I veri ostacoli alla pace

Anziché fare le pulci a Netanyahu, si condanni lo scioglimento della giovane orchestra palestinese

di Abraham Cooper e Harold Brackma

image_2468Opinionisti ed esperti non fanno che pontificare sul primo discorso di Avigdor Lieberman con il quale il nuovo ministro degli esteri israeliano ha ribadito l’impegno al rispetto della Road Map (“Itinerario imperniato sui risultati per una soluzione definitiva a due-stati del conflitto israelo-palestinese”) del 2003 pur respingendo il documento di Annapolis del 2007. La BBC riferisce che i diplomatici “erano sulle spine” mentre il neo ministro asseriva che “anche l’altra parte ha delle responsabilità” rispetto alla pace.
Mentre la comunità internazionale compila la sua puntigliosa lista delle richieste cui dovrebbe aderire il governo di Netanyahu per dimostrare “che è serio riguardo all’impegno di fare la pace”, essa potrebbe avanzarne una anche al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen): quella di ricostituire immediatamente l’Orchestra “Strings of Peace”. La sorte di questo ensemble, infatti, potrà parlarci del futuro del Medio Oriente molto più di tanti discorsi e prese di posizione.
Alla fine di marzo, tredici palestinesi di età fra gli 11 e i 18 anni appartenenti all’Orchestra Strings of Peace sono partiti per un breve viaggio che dal campo palestinese di Jenin, in Cisgiordania, li ha portati a Holon, in Israele, per eseguire un concerto “di beneficienza” in onore di trenta ebrei sopravvissuti alla Shoà. “We Sing for Peace” è stata eseguita in arabo mentre il pubblico rispondeva improvvisando una canzone in ebraico. Se mai c’è stato un esempio di “coraggio della speranza”, questo lo è stato.
Ma l’Autorità Palestinese (quella di Fatah e Abu Mazen) si è mossa con estrema sollecitudine per stroncare la piccola iniziativa che per qualche momento aveva infranto gli stereotipi sul nemico israeliano sempre accuratamente alimentati. Quel concerto, ha fermamente sostenuto un funzionario di Jenin, costituisce un “affare pericoloso” che minaccia l’identità culturale e nazionale dei bambini palestinesi (sic!). Il gesto verso anziane persone vittime della Shoà è stato prontamente condannato. La Shoà, ha ammonito l’Autorità Palestinese , è “una questione politica”. L’orchestra dei ragazzi palestinesi è stata immediatamente sciolta; il suo direttore, una donna araba di nome Wafa Younis, bandita dal campo palestinese e il suo appartamento-studio sigillato.
La riduzione al silenzio di quella piccola orchestra non è avvenuta in un vuoto: riecheggia nel silenzio di pietra dei pacifisti del Medio Oriente sullo sfondo dell’assordante baccano delle rituali condanne globali di Israele.
È troppo aspettarsi una parola di protesta da Jimmy Carter, dal Quartetto per il Medio Oriente, dall’Unione Europea? O una risoluzione da parte dell’UNESCO (dove E sta per Educazione e C sta per Cultura)? Ci sarà dato di udire una nota di solidarietà da parte della Filarmonica di Londra o da militanti icone della musica come Annie Lenox o Yusuf Islam (alias Cat Stevens)? E che ne è delle migliaia di organizzazioni non governative (ong) che costituiscono l’avanguardia della “società civile” internazionale, o degli illustri accademici che presiedono ben sovvenzionate cattedre in Studi sul Medio Oriente o sulla Pace?
No, gli auto-consacrati pacifisti non applaudono il concerto di pace dei giovani palestinesi: rimangono volonterosamente ciechi, muti e sordi alle violazioni – grandi e piccole – dei diritti umani, se i responsabili sono arabi o musulmani. Prova ne sia l’imminente Conferenza Onu “Durban Due” contro il razzismo, dove la presidenza della Libia, coadiuvata da Iran Pakistan e Sudan, cancellerà ogni traccia dei loro lugubri curriculum in fatto di diritti umani, mentre reciteranno in coro le preconfezionate risoluzioni anti-israeliane. Idem per il Consiglio Onu sui Diritti Umani: muto su Hamas che schiera donne e bambini palestinesi come scudi umani e usa moschee, scuole e abitazioni come depositi e rampe di lancio dei suoi missili, mentre il suo speciale Rapporteur sulla Palestina, Richard Falk, guida il coro per negare a Israele il diritto a difendersi riconosciuto a ogni Stato dall’art. 51 della Carta dell’Onu.
Se vuole portare un vero cambiamento in Medio Oriente, l’inviato speciale del presidente Obama, il senatore Mitchell, deve intraprendere strade nuove. Un buon punto di partenza sarebbe quello di cambiare destinazione ai tanti dollari dei contribuenti americani che attualmente vengono versati a sostegno dell’UNRWA, l’agenzia Onu per i palestinesi che ha da poco ammesso d’aver assunto nelle sue scuole insegnanti di Hamas dediti a formare un’altra generazione di ragazzi di Gaza nella cultura della morte. Mitchell potrebbe anche aggiungere due tappe all’agenda del suo prossima viaggio quaggiù. Innanzitutto potrebbe fare una visita di solidarietà a Wafa Younis, la ostracizzata direttrice della giovane orchestra palestinese: sarebbe il modo migliore con cui gli Stati Uniti potrebbero segnalare all’Autorità Palestinese che è davvero ora di smantellare la sua macchina di indottrinamento all’odio verso Israele, inculcato nelle scuole, nelle moschee e nei mass-media di Cisgiordania. E poi potrebbe fare una visita di condoglianze alla famiglia del tredicenne israeliano Shlomo Nativ, ucciso poco fa a colpi di mannaia da un epigono palestinese di quella cultura di morte.
Spesso la migliore presa di posizione per una vera pace sta non tanto nei grandiosi documenti e nelle foto in posa sotto i riflettori internazionali, quanto con la gente che cerca davvero di costruire coesistenza e reciproco rispetto. Sono queste voci ancora piccole quelle che chiedono d’essere protette e aiutate.

(Da: YnetNews, 8.04.09)

Nella foto in alto: Un’immagine dell’Orchestra Strings of Peace, prima del suo scioglimento ad opera dell’Autorità Palestinese