Il coccodrillo della porta accanto

I palestinesi dovrebbero essere grati di vivere in una zona che, rispetto al mondo circostante, è un modello di equilibrio e normalità

Di Gilad Sharon

Gilad Sharon, autore di questo articolo

Gilad Sharon, autore di questo articolo

Se fossero in grado di fare a noi ciò che teoricamente noi saremmo in grado di fare a loro, nessuno di noi sarebbe qui. Ci avrebbero già annientati tutti: sinistra e destra, religiosi e laici, industriali e contadini. Tutti, dal primo all’ultimo.

La realtà è che viviamo fianco a fianco con un ignobile mostro che ha intenzioni malvagie e capacità limitate. Potremmo trucidarlo, o scacciarlo, ma non lo facciamo per via dei principi e dei valori umani che coltiviamo. Valori che sono del tutto estranei al nostro mostro della porta accanto, che certamente non si sente in alcun modo tenuto a onorarli e rispettarli.

È un po’ come tenersi in casa un piccolo di coccodrillo. Il coccodrillo non sogna di meglio che divorarvi, ma non può farlo perché è troppo piccolo. Al massimo può dare un morso qui o farvi sanguinare un po’ là. Fa male, ma si sopravvive. Col passare degli anni, il rettile cresce. Ancora non è in grado di divorarvi, ma è già una seria minaccia per la vita dei bambini. Questo è il momento in cui si deve capire un fatto fondamentale della vita: non si convive con una creatura che vuole divorarvi.

Razzi Qassam palestinesi sparati sulla città israeliana di Sderot dopo il ritiro di militari e civili israeliani dalla striscia di Gaza

Razzi Qassam palestinesi sparati sulla città israeliana di Sderot dopo il ritiro di militari e civili israeliani dalla striscia di Gaza

Durante la guerra d’indipendenza, quando venne catturata Ramla (che controllava la strada verso la Gerusalemme ebraica assediata), uno dei mukhtar (capo-villaggio) chiese al comandante israeliano: “Che cosa avete intenzione di fare di noi?”. “Faremo esattamente quello che avevate in mente di fare voi con noi”, rispose l’ufficiale. Il mukhtar sbiancò in volto. Sapeva benissimo che cosa avrebbero fatto agli ebrei se la battaglia fosse finita in modo diverso. Naturalmente non accadde nulla del genere, e ancora oggi vi sono migliaia di arabi (cittadini israeliani) che vivono a Ramla. Ma è un buon esempio per capire l’asimmetria. Per quanto tempo potremo andare avanti con questo gioco, solo con regole un po’ mutate? La realtà è che dobbiamo separarci gli uni dagli altri, e se il coccodrillo non accetterà di vivere separato da noi all’interno di confini chiari e sicuri, allora dovremo imporgli noi la separazione.

Basta guardare a quel che accade intorno a noi. In tutta la regione, le popolazioni si stanno dividendo secondo affiliazioni religiose o tribali. Centinaia di migliaia di cristiani, che hanno vissuto per quasi duemila anni nel nord di quello che era l’Iraq, sono oggi in fuga. I sunniti si alleano fra loro, così come fanno gli sciiti, gli alawiti e i drusi. Le vecchie potenze mondiali avevano messo tutti questi gruppi in una bottiglia, come mettere insieme olio e acqua, shakerando il tutto.

Esecuzioni sommarie nella guerra civile siriana

Esecuzioni sommarie nella guerra civile siriana

Ora le varie componenti, messe insieme così artificialmente, si stanno separando. E non lo fanno certo in modo pacifico, bensì combattendosi ferocemente fino alla morte. L’appetito di predominio, le zone contese, la volontà di controllare le risorse naturali e i luoghi strategici, tutto lascia intendere che gli incendi non si spegneranno facilmente. Più di mille anni di ostilità tra i musulmani di sette diverse si sono riaccesi, e milioni di esseri umani stanno pagando il prezzo della santa follia.

I palestinesi dovrebbero essere grati di vivere in una zona che, rispetto al mondo che ci circonda, è un modello di equilibrio e normalità. Qui non ci sono milioni di persone cacciate dalle loro case solo perché qualcuno, che al momento è più forte, ha deciso di buttarle fuori. Tuttavia, anziché apprezzare la stabilità garantita da Israele, che non è qualcosa di scontato, anziché cercare di preservare quest’isola di ragionevolezza, già si sentono rimbombare nella giungla i tamburi di guerra che infiammano gli stessi istinti che mettono a ferro il resto della regione.

Israele vuole vivere. E alla fine dei conti, se una spada pende sempre sopra la nostra testa, mi duole dirlo ma ci costringeranno a scegliere tra chiudere bottega o chiudere il coccodrillo fuori della porta, perché se ne stia con i suoi simili.

(Da: Jerusalem Post, 21.6.14)

Tutte le mappe delle rivendicazioni palestinesi prevedono la cancellazione di Israele

Tutte le mappe delle rivendicazioni palestinesi comprendono tutto il paese e prevedono la cancellazione di Israele

Una netta maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania e Gaza risulta contraria alla soluzione a due Stati per porre fine al conflitto con Israele. È quanto emerge da un’indagine condotta a metà giugno nei territori palestinesi da una società di sondaggi palestinese per conto del Washington Institute for Near East Policy. Secondo i dati diffusi mercoledì, il 60% dei palestinesi intervistati (il 55% in Cisgiordania, il 68% a Gaza) rifiuta definitivamente di accettare l’esistenza di Israele esortando piuttosto i propri dirigenti “ad adoperarsi per rivendicare tutta la Palestina storica, dal fiume al mare”, mentre meno del 30% (31% in Cisgiordania, 22% a Gaza) desidera “porre fine all’occupazione di Cisgiordania e Gaza con una soluzione a due stati”. Due terzi degli intervistati afferma che una soluzione a due stati sarebbe “parte di un programma per tappe volto a liberare successivamente tutta la Palestina storica” e che “la resistenza (lotta armata) deve continuare fino a quando tutta la Palestina storica sarà liberata” (con la cancellazione di Israele). Allo stesso tempo, l’80% dei palestinesi si dice “sicuramente” o “probabilmente” a favore di maggiori opportunità di lavoro in Israele per i palestinesi, e la maggioranza vorrebbe che le aziende israeliane offrissero nuovi posti di lavoro per i palestinesi in Cisgiordania e Gaza. Inoltre, il 70% dei residenti nella striscia di Gaza si dice favorevole a che Hamas “mantenga il cessate il fuoco con l’esercito israeliano”. I ricercatori dell’Istituto ne concludono che “la politica Usa dovrebbe considerare seriamente di abbandonare per ora ogni speranza in un accordo di pace permanente israelo-palestinese, concentrandosi piuttosto su misure immediate atte a ridurre le tensioni e migliorare le condizioni sul terreno”. (Da: Jerusalem Post, Times of Israel, 25.4.16)