Il guaio Hamas

Palestinesi e israeliani verso un periodo di problemi e instabilità.

image_1066Una vittoria di Hamas costituirebbe un duro colpo per il nazionalismo palestinese. Lo afferma, alla vigilia alle elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese, Shaul Mishal, professore di scienze politiche all’Università di Tel Aviv e direttore dell’Istituto di Studi Israelo-Arabi dell’ateneo. “Una vittoria di Hamas – spiega Mishal – provocherebbe un terremoto e una confusione con conseguenze a vastissimo raggio. Apparirebbe come uno schiaffo in faccia al nazionalismo da parte dell’islam. Tutto a un tratto l’idea nazionalista su cui i palestinesi hanno fondato se stessi e la loro lotta sarebbe fuorigioco. Potrebbe essere un colpo paragonabile a quello subito dal mondo arabo con la guerra dei sei giorni del 1967”.
Secondo Mishal, ancora prima di conoscere i risultati si può affermare che Hamas emergerà come il vero vincitore. “Virtualmente Hamas ha già vinto – spiega – Dopo solo pochi anni, il movimento islamista si è conquistato una posizione centrale nella politica palestinese. La nuova posizione potrebbe condurre Hamas al riconoscimento internazionale. Sarebbe la prima volta che un gruppo islamista si guadagna legittimità in virtù di un processo democratico, e questo potrebbe creare una situazione intollerabile per Fatah. Se ciò dovesse accadere, Fatah potrebbe ricorrere a violenze interne ed esterne, con la possibilità di perdere il controllo del processo democratico. Se invece Fatah otterrà la maggioranza, anche solo di stretta misura, potrebbe approfittarne per neutralizzare Hamas, e questo potrebbe rafforzare gruppi marginali come la Jihad Islamica”.
“Uno dei risultati più probabili di tutto questo processo – continua il professore israeliano – è un maggiore coinvolgimento di altri paesi nella regione, soprattutto Giordania ed Egitto. Perché, se la situazione dovesse deteriorarsi in Egitto, quel paese potrebbe trovarsi esposto alla jihad internazionale. E lo stesso vale per la Giordania. Così può accadere che il problema palestinese si gonfi a valanga fino a nuove dimensioni: da problema regionale a problema internazionale. In generale uno dei risultati di queste elezioni è che il conflitto israelo-palestinese cesserà di essere un duetto per diventare un coro, con il coinvolgimento di vari paesi, un po’ come accade già oggi per il Libano”.
“Hamas non ha ancora deciso quali sono i suoi obiettivi – dice il generale Shalom Harari, già consigliere della Difesa per i territori, oggi ricercatore all’International Counter-Terrorism Policy Institute di Herzliya – Vuole entrare nel governo o le basta giocare la parte di rumorosa opposizione in parlamento? Da qui possiamo capire le dichiarazioni a due facce dei suoi esponenti. Anche se si accontentasse di sedere in parlamento, non sarebbe come prima. Se in passato i parlamentari più riottosi venivano convocati per ‘un bel chiarimento’ ed energicamente invitati a stare al loro posto, oggi nessuno potrà imporre ‘un bel chiarimento’ a deputati di Hamas sostenuti dall’ala armata del movimento. Il che vale anche per altre organizzazioni che partecipano per la prima volta alle elezioni palestinesi, come il Fronte Popolare e il Fronte Democratico. Così questa volta potremmo avere un parlamento palestinese completamente diverso da tutto ciò che avevamo conosciuto finora”.
Secondo Harari, la partecipazione di Hamas al parlamento comporterà anche altre difficoltà. “Se finora l’Autorità Palestinese non aveva saputo imporre il rispetto delle sue leggi, non appena entrerà in carica il nuovo parlamento non potrà più nemmeno fare le leggi. Gli americani hanno convinto Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ad approvare dopo le elezioni una legge che sarebbe considerata banale in quasi ogni altro paese: una legge che affermi che deve esservi una sola legge e un solo esercito. Ora sarà difficile che una legge di questo tipo possa passare”.
Se invece Hamas deciderà di entrare nel governo, i problemi potrebbero essere anche di più. “Prima di tutto – continua Harari – appena prenderanno posto, i ministri di Hamas vorranno rimpiazzare con i loro uomini i veterani dell’apparato di Fatah. È difficile immaginare che una situazione del genere possa verificarsi senza violenze. Quelli di Fatah sono avvezzi a godere di posizioni privilegiate. In secondo luogo, in seguito alle elezioni ci si può aspettare una vera crisi economica per via dell’economia elettorale dell’Autorità Palestinese. Basta vedere i recenti segnali in Cisgiordania. In terzo luogo Hamas, una volta entrata nel governo, si prenderebbe tutti i dicasteri sociali, come istruzione e assistenza, cosa che le permetterebbe di prendere il controllo di importanti ministeri e ottenere i mezzi finanziari necessari per distribuire favori alla gente senza avere a che fare con Israele. Avremmo così una situazione in cui il denaro pubblico palestinese verrebbe usato per finanziare la rete di assistenza sociale di Hamas, il che non farebbe che contribuire al rafforzamento di quell’organizzazione”.
Ma in che direzione si muove Hamas? La sua strategia resta quella che è sempre stata, liberazione totale di tutta la sacra Palestina dal fiume al mare? “Non si tratta di un obiettivo immediato – risponde Harari – L’obiettivo generale è quello di prendere il controllo della dirigenza palestinese, ma non in modo brutale. Il loro approccio è lo stesso della Fratellanza Musulmana, muoversi lentamente, quietamente, con pazienza e fiducia. L’obiettivo più immediato sarebbe conquistare l’Olp. Abu Mazen ha già promesso loro, nel marzo 2005, di riconoscere loro una rappresentanza proporzionale alla percentuale elettorale negli organismi maggiori dell’Olp come il Consiglio Nazionale Palestinese. Una situazione che li aiuterebbe a prendere il controllo dell’Olp, come il loro leader all’estero Khaled Mashal ha già affermato chiaramente, e in futuro sostenere che il gruppo parla a nome di tutto il popolo palestinese”.
“Tutto considerato – dice il professor Mishal – Hamas vorrà stare sia dentro che fuori”. E Harari aggiunge: “Cercheranno di presentarsi come una specie di Sinn Fein irlandese, come se le loro ali militare e politica fossero scollegate fra loro. Ma è solo un’ipotesi”.
Nel complesso, la visione di Harari non è ottimistica. “Andiamo verso un anno di instabilità, con un alto potenziale di deterioramento, e le possibilità di impedire tale deterioramento caleranno parecchio con l’ingresso di Hamas nel sistema politico. Se riprenderà la violenza, vi sono buone probabilità di assistere a una ‘intifada balistica’ in cui i palestinesi lanceranno razzi anche dalla Cisgiordania settentrionale. Inoltre il confine fra Egitto e striscia di Gaza è spalancato, le armi entrano liberamente e nessuno, nel prevedibile futuro, disarmerà questi gruppi. Sicché l’anarchia continuerà”.
Si desidera comunque qualche elemento di ottimismo? Può rincuorare il fatto che questa volta la dirigenza palestinese rappresenterà realmente una larga parte della popolazione, più di quanto non abbia fatto finora. “Se a Oslo abbiamo fatto un accordo con qualcuno che rappresentava meno di metà della popolazione, ora avremo una dirigenza palestinese che rappresenterà più della metà. Forse i palestinesi cercheranno di raccogliersi attorno a una figura unificante. E se non lo faranno, per lo meno sapremo a che punto stiamo. È già qualcosa”, conclude Harari.

(Da: YnetNews, 25.01.06)