Il figlio di Rabin: “E’ ora di coinvolgere il mondo arabo nel negoziato di pace”

I palestinesi non possono accettare compromessi senza il supporto del mondo arabo-islamico, dice Yuval Rabin sottolineando che suo padre ha sempre avuto una visione regionale del processo di pace

Yuval Rabin, figlio di

Yuval, figlio di Yitzhak Rabin

Gli sforzi per mediare un trattato di pace bilaterale tra Israele e palestinesi sono falliti e devono essere sostituiti da un approccio multilaterale che prenda spunto dall’iniziativa di pace araba del 2002. E’ l’opinione di Yuval Rabin, figlio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, intervistato da Times of Israel alla vigilia del 19esimo anniversario dell’assassinio del padre.

Yuval Rabin, 59 anni, imprenditore nell’high-tech, presiede la “Israeli Peace Initiative”, un’organizzazione di base lanciata nel 2011 con l’obiettivo di indurre i leader israeliani ad elaborare e presentare una completa contro-proposta rispetto all’iniziativa di pace avanzata dall’Arabia Saudita nel 2002 e approvata dalla Lega Araba cinque anni più tardi. Tra i firmatari di “Iniziativa di pace israeliana” figurano l’ex capo dei servizi di sicurezza e attuale ministro della scienza Yaakov Peri, l’ex ambasciatore d’Israele alle Nazioni Unite Danny Gillerman e l’ex direttore del Mossad Danny Yatom.

L’iniziativa, che esorta Israele ad accogliere l’iniziativa di pace araba come base per successivi negoziati presentando una propria visione sulle questioni controverse, ha ricevuto relativamente scarsa attenzione mediatica sia in Israele che nel resto del mondo, ma viene ora rilancia in occasione delle cerimonie per commemorare l’assassinio di Rabin del 4 novembre 1995.

“La pista bilaterale non è riuscita, e non c’è niente che possiamo fare al riguardo – spiega Yuval Rabin – Sia Israele che l’Olp, l’interlocutore ufficiale nel negoziato, sono da biasimare per il crollo della fiducia che esisteva all’inizio del mandato di mio padre, nel 1992”. E aggiunge: “L’Autorità Palestinese dovrà prendere decisioni molto difficili. Ma non può scendere a un compromesso su Gerusalemme o sul diritto al ritorno [dei profughi e loro discendenti all’interno di Israele] senza un ampio supporto a livello pan-arabo. Gli arabi non dovranno solo garantire per i palestinesi, ma anche finanziare gli accordi, il che li rende indispensabili per il processo. Abbiamo tentato un sacco di volte di negoziare direttamente con i palestinesi e gli americani – continua – ma ci siamo resi conto che quella strada non avrà successo”.

Yuval Rabin (a sinistra) ai funerali del padre (Gerusalemme, 1995)

Yuval Rabin (a sinistra) ai funerali del padre (Gerusalemme, 1995)

Secondo Yuval Rabin, l’attuale stallo diplomatico va contro la convinzione che era di suo padre che Israele debba sempre essere pro-attivo e avere l’iniziativa in pugno. La cosiddetta “iniziativa di pace araba”, che agli occhi degli israeliani ha il grande difetto di essere stata posta come un pacchetto “prendere o lasciare”, potrebbe essere invece utilizzata come un punto di partenza per ulteriori colloqui. “Credo che Israele abbia rinunciato ad avere una sua iniziativa diplomatica per buona parte dei diciannove anni da quando è stata assassinato mio padre – dice Yuval Rabin – Questa nostra assenza lascia un vuoto che inevitabilmente viene riempito dalle iniziative degli altri, e da fenomeni impossibili da prevedere come un’intifada o altre attività violente”.

La cooperazione fra Israele a alcuni stati arabi come Egitto e Arabia Saudita durante la scorsa estate per negoziare il cessate il fuoco con Hamas e porre fine all’operazione “Margine protettivo” non è stata sfruttata appieno, secondo Yuval Rabin, per un più ampio impulso diplomatico. “Ancora una volta – dice – ci siamo messi al riparo affidandoci alle nostre armi invece di cercare di sfruttare un’opportunità per porre fine a questo ciclo di operazioni militari ogni due o tre anni. Non so quante altre operazioni come Margine protettivo possa reggere l’economia israeliana”.

Sia il primo ministro Benjamin Netanyahu che il ministro delle finanze Yair Lapid hanno parlato recentemente della necessità di sviluppare alleanze regionali con gli stati arabi, osserva Yuval Rabin. Il senso di “Iniziativa di pace israeliana” è quello di esercitare una pressione pubblica su di loro perché alle parole facciano seguire i fatti.

Gli accordi di Oslo, spiega il figlio di Yitzhak Rabin, miravano a riproporre lo schema degli accordi di pace di Camp David firmati con l’Egitto quindici anni prima. Come a Camp David, i negoziati con i palestinesi dovevano durare cinque anni e portare a un accordo sullo status permanente. Spesso la gente in Israele sottolinea il fatto che Yitzhak Rabin non aveva mai parlato di uno stato palestinese pienamente sovrano, né di un completo ritiro israeliano da Cisgiordania e striscia di Gaza. Ma il figlio Yuval suggerisce che il processo di Oslo, se fosse andato a buon fine, avrebbe molto portato probabilmente a concessioni israeliane simili a quelle di Camp David ’78 in base alle quali Israele si ritirò dall’intera penisola del Sinai in cambio di piene relazioni diplomatiche con l’Egitto. “Per quanto ne so – dice – mio padre non ha mai dichiarato pubblicamente fino a che punto fosse disposto a spingersi e quanto fosse disposto a concedere, perché non si dichiarano queste cose in anticipo quando sono in corso dei negoziati”.

Benché una proposta di pace globale con tutto il mondo arabo-islamico non fosse nemmeno immaginabile ai suoi tempi, Yitzhak Rabin aveva sempre mantenuto una visione regionale, dice il figlio, coinvolgendo nelle trattative leader arabi come il presidente egiziano Hosni Mubarak e il re giordano Hussein. “L’obiettivo finale non è mai stato quello di arrivare a una pace soltanto con i palestinesi, bensì quello di arrivare alla pace con l’intero mondo arabo. E tuttavia – conclude Yuval Rabin – non c’è mai stata nemmeno l’illusione che si potesse arrivare in breve termine a delle intese con tutto il mondo islamico.”

(Da: Times of Israel, 30.10.14)