Il fattore Egitto nella gelida primavera araba

Netanyahu: Impossibile affrettare il processo diplomatico in pieno terremoto politico.

Alcuni commenti di politici e osservatori

image_3295Mentre in Egitto la situazione resta pericolosamente confusa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu afferma che “mette la testa sotto la sabbia” chi chiede a Israele di procedere più in fretta con i palestinesi. Parlando alla Knesset, Netanyahu ha detto che sbagliano coloro che lo spingono “ad afferrare l’occasione affrettandosi ad arrivare a un accordo”. “Non abbiamo idea di cosa finirà per accadere in qualunque pezzo di territorio che dovessimo cedere – ha spiegato il primo ministro – La realtà delle cose cambia in continuazione, e se c’è chi non lo vede, vuol dire che mette la testa sotto la sabbia”.
Per combinazione, appena prima che Netanyahu parlasse, l’ambasciatore in Israele dell’Unione Europea Andrew Standley aveva affermato, in un incontro coi giornalisti a Gerusalemme, che in questo momento sarebbe saggio che Israele si muovesse rapidamente e arrivasse a un accordo coi palestinesi, per togliere la questione Israele dalla piazza egiziana. Mentre all’inizio dell’anno Israele veniva a malapena citato dai manifestanti anti-regime egiziani, oggi – ha detto Standley – la situazione è cambiata. Standley ha sostenuto che è importante spingere avanti il processo di pace per assicurarsi che la mancanza di un processo di pace non diventi un ulteriore “fattore di inquietudine” nel mondo arabo.
Ignaro delle parole di Standley, ma ben consapevole del sentimento che sta alla base di quelle dichiarazioni e che egli ha sentito ripetere nei mesi scorsi da diversi interlocutori europei, Netanyahu ha detto alla Knesset: “Lo scorso febbraio parlavo da questo podio mentre milioni di egiziani scendevano nelle strade del Cairo, e i miei amici dell’opposizione mi spiegavano che era giunta la nuova era del liberalismo e della modernità. Quando dissi che, nonostante tutte le nostre speranze, è più probabile che sia in arrivo un’ondata islamista, anti-americana e anti-israeliana, mi venne detto che cercavo di spaventare la gente e che non capivo dove andavano le cose. Ebbene, le cose stanno andando da qualche parte: il fatto è che stanno andando indietro e non avanti. Io guardo alla realtà, non alle speranze e ai desideri”. Era già chiaro allora, ha aggiunto Netanyahu, che il suo atteggiamento prudente era “corretto, accorto e responsabile”. “Nel momento in cui si trova di fronte a tale instabilità regionale – ha concluso – Israele deve badare ai fatti, senza cedere alle illusioni”.
(Da:Jerusalem Post, 24.11.11)

