I labili contorni di una tregua molto condizionata

I veri sconfitti sono i leader palestinesi che speravano di ottenere una tregua dai gruppi terroristi.

Primi commenti dalla stampa israeliana

image_481La dichiarazione fatta la scorsa notte dai terroristi Fatah secondo cui l’attacco al valico di Rafah (cinque soldati israeliani uccisi) sarebbe una vendetta per l’avvelenamento di Yasser Arafat da parte di Israele non è stata presa sul serio da nessuno nella dirigenza palestinese. La convinzione che Arafat sia stato avvelenato è assai diffusa nelle piazze palestinesi, ma lo scavo del tunnel fatto esplodere domenica sera era iniziato almeno quattro mesi fa, ben prima della morte di Arafat.
Nessun palestinese si aspetta che Mahmoud Abbas (Abu Mazen) condanni l’attacco, dal momento che è stato effettuato contro soldati israeliani nel territorio della striscia di Gaza. Tali attacchi sono considerati legittimi da tutte le fazioni palestinesi, indipendentemente dal fatto che Abu Mazen abbia avviato colloqui con esponenti di Hamas su una eventuale “hudna”, o sospensione provvisoria degli attacchi conto Israele, almeno fino alle elezioni del 9 gennaio.
Abu Mazen e i suoi colleghi al vertice dell’Autorità Palestinese avrebbero grosse difficoltà a prendere posizione contro un attacco come quello di domenica sera contro una postazione militare anche a causa del fatto che l’annuncio del ritiro della candidatura di Marwan Barghouti dalla corsa per la presidenza palestinese comprendeva, fra le condizioni poste, l’impegno da parte di Abu Mazen a continuare la rivolta e la lotta contro l’occupazione.
In un’intervista a un’emittente tv araba del Golfo Persico, un agricoltore palestinese della zona di Gerico, che ammetteva di ritenere l’elezione di Abu Mazen più vantaggiosa per i propri affari, aggiungeva però che dal punto di vista della lotta a Israele e dell’onore nazionale avrebbe preferito Barghouti. Commenti come questo non sfuggono alle orecchie di Abu Mazen e dei suoi, che ora devono stare molto attenti a non apparire contrari all’intifada e alle azioni contro Israele, dal momento che una tale posizione potrebbe danneggiali presso l’opnione pubblica palestinese alla vigilia delle elezioni.

Le modalità dell’attacco di domenica sera (l’esplosione, il successivo attacco e il bombardamento con colpi di mortaio sui soccorritori) portano evidenti le impronte digitali di Hezbollah. Se poi verrà diffuso un filmato dell’operazione, sarà come avere la firma.
Fonti del governo israeliano hanno incolpato senza mezzi termini Iran e Hezbollah per l’attacco, volto a impedire progressi fra israeliani e palestinesi. Secondo Gerusalemme, la scelta del valico di Rafah come bersaglio non è casuale: gruppi terroristi cercano continuamente di colpire i valichi che mettono in collegamento la striscia di Gaza con Israele, l’Egitto e il resto del mondo. Il terminal di Rafah era stato aperto di recente come una misura di normalizzazione. “L’attacco di domenica sera ha affondato questi sforzi di normalizzazione – aggiungono le fonti israeliane – Avevamo aperto questo passaggio nella speranza di alleviare la situazione dei palestinesi, e la risposta è stata questa aggressione. Sappiamo tutti chi è interessato a far naufragare qualunque tentativo di normalizzazione: gli iraniani e coloro che agiscono per conto degli iraniani. Speriamo che i palestinesi aprano gli occhi e si rendano conto che questi attacchi sono estremamente dannosi e ci costringono ad allontanarci dagli sforzi di normalizzazione. I grandi sconfitti, oggi, sono quei leader palestinesi che speravano di poter ottenere una hudna [tregua provvisoria] dalle organizzazioni terroristiche con base a Damasco, e invece si ritrovano tunnel imbottiti di esplosivo”.
Le postazioni israeliane si rivelano facili bersagli, fissi e visibili, come le erano quelle israeliane e dell’Esercito Sudlibanese nella fascia di sicurezza del Libano meridionale fino al maggio 2000. Le Forze di Difesa israeliane dovranno per forza studiare nuovi metodi per proteggere meglio queste postazioni.
L’attacco giunge proprio mentre la dirigenza palestinese cercava di arrivare a un accordo di cessate il fuoco con Hamas e altri gruppi terroristici. I comandi israeliani hanno detto chiaramente che non credono vi sarà mai calma completa, e non se la aspettano. È anche chiaro che Hamas e Fatah non accetteranno mai di fermare gli attacchi contro truppe israeliane all’interno dei territori, indipendentemente dal tipo di “tregua” che venisse eventualmente concordata. Anzi, più ci si avvicina all’attuazione del piano di disimpegno dalla striscia di Gaza, maggiori saranno i tentativi da parte palestinese di far passare il ritiro israeliano come una fuga sotto i colpi delle organizzazioni armate palestinesi. Le forze israeliane saranno verosimilmente sottoposte ad attacchi crescenti proprio quando a Israele si chiede di fare gesti di riconciliazione per dare una chance alla ripresa del processo di pace. L’obiettivo dell’esercito dovrà essere quello di impedire che le truppe facciano da bersaglio indifeso in questa delicata situazione.
Fonti del governo israeliano si sono affrettate a dichiarare che Israele “non cadrà nella provocazione” dell’attacco di domenica sera lanciando vaste campagne militari “che potrebbero minare le imminenti elezioni palestinesi e gli sforzi per stabilizzare la situazione”, e che i piani per la scarcerazione di circa duecento detenuti palestinesi entro la fine del mese e per il ritiro da Gaza a metà 2005 vanno avanti. Tuttavia Israele non “avrà altra scelta” che adottare severe misure contro gli aggressori e intensificare la lotta contro i capi terroristi responsabili.
Secondo Gerusalemme, se la dirigenza palestinese vuole davvero fare passi avanti, una “hudna” o tregua interna palestinese non è quello che serve: ciò che occorre è una azione determinata da parte della stessa Autorità Palestinese contro i terroristi e le loro infrastrutture, come previsto da tutti gli accordi compresa la Road Map.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, 13.12.04)

Nella foto in alto: Hamas ha filmato i propri terroristi nel tunnel di Rafah.