I giorni che precedettero i sei giorni

Non c'è un solo “piano di pace” arabo che non esiga il ritorno allo status quo del 4 giugno 1967

Da un articolo di Charles Krauthammer

23 maggio 1967, riservisti israeliani mobilitati sul fronte sud

Non c’è un solo “piano di pace” arabo degli ultimi 40 anni, compreso quello saudita attuale, che non esiga il ritorno allo status quo del 4 giugno 1967. Perché questa data è così sacra? Perché era il giorno prima dello scoppio della guerra dei sei giorni, con la quale Israele conseguì una vittoria fra le più eclatanti del XX secolo. Da quarant’anni gli arabi cercano di cancellarne le conseguenze.
Il vero anniversario della guerra dei sei giorni dovrebbe cadere tre settimane prima. Il 16 maggio 1967, il presidente egiziano Gamal Nasser chiese lo sgombero dalla penisola del Sinai della Forza d’interposizione ONU che per dieci anni aveva mantenuto una certa pace fra Egitto e Israele. Le Nazioni Unite obbedirono, e a quel punto Nasser impose il blocco navale dell’unico sbocco marino d’Israele verso il sud, il porto di Eilat, un vero e proprio atto di guerra.
Come fu che l’Egitto arrivò a questa provocazione irresponsabile è una storia complicata (raccontata da Michael Oren nel libro “La guerra dei sei giorni”), fatta di intenzioni aggressive combinate con fatali disinformazioni. L’Unione Sovietica aveva passato con urgenza ai suoi clienti mediorientali Siria ed Egitto la notizia, falsa, secondo cui Israele stava ammassando truppe per attaccare il confine siriano. Israele cercò disperatamente di dimostrare l’infondatezza dell’accusa invitando per tre volte l’ambasciatore sovietico a visitare la zona del fronte, ma questi rifiutò. L’allarme sovietico innescò una sequenza di manovre inter-arabe che, a loro volta, portarono Nasser, il campione del pan-arabismo, ad un affrontare mortalmente Israele rimilitarizzando il Sinai e imponendo il blocco a sud.
Perché tutto ciò è ancora oggi importante? Perché le tre settimane tra il 16 maggio e il 5 giugno 1967 aiutano a spiegare la quarantennale riluttanza d’Israele a rinunciare ai frutti della guerra dei sei giorni – il Sinai, il Golan, la Cisgiordania e la striscia di Gaza – in cambio di un pezzo di carta che dovrebbe garantire la pace. Israele aveva ottenuto analoghe garanzie dopo la guerra del 1956 sul Canale di Suez, in seguito alle quali aveva sgomberato il Sinai in cambio di una forza di interposizione ONU e dell’assicurazione da parte dalle potenze occidentali di mantenere libero il passaggio per gli Stretti di Tiran. Ma tutti questo era scomparso a un solo cenno di Nasser.
In quelle tre interminabili settimane, il presidente americano Lyndon Johnson cercò di raccogliere un convoglio di navi di diversi paesi che sfidasse il blocco degli Stretti di Tiran e aprisse la strada al sud d’Israele. Ma il tentativo era miseramente fallito.
È difficile esagerare quello che furono quelle tre settimane per Israele. L’Egitto, già alleato militare della Siria, strinse un patto militare d’emergenza con la Giordania, l’Iraq, l’Algeria, l’Arabia Saudita, il Sudan, la Tunisia, la Libia e il Marocco, i quali cominciarono a inviare contingenti militari per partecipare al combattimento imminente. Mentre truppe e blindati andavano ammassandosi su tutte le frontiere d’Israele, le trasmissioni radio e televisive da ogni capitale araba annunciavano giubilanti l’imminente guerra finale per lo sterminio d’Israele. “Distruggeremo Israele e i suoi abitanti proclamava l’allora capo dell’Olp Ahmed Shuqayri – e per i sopravvissuti, se ce ne saranno, sono pronte le navi per deportarli”.
Per Israele, l’attesa fu debilitante e penosissima. L’esercito israeliano fatto di cittadini dovette mobilitare tutti le riserve. Mentre i cittadini soldati aspettavano sui vari fronti che il mondo venisse in soccorso della nazione in pericolo, la società israeliana era completamente bloccata e l’economia cominciava a dissanguarsi. Il capo di stato maggiore Yitzhak Rabin, in seguito celebrato come eroe di guerra e più tardi come martire della pace, ebbe un crollo nervoso. La tensione di attendere mentre la vita del paese era in gioco, ben sapendo che un’attesa troppo prolunga avrebbe permesso a cento milioni di arabi di sferrare il primo colpo contro il suo paese di tre milioni di abitanti, era talmente intollerabile da renderlo per un momento incapace d’una decisione coerente.
Conosciamo il resto della storia. Rabin si riprese in tempo per guidare Israele alla vittoria. Ma si tende a dimenticare quanto sia stata pericolosa quella situazione d’Israele. La vittoria dipendeva totalmente dalla buona riuscita di un attacco contro l’aviazione egiziana la mattina del 5 giugno. Fu una scommessa di proporzioni incredibili. Israele lanciò quasi tutti suoi 200 aerei in questa missione, esponendola totalmente alla contraerea e ai missili. Se fossero stati intercettati e distrutti, a Israele sarebbero rimasti 12 aerei per difendere il suo territorio – le sue città e i suoi abitanti – dai 900 aerei delle aviazioni arabe.
E si tende anche a dimenticare che l’occupazione israeliana della Cisgiordania fu un fatto assolutamente non voluto. Israele aveva implorato re Hussein di Giordania di tenersi fuori dal conflitto. Impegnato in duri combattimenti con un Egitto numericamente superiore, Israele non aveva alcuna voglia di aprire un altro fronte a soli pochi metri dalla Gerusalemme ebraica e a pochi chilometri da Tel Aviv. Ma Nasser disse personalmente ad Hussein che l’Egitto aveva distrutto l’aviazione e gli aeroporti d’Israele e che la vittoria totale era a portata di mano. Hussein non poté resistere alla tentazione di prender parte al combattimento. Vi prese parte, e perse.
In occasione del 40esimo anniversario di quei fatti, saremo inondati da resoconti di quella guerra, e dagli esercizi esegetici sulla pace perpetua che si spalancherebbe per Israele se solo ritornasse sulle linee del 4 giugno 1967. Ma gli israeliani ci vanno cauti. Ricordano bene il terrore di quel 4 giugno e quell’intollerabile mese di maggio quando, senza che Israele possedesse nessun territorio occupato, l’intero mondo arabo preparava furiosamente l’imminente eliminazione di Israele. E il mondo non fece assolutamente nulla.

(Da: Washington Post, 18.05.07)

Si veda anche: Events leading to the Six Day War, 1967 (mappa cronologia, in inglese, degli eventi che portarono allo scoppio della guerra dei sei giorni)