I calcoli sbagliati di Ahmadinejad

Israele è moderato e pragmatico, ma anche assai risoluto quanto è in gioco la sua sopravvivenza

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2920Mahmoud Ahmadinejad si atteggia spesso a gran conoscitore della realtà israeliana. Israele, ha ripetuto per l’ennesima volta le settima scorsa, è “troppo debole” per colpire militarmente l’Iran, e “non ha abbastanza coraggio” per impedire con determinazione i progressi di Teheran verso l’atomica.
Il presidente iraniano si sbaglia. Né debole né privo di coraggio, Israele è invece misurato, umano e pragmatico. Ma è anche, soprattutto, molto risoluto quando viene messa in questione la sua sopravvivenza.
Nel 1981 Israele, pur con riluttanza, colpì e distrusse il reattore iracheno di Osirak perché aveva capito che Saddam Hussein, se gli si permetteva di procurarsene i mezzi, avrebbe potuto alzarsi una mattina e decidere, a dispetto di qualsiasi analisi razionale costi/benefici, di lanciare un attacco nucleare contro Israele. Nel 2007 Israele colpì il reattore siriano in costruzione, di nuovo senza alcuna arroganza né vanteria, al solo scopo di prevenire in modo chirurgico una spaventosa minaccia ad opera di un nemico senza scrupoli.
Finora Israele ha scelto di non sfidare sul piano militare la marcia dei mullah verso l’atomica: vale a dire che ha scelto di non seguire la sua sperimentata dottrina volta a impedire ai nemici di procurarsi gli strumenti atti a decretare la sua fine, semplicemente perché non sente ancora l’assoluta urgenza di farlo.
I leader e l’opinione pubblica, qui in Israele, sono rimasti sconvolti per anni dall’apparente indifferenza del resto del mondo di fronte alla crescente minaccia al mondo libero rappresentata dal programma iraniano. L’Iran, dopo tutto, non ha mai fatto mistero della sua volontà di modificare l’ordine mondiale in base alla propria immagine fondamentalista, religiosamente distorta, spietata e misogina. La possibilità di disporre di nucleare militare lo agevolerebbe assai in questo suo proposito. Ahmadinejad stesso si rimetterà presto in viaggio per la comparsata che gli viene scandalosamente permesso di fare ogni anno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove dispensa ammaestramenti alle grandi potenze guidate dagli Stati Uniti ammonendole di pentirsi se non vogliono essere dannate.
Di recente Stati Uniti ed Europa si sono posti alla testa di una campagna di sanzioni economiche un po’ più robusta e Israele, tenendo sempre d’occhio l’orologio del nucleare iraniano, continua a fremere tacitamente per la perdita di tempo, pur approvando pubblicamente gli sforzi di pressione che, teme, potrebbero essere troppo poco e troppo tardi. Comunque finora Israele non ha ritenuto che fosse arrivato il momento della verità.
Questi ultimi giorni, tuttavia, hanno visto una serie di notizie che indicherebbero che Israele o ha già deciso che dovrà agire contro l’Iran, o è sul punto di arrivare ad una tale decisione. Jeffrey Goldberg, scrivendo di recente per “The Atlantic” sulla base di quelle che afferma essere le opinioni raccolte da una quarantina di decisori politici israeliani presenti o passati, afferma che “vi sono più del 50% di probabilità che Israele lanci un raid entro il prossimo luglio”. Goldberg giunge a sostenere che il Pentagono avrebbe già ordinato ai comandanti Usa nella regione di non abbattere eventuali aerei israeliani diretti verso l’Iran che dovessero incrociare nello spazio aereo sotto il loro controllo. Anche la scelta di Yoav Galant come successore di Gabi Ashkenazi al posto di capo di stato maggiore israeliano viene generalmente ascritta, almeno in parte, all’audacia e fiducia in se stesso che viene attribuita al personaggio in relazione al contesto iraniano. “Considerando che l’anno entrante sarà con ogni probabilità un anno di decisioni cruciali – ha scritto martedì scorso il corrispondete militare del Jerusalem Post – evidentemente il ministro della difesa Ehud Barak ha ritenuto che gli occorresse qualcuno che sia capace di prendere la decisione di ricorre alle Forze di Difesa israeliane, qualora il governo dovesse dare luce verde per una tale operazione”.
L’Iran non è di facile lettura per gli analisti dell’intelligence. Colpirebbe Israele se ottenesse la Bomba? O cercherebbe di evitare la reazione israeliana fornendone la potenzialità a un protagonista non statale che colpirebbe al suo posto? O si “limiterebbe” a usare la capacità nucleare per alterare l’equilibrio di forze in Medio Oriente a drastico danno di Israele? Non esistono risposte semplici a queste domande. Allo stesso tempo, le conseguenze di un’azione militare israeliana in Iran sono prossime all’inimmaginabile. Tanto per cominciare, a differenza di Saddam, l’Iran potrebbe darsi sia alla ritorsione, sia alla ricostruzione.
D’altra parte, Ahmadinejad dimostra un’attitudine a sbagliare i calcoli potenzialmente molto pericolosa. Giacché questo giornale (che è stato citato nella sproloquiante conferenza stampa di Hassan Nasrallah all’inizio di questo mese a Beirut) viene senza dubbio portato all’attenzione del presidente iraniano, ci sentiamo di mettere bene in chiaro un concetto: se Israele dovesse convincersi che le sanzioni hanno fallito, che l’Iran sta per dotarsi della capacità di realizzare i suoi dichiarati propositi di cancellare Israele dalla carta geografica, e che solo un intervento militare israeliano potrebbe prevenire un secondo Olocausto, allora i nostri leader non avranno altra scelta che agire, per quanto malvolentieri. Non abbiamo raccolto la maggioranza della nazione ebraica qui, in un’entità sovrana che tragicamente ha rivisto la luce troppo tardi per poter salvare milioni di ebrei dai nazisti, per restare ora impotenti e con le mani in mano mentre un nuovo nemico genocida si appresta ad avverare la nostra distruzione.

(Da: Jerusalem Post, 28.08.10)

Nella foto in alto: la bandiera iraniana davanti a un missile Safir-2