DIECI CONSIDERAZIONI SULL’EGITTO
LA PACE FREDDA HA RISPARMIATO VITE UMANE E COSTI ECONOMICI ENORMI
Di Eitan Haber

1. Questa serie di brevi considerazioni comincerà con parole di elogio e gratitudine per Anwar Sadat e Menachem Begin, Moshe Dayan e Boutrous Ghali, Ezer Weizmann e Kamel Hassan Ali, Aharon Barak e molti altri, israeliani ed egiziani, che con grande audacia diplomatica, saggezza e buona volontà portarono la pace a Israele (e all’Egitto). Da allora sono trascorsi trentadue anni. È stata una pace fredda, ostile, disgustosa: ma è stata una pace. Nessuna guerra è più scoppiata e non si sono più registrati caduti in scontri fra in due paesi. In effetti sono morti trenta israeliani, per lo più in attentati terroristici: ognuno di loro un prezioso essere umano. E tuttavia, in termini nazionali, trenta vittime equivalgono al numero di persone che muoiono in Israele ogni due settimane in incidenti stradali.
2. Parecchi diranno (additando gli ultimi sviluppi in Egitto): vedete cosa è venuto fuori da quella pace? La risposta a costoro potrebbe essere la seguente: quasi tremila israeliani morirono nell’ultima guerra con l’Egitto, quella del 1973; circa cinquecento morirono nella guerra del 1967 e più di mille soldati e ufficiali caddero nella guerra d’attrito che infuriò fra questa e quella. Visto che le guerre fra Israele ed Egitto scoppiavano mediamente ogni dieci anni o giù di lì, la pace di Camp David ci ha risparmiato tre guerre. Fate un po’ voi i conti.
3. Supponiamo per un momento che non vi fosse la pace con l’Egitto. Sin dai primi anni ’80 avremmo dovuto mantenere più divisioni, centinaia di aerei in più, molte altre centinaia di carri armati e così via. In quel caso, a che punto sarebbe oggi la nostra economia?
4. L’esercito egiziano non è solo una struttura militare, è anche un impero economico. Se dovesse imbarcarsi in una guerra, l’Egitto collasserebbe economicamente e allora gli 85 milioni di egiziani non avrebbero più nemmeno la pagnotta quotidiana che hanno oggi.
5. Nei giorni scorsi, in Egitto, il Supremo Consiglio Militare ha tentato di fissare le regole del gioco in vista delle importanti imminenti elezioni, cercando di fatto di posizionarsi al di sopra di qualunque futuro governo elettivo. Le proteste di massa di questa settimana hanno in una certa misura contrastato questo piano. Ma la mia ipotesi è che l’esercito riuscirà a imporre la propria autorità sui manifestanti di oggi, che sono gli elettori di domani.
6. Il generale Tantawi, successore di Mubarak, era noto agli israeliani perlopiù come l’uomo che presenziava ai nostri incontri con Mubarak senza mai dire niente. Alcuni interpretavano questo comportamento come ostilità verso Israele. Tuttavia, da quando Mubarak è stato rovesciato, il generale Tantawi ha dimostrato dignitose capacità di leadership. Ma negli ultimi giorni ha perduto statura, timoroso delle masse scese in piazza, che lo vedono come la diretta continuazione di Mubarak. Se Tantawi dovesse cadere nei prossimi giorni, gli egiziani dovrebbero pregare per il bene del loro paese. E noi con loro.
7. Il regime egiziano ha perso il controllo su centinaia di migliaia di beduini nel Sinai, e la cosa è motivo di grande preoccupazione. Di fatto oggi abbiamo a che fare con uno stato quasi indipendente del Sinai. In quel deserto i beduini fanno quello che vogliono. Nell’ambito di questo disastro, i beduini hanno scoperto due punti deboli dell’Egitto nel Sinai: il gasdotto verso Israele e la forza americana di peace-keeping MFO (pochi, anche in Israele, sono consapevoli dell’esistenza ormai da una trentina d’anni di questa forza, composta da una dozzina di paesi, tra cui anche l’Italia, e in particolare da 1.200 soldati americani che prendono sul serio la loro missione). I beduini hanno iniziato ad ingiuriare e infastidire gli americani, che potrebbero perdere la pazienza. A quel punto gli Stati Uniti prenderanno provvedimenti, e allora il Signore abbia pietà dei beduini, che si stanno spingendo ogni giorno un po’ troppo avanti.
8. La forza politica della Fratellanza Musulmana in vista delle elezioni in Egitto viene stimata attorno al 25%. È una grossa forza, troppo grossa. Ed è anche la forza meglio organizzata in Egitto, e dispone di armi. Comunque, per ora sono cauti e tendono a nascondersi nelle seconde file, dietro ai leader. Dovessero ottenere troppo successo e fare lo stolto errore di volere tutta la torta, l’Egitto potrebbe ritrovarsi in una guerra civile.
9. L’ex capo dell’intelligence militare israeliana Aharon Yariv usava terminare le sue relazioni dicendo: “Ad ogni modo, ognuna delle cose che ho appena detto potrebbe andare tutta al contrario. Signori, questo è il Medio Oriente”. Penso che farò mia la stessa conclusione.
10. Hosni Mubarak, ci manchi già.

(Da: YnetNews, 23.11.11)