino politico che vanno lette le recenti dichiarazioni del “primo ministro” di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, che sabato scorso, celebrando i due anni dal riuscito ricatto per l’ostaggio Gilad Shalit, ha esortato arabi e musulmani a prepararsi per quella che ha definito la nuova “grande intifada di al-Aqsa” contro Israele, inneggiando ai recenti attentati terroristici in Cisgiordania (uno dei quali ha visto il ferimento di una bambina di 9 anni). Evidentemente spinto da un senso di frustrazione, Haniyeh ha fatto dunque appello alla collaudata tattica dei capi arabi: indirizzare la disperazione contro Israele. Haniyeh ha accusato lo stato ebraico di approfittare dei colloqui di pace per “giudaizzare” Gerusalemme e la Moschea al-Aqsa e ha avvertito che Israele non potrà reggere il “fuoco e la rabbia” che potranno esplodere a causa dei suoi “crimini” contro Gerusalemme e la moschea.

Le minacce di Haniyeh non vanno prese alla leggera. La scoperta di un lungo tunnel di cemento che dalla periferia di Khan Yunis, nella striscia di Gaza, arrivava a ridosso del kibbutz Ein Hashlosha, il terzo tunnel di questo tipo trovato quest’anno, serve a ricordare quali sono le intenzioni di Hamas. Nella distorta logica interna della politica palestinese, un riuscito attacco terroristico o il sequestro di un ostaggio israeliano, militare o civile, servirebbero a rilanciare e rafforzare la popolarità di Hamas.

Mentre il governo d’Israele fa bene a continuare a lavorare per negoziare un accordo di pace con l’Autorità Palestinese, bisogna anche stare attenti a una Hamas che si sente sempre più isolata e frustrrata, ed è quindi sempre più pericolosa.

(Da: Jerusalem Post, 20.10.13)