I buoni frutti dell’ambiguità nucleare

Chi ha da temere dal programma nucleare israeliano? Solo chi vorrebbe tentare di distruggere Israele. Dunque il nucleare israeliano è un fattore di stabilità.

Di Shlomo Aharonson, scienze politiche Università di Gerusalemme

image_285Chi ha da temere dal programma nucleare israeliano? Solo chi vorrebbe tentare di distruggere Israele. Dunque il nucleare israeliano è un fattore di stabilità.

Alla vigilia della sua visita in Israele, il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) Mohamed ElBaradei ha rilasciato alcune dichiarazioni problematiche. Parlando da Mosca, ha tracciato un parallelo tra il programma nucleare israeliano, avviato molto prima della nascita dell’Agenzia, e l’attuale programma nucleare iraniano.
ElBaradei è un egiziano che ha ricoperto vari incarichi internazionali ed è considerato per lo più abbastanza imparziale e obiettivo. Il suo compito consiste del garantire che ogni paese firmi il trattato contro la proliferazione delle armi nucleari. Un trattato sottoscritto molto tempo dopo che Israele aveva già avviato il suo programma nucleare.
Da qui si può chiaramente affermare che Israele in pratica è entrato a far parte del “club nucleare” ben prima che l’accordo venisse messo in atto. Ma il tentativo di mettere sullo stesso piano Israele e Iran potrebbe offrire agli iraniani un pretesto ufficiale per sviluppare la loro bomba atomica, esattamente ciò che l’agenzia dovrebbe impedire.
Come può essere? In teoria ElBaradei ha accolto l’argomentazione di Israele che dice che aderirà a un programma per la denuclearizzazione del Medio Oriente solo quando vi sarà la pace: una pace piena con tutti i suoi nemici giurati, come l’Iran e relativi satelliti.
Si pone qui una questione tipo quella dell’uovo e della gallina. Non solo ElBaradei, ma anche altre persone e politici occidentali di buona volontà hanno sostenuto in passato che l’instabilità in Medio Oriente è causata dal monopolio nucleare israeliano. Anzi, che Dimona sarebbe stata e sarebbe ancora oggi la causa della corsa al nucleare di altri, la Libia a suo tempo e oggi l’Iran. Dunque, per il suo stesso bene Israele dovrebbe rinunciare al monopolio e aprire i suoi impianti a ispezioni e controlli, rimettendo dentro la bottiglia il genio dell’atomica.
Sin dai tempi di Ben Gurion, vero padre del programma nucleare israeliano, la posizione di Israele su questo delicato tema è stata chiara. Dimona costituisce la migliore garanzia per la nostra sopravvivenza, senza alcun bisogno di sbandierarla in faccia a nessuno. A causa dello squilibrio dei rapporti di forza che esiste tuttora tra Israele e mondo arabo (cinque milioni di ebrei a fronte di 320 milioni di arabi, Iran escluso), non ci sarebbe alcuna vera ragione politica o strategica per spingere gli arabi ad accettare l’esistenza di Israele.
Non esiste al mondo un altro caso simile, in cui i vicini di un paese sono votati alla sua distruzione. Da qui si può dedurre che i rapporti fra Israele e i suoi vicini non sono “normali”, questione nucleare compresa. Il messaggio è: i vicini che vorrebbero tentare di distruggere Israele, con armi convenzionali o non convenzionali, sappiano che dovrebbero pagare un prezzo molto più alto di quanto sono disposti a rischiare.
Questa logica è quella che ha imposto molti limiti a Egitto e Siria durante la guerra di Yom Kippur (1973), ed è la stessa che, al momento opportuno – quando si è trattato di cedere terre– ha svolto un ruolo cruciale nel successo degli accordi di pace fra Egitto e Israele (1979). E’ la stessa logica che ha giocato una parte importante nel tenere a freno Saddam Hussein durante la prima guerra del Golfo (1991), e oggi nel tenere a freno Siria e Iran per quanto concerne Israele.
Ma la politica nucleare viene condotta con grande attenzione e saggezza, senza agitare l’immagine di una strage nucleare su milioni di arabi e iraniani, nè con dichiarazioni pubbliche da grande e terribile potenza come facevano i sovietici a suo tempo con gli americani, nè minacciando sfracelli sull’intera nazione araba, o sui paesi che pensassero di azzardarsi ad infliggere un colpo mortale a Israele.
Israele ha adottato piuttosto una politica di ambiguità nucleare (né confermare, né smentire). Questa indeterminatezza significa che la realtà viene vista attraverso una sorta di prisma. Chi voglia vederla così com’è, lo può fare. Chi invece non vuole trasformare i sistemi di sicurezza israeliani in una bagarre internazionale, può evitarlo.
Mohamed ElBaradei può scegliere di non guardare attraverso il prisma. Così facendo, offrirebbe – a proprio danno – una legittimazione al programma nucleare iraniano. Se quel programma si realizzerà, l’equilibro dei rapporti di forza in Medio Oriente verrà alterato. I terroristi Hezbollah otterranno un appoggio nucleare, così come la Siria e tutti i nemici mediorientali degli Stati Uniti e dell’occidente. Un altro grave fattore di rischio verrebbe ad aggiungersi in un’area giù instabile. Bisogna sperare che Strati Uniti e paesi occidentali non vogliano dare una mano a ElBaradei, ma usino piuttosto i meccanismi dell’Agenzia per fare pressione sull’Iran se continuerà a perseguire il suo programma nucleare.

(Da: Ma’ariv, 7.07.04)