Il Corano, il Faraone e i tempi moderni

Molti in M. O. non vedono che i loro eroi sono tiranni che li portano dritti nel Mar Rosso

di Barry Rubin

image_2794Uno dei momenti più difficili in cui ho dovuto trovare una risposta pronta l’ho avuto qualche tempo fa, in occasione di un incontro con esponenti egiziani di alto livello durante i giorni di Pessah (la pasqua ebraica che ricorda l’uscita dall’Egitto). Uno di essi mi chiese tutt’a un tratto se è vero che gli ebrei hanno una festa in cui celebrano il fatto d’aver sconfitto gli egiziani infliggendo loro gravi perdite. Capii in quell’istante che avevo solo dieci secondi di tempo per dare una risposta esauriente. E così risposi: “Ah, sì, ma si tratta dei tempi della jahiliyya” (ignoranza). Nell’islam, l’epoca che precede la missione profetica di Maometto viene considerata come un’epoca non solo di paganesimo, ma anche di barbarie. Nel Corano, il Faraone è un malvagio.
E così quel signore accettò senza indugi la mia risposta. Celebrare un evento che si chiude con l’annegamento del Faraone non è un atto contro l’Egitto, quanto piuttosto contro un sovrano che è considerato un odioso tiranno. Immediatamente, nella nostra conversazione, era cambiato tutto il quadro storico di riferimento.
Oggi ci troviamo in una situazione analoga. Nell’ideologia del nazionalismo arabo e islamista, l’occidente, la società moderna e Israele sono considerati i grandi nemici. Per i nazionalisti, perlomeno nel discorso pubblico, gli eroi sono i loro sovrani attuali e del passato: gente come Gamal Abdel Nasser, Saddam Hussein e Yasser Arafat. L’equivalente per gli islamisti sono, fra gli altri, Osama bin Laden e Ruhollah Khomeini. In altre parole, i loro eroi e coloro su cui essi attualmente fanno affidamento sono i moderni faraoni, il genere di persone che li ha ripetutamente portati dritti nel Mar Rosso dove le acque si sono richiuse su di loro.
Si avrà un vero cambiamento solo quando le idee e gli individui che oggi dominano il Medio Oriente – e che si oppongono alla modernità, all’eguaglianza delle donne, alla democrazia, alla pace con Israele, a una reale amicizia con l’occidente – verranno visti non più come eroici condottieri che incarnano arabismo e islam, bensì come tiranni che rappresentano solo se stessi. Il che non accadrà tanto preso: ci vorranno decenni.
Per combinazione, ho giusto sotto gli occhi una frase scritta da George Orwell nel 1946: “Chi è vincente oggi, sembrerà invincibile per sempre … Quest’abito mentale conduce fra l’altro alla convinzione che le cose debbano accadere più rapidamente, completamente e catastroficamente di quanto non facciano mai nel concreto. L’ascesa e la caduta degli imperi … ci si aspetta che accada con improvvisi terremoti, e dei processi che sono a malapena iniziati si parla come se fossero già in dirittura d’arrivo”. In un’epoca in cui le cose accadono rapidamente, le comunicazioni sono più veloci che mai e la gente si è abituata a un ritmo di cambiamenti che avrebbe dato le vertigini ai nostri progenitori, l’aspettativa è che l’evoluzione storica sia sempre altrettanto rapida. Non basta. In un’epoca che si regge su un ottimismo senza remore – perlomeno in occidente – e in cui si tende a dimenticare che le situazioni talvolta ci mettono decenni ad evolvere, sussiste la radicata convinzione che gli eventi possano evolvere solo per il meglio. È così che molte persone possono guardare al processo di pace israelo-palestinese, ignorare tutte le ragioni per cui non si è concluso anni fa, e insistere che la soluzione può essere raggiunta nel giro di mesi se soltanto ci fosse l’appropriata leadership, si esercitassero le dovute pressioni o venissero applicate le idee giuste. Pare non vi sia un numero di fallimenti abbastanza alto da convincerli che le cose stanno diversamente.
Non è una grande esagerazione affermare che l’attuale politica degli Stati Uniti sembra basarsi sulla convinzione che, se solo Israele non costruisse degli appartamenti a Gerusalemme, vi sarebbe la pace. E che, se vi fosse la pace su questo fronte, l’intero Medio Oriente si trasformerebbe in un modello di calma e stabilità. La nozione che un “accordo di pace” possa invece produrre nuove crisi e nuovi problemi non sembra nemmeno presa in considerazione. Nessuno lo vuol sentir dire, e invece è esattamente ciò che avremmo più bisogno di sentire.
Per tornare al concetto di Orwell, questo processo di cambiamento è “a malapena iniziato” e c’è ancora molta strada da fare. Vi saranno corsi e ricorsi. È del tutto immaginabile – specie con le attuali politiche occidentali – che uno o più stati di lingua araba possano cadere sotto regimi estremisti islamisti tali da far sembrare moderate, al confronto, le dittature attuali. È assai probabile che l’Iran riesca a ottenere armi nucleari e queste, quand’anche non venissero mai usate, modificheranno radicalmente gli equilibri strategici nella regione e produrranno un enorme incremento delle attività sovversive e terroristiche nei paesi arabi. Ed è anche probabilmente vero che, nello scorso decennio, sono più gli occidentali che hanno fatto propria l’interpretazione mediorientale della realtà che non il contrario, finendo col considerare gli islamisti come eroici rivoluzionari e i regini tirannici come paladini degli oppressi.
Un coraggioso oppositore siriano mi chiese una volta se pensavo che la democrazia sarebbe preso sorta nel suo paese. Mi sono messo a tossire, giacché lo rispettavo troppo per potergli dire una pietosa bugia. Comprese il mio silenzio e sospirò: “Oh, beh, forse per i miei figli…”
E qui mi sia permesso esprimere un elogio speciale soprattutto, anche se non solo, alle forze democratiche in Turchia, all’opposizione democratica in Iran e in Siria, e a coloro che sognano un Libano libero. Anche per loro verrà l’ora della libertà. Ma non finché trionfano quei tiranni ed estremisti rivoluzionari. Verrà quando su questi le acque si chiuderanno per l’ultima volta. Presumibilmente lo stesso vale per lo stato palestinese. Con gli attuali leader intransigenti, quelli che dietro le quinte occupano i posti di comando, non vi sarà nessuna svolta nei negoziati.
Ciò che importa, in questa valutazione, non è se sia ottimista o pessimista, se ci faccia star bene o male. L’unica misura che conta è se sia vera o meno.
Ma la fine potrà essere davvero alle viste solo quando le masse capiranno che ciò che tanti di loro esaltano come grandezza è, in realtà, l’equivalente sociale dei tempi che essi disprezzano, rappresentati dai tempi della jahiliyya: della schiavitù verso uomini che si sono comportano come faraoni e verso ideologie che sono l’equivalente della barbarie.

(Da: Jerusalem Post, 5.4.10)

Nell’immagine in alto: Il passaggio del Mar Rosso, di Toros Roslin (miniaturista armeno del XIII sec.)