Il lungo braccio d’Israele

E’ saltato l’equilibrio che garantiva immunità ai padrini dei terroristi

di Ronen Bergman

image_2453Sin dalla seconda Guerra in Libano contro Hezbollah (estate 2006), dove Israele ha cercato di far capire ai suoi vicini che era furibondo senza riuscirci granché, qualcosa è mutato nella strategia israeliana. Dopo di allora, è saltato fuori in più occasioni che gli israeliani non solo sono arrabbiati, ma che hanno anche rimesso in attività il loro lungo braccio militare.
D’abitudine Israele non si assume ufficialmente la responsabilità di operazioni condotte in profondità nel territorio di stati nemici, ma quando tali operazioni vengono rivelate e attribuite a Israele dai mass-media internazionali, Gerusalemme risponde con silenzi e ammiccamenti piuttosto espliciti. Così è stato per il bombardamento sul reattore siriano del settembre 2007 e per il successivo “strano incidente” che ha visto andare distrutta una fabbrica di missili siriana. Lo stesso è accaduto quando il super-terrorista Imad Mugniyah è saltato in aria a Damasco (febbraio 2008) e quando un generale siriano di nome Mohammed Suleiman, implicato nei piani nucleari e nel coordinamento con Hezbollah e Iran, è stato misteriosamente assassinato da un cecchino in riva al mare (agosto 2008).
Sin dai primi anni ’90 gli israeliani tengono d’occhio con preoccupazione l’ascesa al potere degli estremisti islamisti in Sudan e la creazione in quel paese di campi d’addestramento per terroristi. Negli anni scorsi il Sudan è diventato una delle vie di contrabbando privilegiate dall’intelligence iraniana, con armi che partono dalle basi dei Guardiani della Rivoluzione e transitano in Sudan ed Egitto per arrivare a Gaza attraverso il deserto del Sinai e i tunnel sotto il corridoio Philadelphia.
Teheran non fa che gettare benzina sulle fiamme del conflitto. Questa sua attività è diventata di importanza cruciale per Hamas, divenuta il pupillo favorito dell’Iran dopo l’uccisione dello sceicco Ahmed Yassin (che invece era contrario al sostegno iraniano). La cosa è diventata ancora più vera dopo l’inizio della controffensiva israeliana dello scorso gennaio nella striscia di Gaza e i duri colpi che essa ha inferto ai depositi di armi e munizioni di Hamas. I capi di Hamas, ad esempio, furono colti di sorpresa quando le forze aeree israeliane colpirono con precisione tutta una serie di trinceramenti muniti in anticipo di rampe già armate di missili: quei missili avrebbero dovuto essere lanciati con inneschi o telecomandi. Grazie ad accurate informazioni di intelligence, le forze aeree israeliane riuscirono a distruggere la maggior parte di quelle rampe, e Hamas inviò urgenti messaggi all’Iran per chiedere che reintegrasse al più presto gli arsenali.
L’equilibrio del terrore instaurato a metà anni novanta con i due grandi attentati in Argentina all’indomani dell’uccisione dell’allora capo di Hezbollah Abbas al-Musawi spinse Israele a concentrare le sue operazioni solo contro il gruppo Hezbollah, e non contro i suoi padrini Siria e Iran. Ma le recenti operazioni attribuite a Israele contro armi iraniane in Sudan e contro obiettivi in territorio siriano costituiscono un forte indizio che quell’equilibrio del terrore è saltato.

(Da: YnetNews, 29.03.09)