Il giusto indennizzo

La nascita d'Israele offrì a dittatori arabi il pretesto per una pulizia etnica degli ebrei

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1974Come è già stato notato su queste colonne, il presidente Usa George W. Bush ha dimostrato lucidità di visione circa il vero ostacolo alla pace, quando ha sottolineato che “l’accordo deve istituire la Palestina come patria del popolo palestinese esattamente come Israele è la patria del popolo ebraico”. Queste parole costituiscono la manifestazione finora più chiara del opposizione da parte americana a quel “diritto al ritorno” rivendicato dai palestinesi, che è un modo surrettizio per negare a Israele il diritto di esistere. È evidente quanto sia importante ripetere questo concetto e soprattutto spiegare cosa c’è dietro, cioè il fatto che il reciproco riconoscimento è un pre-requisito non negoziabile per qualunque seria trattativa sulla prospettiva “due popoli-due stati”. Dopo tutto, Israele non potrebbe neanche sedersi al tavolo negoziale senza aver riconosciuto che i palestinesi hanno diritto a uno stato. Allo stesso modo, i palestinesi devono accettare i diritti nazionali del popolo ebraico come punto di partenza, non come punto d’arrivo, dei negoziati sulla formula “due stati”.
Detto questo, Bush ha anche affermato qualcos’altro, su questo punto, che merita d’essere ricordato. Più avanti, sempre nella sua sintesi del 10 gennaio, ha detto infatti: “Ritengo che dobbiamo mirare alla creazione di uno stato palestinese e a nuovi meccanismi, come gli indennizzi, per risolvere la questione dei profughi”.
Anche qui, si tratta di una dichiarazione positiva e importante, giacché conferma la necessità che il nuovo stato palestinese, e non Israele, costituisca la risposta ai profughi palestinesi. Il riferimento agli indennizzi può essere cioè inteso come una praticabile alternativa alla pretesa palestinese, asimmetrica e irricevibile, di “invadere” Israele coi profughi e i loro discendenti.
Ma il riferimento agli indennizzi solleva anche qualche problema. Primo: sebbene Bush in questo contesto non abbia nominato Israele, il riferimento a indennizzi potrebbe essere interpretato come un riferimento implicito a una colpa primaria di Israele per il problema dei profughi palestinesi. Il che sarebbe storicamente errato e ingiusto, giacché la vera origine del problema dei profughi palestinesi fu il rifiuto arabo del piano di spartizione Onu del 1947 e il conseguente tentativo di cancellare Israele dalla carta geografica condotto da cinque eserciti arabi in quella che divenne la guerra d’indipendenza d’Israele. È vero che alcuni arabi palestinesi fuggirono sotto la spinta e l’esempio delle leadership arabe mentre altri furono espulsi dalle forze israeliane durante le operazioni belliche. Ma nessuno di loro avrebbe dovuto lasciare la propria casa se gli stati arabi non avessero scatenato l’aggressione contro Israele. Inoltre furono quegli stessi stati arabi, e non Israele, che decisero cinicamente di mantenere i palestinesi (e i loro discendenti) in una eterna condizione di profughi, per decenni, anziché usare una frazione delle loro risorse per favorirne il reinserimento, come invece faceva Israele in quegli stessi anni con gli ebrei fuggiti dai paesi arabi. Come ribadisce il ministero degli esteri di Gerusalemme, “Israele non è colpevole della creazione né del perpetuarsi del problema dei profughi palestinesi, per cui non può assumersi, neanche come gesto simbolico, questa responsabilità”. Diplomatici e leader israeliani dovrebbero battere su questo punto, e sottolineare che, se vi saranno indennizzi, dovranno essere ricordati anche i profughi ebrei di quegli anni.
La nascita di Israele offrì ai dittatori arabi il pretesto per avviare una massiccia pulizia etnica contro gli ebrei che vivevano nei loro paesi. Di fatto si ebbe, nella regione, uno scambio di popolazioni, con i profughi ebrei dai paesi arabi che superarono per quantità quelli arabi da Israele (circa un milione di profughi ebrei contro 600.000 profughi arabi). Ma i profughi ebrei non furono mai indennizzati per i beni e le proprietà che furono costretti ad abbandonare. Se verrà creato un meccanismo di indennizzi, esso di diritto dovrà comprendere anche i profughi ebrei, soprattutto considerando il fatto che quegli ebrei non avevano aggredito nessuno, e in molti casi vivevano in quei paesi da secoli prima che arabi e islam vi facessero la loro comparsa.
La causa dei profughi ebrei è stata sollevata la prima volta alla Knesset nel 1975 dall’allora parlamentare Mordechai Ben-Porat, che aveva fondato la World Organization of Jews from Arab Countries (WOJAC) con lo scopo di documentare le proprietà e i beni abbandonati dagli ebrei nei paesi arabi. Nel 2003 il governo israeliano ha ufficialmente incaricato la WOJAC di inventariare tutto ciò che venne confiscato agli ebrei dai governi arabi. Infatti, su ordine dei regimi arabi, agli ebrei vennero strappati terreni, conti bancari e persino gioielli. E la cosa non si è limitata al momento della nascita di Israele: l’Egitto, ad esempio, spogliò i suoi ebrei di tutti i loro beni nel 1956.
Di tanto in tanto i rappresentanti ufficiali d’Israele fanno cenno a questi fatti, come Menachem Begin ai negoziati di Camp David 1978 o Ehud Barak al summit di Camp David del 2000. Ma la questione non è stata perseguita seriamente, e invece andrebbe fatto.

(Da: Jerusalem Post, 15.1.08)

Nella foto in alto: Profughi ebrei accolti in Israele negli anni ’50