Il boomerang dell’indipendenza unilaterale

Con il loro bluff, Erekat e Abu Mazen danneggiano più la causa palestinese che Israele

di Haviv Rettig Gur e al.

image_2666La dichiarazione di sabato scorso del negoziatore palestinese Saeb Erekat secondo cui gli israeliani starebbero bloccando l’attuazione della soluzione a due Stati e presto i palestinesi chiederanno all’Onu di riconoscere uno Stato palestinese su tutta la Cisgiordania e la striscia di Gaza, voleva essere una dura minaccia o forse solo una spavalderia ad uso e consumo dell’uditorio internazionale.
Perché dunque i palestinesi non dovrebbero dichiarare unilateralmente il loro Stato? In linea di principio, cambierebbe poco. L’Autorità Palestinese avrebbe il controllo a malapena su un 40% delle terre che spera di ottenere dai negoziati, vale i dire i maggiori centri abitati palestinesi di Cisgiordania, ma non molto più di questo. Frattanto non arriverebbe a soluzione nessuna delle più spinose questioni che stanno sul tavolo dei negoziati: da Gerusalemme ai profughi, al disarmo palestinese, ai confini. Queste verrebbero semplicemente trasformate da temi del negoziato israelo-palestinese internazionalmente sostenuto (benché non ancora ripartito) in temi di un negoziato bilaterale fra Israele e Stato palestinese. Ma le questioni in se stesse resterebbero esattamente le stesse.
Dunque i palestinesi, senza nulla guadagnare, avrebbero invece parecchio da perdere. Si dimentica spesso che Benjamin Netanyahu, durante il suo primo mandato da primo ministro fra il 1996 e il 1999, si attirò le ire della destra e alla fine perse il suo governo perché si sentì obbligato a mantenere gli impegni verso i palestinesi sottoscritti dai governi precedenti. Fu lui infatti che trasferì sotto controllo palestinese gran parte della città di Hebron (1997), e che concordò ulteriori passi verso l’autonomia palestinese con gli Accordi di Wye Plantation (1998). A quell’epoca egli era aspramente critico col governo palestinese di Yasser Arafat che non attuava la sua parte degli accordi di Oslo: porre fine all’istigazione all’odio, tagliare gli aiuti alle organizzazioni terroristiche, stabilire sicurezza e stato di diritto nelle aree sotto controllo dell’Autorità Palestinese ecc. Ma quali che fossero i suoi rimpianti o ideali politici, Netanyahu si attenne fedelmente gli accordi precedentemente firmati. Poco dopo essere tornato primo ministro, nel marzo scorso, Netanyahu ha pubblicamente offerto ai palestinesi l’indipendenza statale. Non è possibile né necessario leggere dentro la sua testa per decidere quanto spontanea e sincera fosse questa sua offerta: in base all’esperienza passata, si può ragionevolmente affermare che egli si sente vincolato agli accordi firmati da Israele, comprese Oslo e la Road Map, entrambi processi la cui logica conclusione è uno Stato palestinese.
Se la dirigenza palestinese rinuncia a Oslo a favore di una’indipendenza unilaterale, non farà che rompere gli accordi internazionali che hanno fin qui vincolato i governi israeliani dando vita a un processo che, in ultima analisi, ha già portato la maggior parte della vita palestinese sotto autonomo controllo palestinese.
(Da: Jerusalem Post, 16.11.09)

