Il giro d’onore in Libano del vittorioso Ahmadinejad

Quella del presidente iraniano a Beirut e al confine con Israele non è stata una visita di cortesia.

Editoriale del Jerusalem Post

image_2963Quella di Mahmoud Ahmadinejad in Libano non è stata una visita di cortesia. La provocazione del presidente iraniano è servita per far arrivare svariati e significativi messaggi a molteplici destinatari, sia a livello regionale che internazionale. Qui non si tratta della mera ripetizione della ignobile esibizione retorica che l’autocrate di Teheran mette in scena ogni anno all’assemblea generale dell’Onu. Questo viaggio in Libano era in realtà denso di significati di immediato rilievo pratico.
Sopra a tutto c’è il disprezzo per Israele. Il fatto stesso che si sia presentato alla nostra porta di casa la dice lunga. Ahmadinejad ha voluto fare ostentatamente marameo a Israele, lanciando allo stesso tempo un avvertimento contro ogni tentativo israeliano di raid preventivo contro gli impianti nucleari iraniani. Ahmadinejad è venuto in Libano per ricordare a Israele che egli ha dei formidabili scagnozzi, gli Hezbollah, predisposti per sferrare attacchi da basi direttamente a ridosso all’“entità sionista”, e che può disporre a suo piacimento questi suoi scagnozzi. L’Iran, attraverso la Siria, ha armato fino ai denti Hezbollah, dopo la seconda guerra in Libano (in spudorata violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu), ed ora l’organizzazione terrorista libanese schiera almeno 40.000 razzi puntati su Israele.
Ahmadinejad proclama inoltre, a beneficio di tutte le democrazie, che è il suo regime quello che effettivamente tiene le redini in Libano, in collusione con i suoi alleati siriani. Il messaggio inequivocabilmente sottinteso per tutti i libanesi è che la loro sovranità è ora ridotta a mera facciata, che Beirut è il miserabile vassallo di Teheran e Damasco, che Ahmadinejad tiene le sue legioni – di nuovo, Hezbollah – dentro al Libano e che esse possono prenderne il controllo se certi segmenti del frammentato puzzle libanese non si sottometteranno docilmente. In breve, si scatenerà l’inferno in tutto il Libano se il Libano non si allineerà con Ahmadinejad.
La visita di Ahmadinejad – si può amaramente concludere – ha chiarito come l’indipendenza del Libano, già in rapido declino, sia stata risolutamente abrogata. Molto semplicemente, non è più un giocatore a pieno titolo in questa parte del mondo. L’umiliazione del Libano è completa. Mentre il tribunale speciale internazionale che indaga l’assassinio nel 2005 dell’ex primo ministro Rafik Hariri è sul punto di incriminare dei membri di Hezbollah per aver preso parte all’attentato, l’attuale premier libanese Saad Hariri (figlio dell’assassinato) viene pesantemente minacciato se non troverà il modo di impedire il processo. Il giovane Hariri deve collaborare con gli assassini di suo padre, soggiogatori del suo paese. Altrimenti deve aspettarsi di fare la stessa amara fine.
Il parlamentare di Hezbollah, Nawwaf al-Moussawi, ad esempio, non ha usato mezzi termini in proposito. Qualunque libanese che accetti le incriminazioni del tribunale verrà eliminato come “traditore” in combutta con Israele e Stati Uniti. C’è una pistola puntata alla tempia di Hariri: o fa come gli viene ordinato, o farà la fine sanguinosa di suo padre. La visita di Ahmadinejad ha consolidato questa miserevole condizione di Hariri.
Damasco ha aggiunto al danno la beffa, la scorsa settimana, quando ha emesso trentatré mandati d’arresto contro alcuni dei più stretti alleati di Hariri nel suo fronte un tempo anti-siriano. La totale impotenza di Hariri è stata esposta agli occhi di tutto il mondo. Alla sfortune del premier libanese hanno contribuito la sua personale pusillanimità, la sua irresolutezza, e la sua mancanza di indirizzo quasi quanto la spietatezza dei potenti ricattatori a cui si è arreso. La sua disonorevole sottomissione al caporione di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha reso inevitabile che egli si inchinasse al siriano Bashar Assad e che ora stendesse il tappeto rosso davanti ai piedi dell’iraniano Ahmadinejad.
Chi invece merita tutta la nostra simpatia, mentre Ahmadinejad passa in rassegna il suo regno in espansione, sono i tanti comuni cittadini libanesi – non necessariamente soltanto cristiani – a cui si stringe il cuore mentre vedono la morsa iraniano-siriana serrarsi sul loro paese. In questo ennesimo passaggio delicato della sua storia perennemente tormentata, il Libano è sotto la responsabilità di un leader codardo soggetto al predominio e alle manovre degli spietati regimi di Damasco e Teheran. È un aspetto particolarmente tragico della fine del Libano. Hariri aveva fatto straordinarie promesse quando aveva assunto la guida del governo a Beirut (nel giugno 2009). Il suo orientamento occidentale, la sua posizione apparentemente determinata contro il supremazia siriana e la sua retorica apparentemente fondata sui principi pro-democrazia aveva riacceso la speranza in un vero cambiamento. Invece, anziché districarsi dall’Asse del Male come tanti dei suoi stessi cittadini desideravano ardentemente che facesse, il Libano è diventato un remissivo ingranaggio della macchina iraniana.
Anziché limitarsi ad osservare il collasso di questa entità sovrana, la vergognosa sceneggiata andata in scena appena al di là del nostro confine settentrionale offre a Israele l’occasione per ricordare alla comunità internazionale che l’Iran di Ahmadinejad non è una minaccia “solo” per i “sionisti”. La conquista del Libano, consolidata dal giro d’onore fatto da Ahmadinejad, è un passo verso il dichiarato obiettivo dell’Iran di imporre la propria egemonia in tutta la sfera islamica e oltre. Le conseguenze per il mondo libero potrebbero essere disastrose. Per il Libano lo sono già.

(Da: Jerusalem Post, 14.10.10)

Nella foto in alto: il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad stringe la mano al primo ministro libanese Saad Hariri, a Beirut, lo scorso 14 ottobre