Il bluff di Assad

La nostra scommessa è che Assad non accetterà di incontrare Olmert

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1712Vi siete persi le elezioni siriane di domenica scorsa? A differenza della campagna per le presidenziali americane, che è già in pieno corso in vista del novembre 2008, e anche dell’accesa competizione nelle primarie del partito laburista israeliano di lunedì, uno può essere scusato se gli sono sfuggite le elezioni per la presidenza siriana. Per alleviare la suspense, diciamo subito che in ogni caso il presidente Bashar Assad è stato “rieletto” per un altro settennato. Senza opposizione. Mentre scriviamo non sono ancora noti i risultati definitivi, ma ci sentiamo di arrischiare un pronostico: circa il 99% degli elettori siriani avrà votato a favore del benamato leader.
Benché sia difficile prendere sul serio un tale esercizio, colpisce vedere come anche una delle dittature più repressive senta il bisogno di fingere un’investitura popolare. Queste elezioni a candidato unico mostrano che persino i dittatori sentono la necessità di inchinarsi al principio basilare della democrazia: è il popolo che detiene la facoltà di scegliere il leader. Nelle mani dei dittatori, tuttavia, queste elezioni vengono trasformate in un grottesco gioco di potere. Diventano un’estensione del culto della personalità coltivato da tutti i tiranni, del quale un elemento centrale è la repressione senza pietà di ogni forma di dissenso.
La Siria di Assad non fa eccezione. Tabelloni che proclamano ad Assad “ti amiamo” hanno fatto la loro comparsa dappertutto alla viglia delle elezioni, insieme alle retate e alle condanne di dissidenti come Michel Kilo. All’inizio del mese Kilo, un eminente giornalista, è stato condannato a tre anni di carcere insieme ad altri tre attivisti democratici. Nell’aula del tribunale ha gridato: “Noi non siamo criminali, siamo patrioti!”.
In effetti è il regime siriano che è criminale, sia per le dilaganti violazioni dei diritti umani, sia per il suo appoggio al terrorismo in Iraq, il suo sostegno a Hezbollah e Hamas e ultimamente il suo fomentare la guerra nel Libano settentrionale. Come ha spiegato il leader druso libanese Walid Jumblatt, Damasco vuole “distogliere l’esercito libanese dalla sorveglianza sui traffici d’armi (dalla Siria) e ostacolare il tribunale”, cioè il progetto Onu di processare gli imputati dell’assassinio dell’ex premier libanese Rafik Hariri.
L’idea che questo regime sia interessato a fare la pace con Israele appare difficilmente credibile. Non è chiaro perché le presunte aperture di pace di Assad debbano essere prese sul serio quando lo stesso Assad continua ad essere uno dei maggiori sponsor del terrorismo contro Israele. E l’idea che Assad possa fare un viaggio a Gerusalemme come quello che fese Sadat (nel 1977) appare addirittura risibile.
Ma ha anche poco senso che Israele venga visto come la parte che si rifiuta di negoziare con uno stato arabo belligerante. Assad sta bluffando, e i bluff si vanno a vedere. Il primo ministro israeliano Ehud Olmert dovrebbe dichiararsi disposto a incontrare Assad dovunque, compresa Gerusalemme o Damasco. Allo stesso tempo Olmert dovrebbe affermare che non crede che la Siria abbia serie intenzioni di pace per cui è importante che vengano accentuate le sanzioni internazionali contro quel regime per costringerlo a smetterla con il suo imperversante appoggio all’aggressione e al terrorismo. Ronald Reagan, quando si trovò di fronte al dilemma se negoziare o meno con la belligerante Unione Sovietica, coniò lo slogan: “avere fiducia ma controllare”. La parola d’ordine di Olmert con la Siria dovrebbe essere: “aprire il dialogare ma mantenere le sanzioni”. Olmert dovrebbe chiarire bene che saranno le sanzioni, non i colloqui, la chiave per il cambiamento delle politiche siriane. Allo stesso modo, non saranno i colloqui a produrre la pace, bensì la piena comprensione da parte siriana che la guerra contro Israele, e tutte le altre forme di aggressione, sono troppo costose per poterle continuare.
La nostra scommessa è che Assad non accetterà di incontrare Olmert, anche se potrebbe cercare di avviare colloqui a un livello più basso. Olmert dovrà insistere che i colloqui, a parte qualche eventuale incontro strettamente limitato alle fasi preparatorie, devono essere previsti sin dall’inizio al massimo livello, e dovrà usare il prevedibile rifiuto di Assad come leva per accentuare la campagna di sanzioni internazionali.
Se poi Assad invece vorrà stupirci e incontrerà davvero Olmert, tanto meglio: sarà un successo per Israele. E questo non perché Israele abbia bisogno di essere legittimato da quel regime, ma perché si tratterebbe di una significativa “concessione” da parte del più robusto membro del fronte arabo del rifiuto.
Ma Assad non ci sorprenderà. Il paradosso è che Olmert, anche con una popolarità nei sondaggi ridotta al 3%, è comunque più legittimato di Assad col suo 99% di voti: un dittatore che, per quanto forte voglia sembrare, è troppo debole per fare la pace.

(Da: Jerusalem Post, 29.05.07)