“DA SOLA, L’AUTHORITY IDRICA PALESTINESE NON DUREREBBE UN GIORNO”
Mentre da sabato scorso i massimi esponenti palestinesi hanno iniziato a minacciare una dichiarazione di indipendenza unilaterale, dovendo sintetizzare la valutazione che tende a prevalere negli ambienti della Difesa israeliana, un alto funzionario usa una frase molto breve: “Che ci provino pure”.
Questo scetticismo nasce dalla convinzione che, sebbene l’ultimo anno abbia visto un netto miglioramento delle prestazioni delle forze di sicurezza palestinesi (grazie all’addestramento americano impartito in Giordania con l’accordo di Israele) e delle istituzioni civili palestinesi, in gran parte grazie alla cooperazione con Israele, l’Autorità Palestinese sia tuttavia ancora ben lontana dal saper gestire una macchina statale per conto proprio.
Un funzionario cita, a titolo di esempio, la situazione dell’acqua in Cisgiordania. A dispetto dell’accusa mossa anche di recente a Israele a livello internazionale di negare ai palestinesi un adeguato accesso alle fonti idriche, i funzionari israeliani spiegano che la situazione sarebbe in realtà molto peggiore senza l’aiuto di Israele. “Da sola l’Authority dell’acqua palestinese non durerebbe un giorno” dice un ufficiale delle Forze di Difesa, ricordando fra l’altro che Israele ha anche assegnato ai palestinesi un lotto di terra sulla costa per costruirvi un impianto di desalinizzazione (finanziato dall’estero) e che loro hanno deciso di non costruirlo, verosimilmente per motivi politici.
Un altro esempio è quello della cooperazione sulla sicurezza, significativamente cresciuta negli ultimi due anni, in Cisgiordania, dopo che Hamas ha preso il controllo con la violenza sulla striscia di Gaza. Il prossimo mese si schiererà in Cisgiordania il quinto palestinese addestrato in Giordania dal generale americano Keith Dayton e un sesto partirà per i suoi quattro mesi di training in Giordania. Ma nonostante lo schieramento di queste forze – di cui la Difesa israeliana riconosce apertamente il buon lavoro che stanno facendo nella lotta contro le strutture di Hamas in Cisgiordania –, ogni volta che il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) esce da Ramallah per recarsi in un’altra città palestinese, Forze di Difesa, servizi di sicurezza e autorità israeliane sono chiamate a cooperare attivamente per coordinare e garantire la sua sicurezza. “Quando Abu Mazen si muove, è come un’operazione militare – spiega un ufficiale israeliano – Tutti sono coinvolti, giacché le forze dell’Autorità Palestinese da sole non saprebbero assicurare pienamente la sua sicurezza”.
Per questo negli ambienti della Difesa israeliana si ritiene probabile che la strombazzata eventualità di una dichiarazione di indipendenza unilaterale sia più che altro un espediente volto a far esercitare maggiori pressioni su Israele da parte di altri paesi e soggetti internazionali, per costringerlo a fare maggiori concessioni.
(Da: Jerusalem Post, 16.11.09)

UNA VIOLAZIONE CHE POTREBBE PORTARE ALL’ANNULLAMENTO DELL’ACCORDO DI OSLO
Da un punto di vista pratico, la questione se l’Autorità Palestinese possa o meno dichiarare la “Palestina” come Stato indipendente è più politica che giuridica. Ad ogni modo, in base a quanto previsto dall’Accordo ad interim di Oslo del 1995 – il testo che, con alcune integrazioni successive, regola i rapporti fra Israele e Autorità Palestinese – procedendo con una tale dichiarazione l’Autorità Palestinese commetterebbe una “rottura materiale”, cioè nei fatti, del trattato. Infatti, secondo l’articolo 23 di quell’accordo internazionalmente riconosciuto “nessuna delle parti avvierà o compirà passi volti a modificare lo status [giuridico] di Cisgiordania e striscia di Gaza fintanto che non sono conclusi i negoziati per [stabilire] lo status definitivo”. Pertanto una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte dell’Autorità Palestinese costituirebbe una grave e manifesta violazione dell’accordo.
Secondo l’avvocato Allen Baker, già consulente legale del ministero degli esteri israeliano, sulla base di questa rottura del trattato Israele potrebbe dichiarare nullo l’intero accordo. Ma, ricorda Baker, l’accordo in questione non è solo quello che stabilisce le intese amministrative e di sicurezza per tutta la Cisgiordania sulla base delle famose aree A, B e C; esso costituisce anche, di fatto e di diritto, la fonte di legittimità della stessa Autorità Palestinese.
Inoltre, stando ai loro ventilati propositi, a cominciare dal programma presentato dal primo ministro palestinese Salaam Fayad di “creare uno Stato di Palestina sui territori occupati nel 1967, con Gerusalemme est come sua capitale”, i palestinesi intenderebbero stabilire unilateralmente anche i confini, fissandoli sulle linee armistiziali del 4 giugno 1967. Ma, per definizione, i confini sono materia di accordi bilaterali fra due stati vicini. “Secondo il diritto internazionale – spiega Robbie Sabel, un altro ex consulente legale del ministero degli esteri israeliano – i confini devono essere determinati dai paesi interessati: non è che una parte può saltare su e stabilirli unilateralmente. E’ una materia che può essere risolta solo con il negoziato”. Infatti, tutti gli accordi di pace firmati – da Oslo alla Road Map – prevedono che la questione dei confini sia una delle materie da stabilire con il negoziato israelo-palestinese dedicato alla composizione definita del conflitto.
(Da: Jerusalem Post, YnetNews, 9 e 17.11.09)