Il Medio Oriente è come l’ospite sgradito che non vuole andarsene

I leader occidentali dovrebbero chiedersi se potevano fare qualcosa di più per attenuare le cause dell’ondata di profughi dal Medio Oriente

Di David Horovitz

David Horovitz, autore di questo articolo

David Horovitz, autore di questo articolo

Questi sono i primi giorni nella nuova crisi dei migranti che l’Europa si trova ad affrontare, e che potrebbe crescere fino a far impallidire le sue dimensioni attuali. Ma, a rischio di aggiungere più domande che risposte, io mi chiedo:

L’Europa non sta forse pagando il prezzo degli sforzi che ha fatto per tenersi fuori da alcune crisi del Medio Oriente, recenti o tuttora in corso, in particolare la guerra civile in Siria? L’Occidente è stato informato sin dall’inizio, in tutti i suoi orrendi e cruenti dettagli, del massacro che il presidente Bashar Assad stava infliggendo al suo popolo. E tuttavia, con suo enorme discredito morale, gli ha permesso di continuare a farlo. Ricette per risolvere la guerra civile siriana certamente non ve ne sono. E’ facile invocare l’intervento militare, e lamentarsi per la sua assenza. Di gran lunga più difficile mettere insieme un piano di intervento con una reale possibilità di successo. Tuttavia, si è consentito al macellaio di Damasco di mettere impunemente in ombra il precedente macellaio di Damasco, suo padre, permettendogli persino di usare ripetutamente il gas contro la sua stessa gente praticamente senza conseguenze. L’Europa non ha certamente insistito sul fatto che il presidente americano Barack Obama punisse Assad per il suo uso di armi non convenzionali. Anzi, ciò che ha fornito al presidente Usa un pretesto almeno parziale per tirarsi indietro fu il parlamento britannico che, convocato in seduta d’emergenza nell’agosto 2013, respinse l’azione punitiva promessa da Obama.

Da cosa fuggono esattamente i profughi del Medio Oriente? Tra i fattori che hanno determinato la drastica impennata dei disperati che cercano di fuggire da questa regione vi sono i regimi assassini come quello di Assad; regimi che sono “soltanto” repressivi senza essere sistematicamente sanguinari; la ferocia dello “Stato Islamico” (ISIS), di al-Qaeda e di altri gruppi terroristici islamisti variamente assortiti; la povertà, la disuguaglianza e una serie di altre cause correlate. Con tutta la buona volontà del mondo – e ci sono un sacco di cittadini europei, e anche alcuni governi europei, che non mancano di buona volontà – queste cause di fondo non si risolvono in modo adeguato dalla sera alla mattina. Ma una certa insistente riluttanza dell’Occidente ad affrontare i regimi canaglia e ad affrontare le cause profonde dell’estremismo islamico – i martellanti messaggi in questa regione di capi spirituali, mass-media, pedagoghi – ha certamente aggravato la crisi. Così come non aiuta il mancato contributo allo sforzo di stabilizzare nazioni che saranno anche traballanti, ma non sono ancora collassati. La popolazione d’Egitto, ad esempio, non sta ancora tentando di fuggire in massa, ma si può ragionevolmente prevedere che cercherà di farlo se crollerà la sua economia. E tuttavia, gli sforzi occidentali per aiutare il salvataggio dell’economia egiziana, per spingere verso una maggiore trasparenza e in tal modo facilitare investimenti credibili, sono stati sinora decisamente deludenti.

"In un mondo migliore"

“In un posto migliore”

Mi dispiace menzionare qualcosa che ha a che fare con Israele in questo contesto, tuttavia ci si potrebbe chiedere: se certi leader mondiali e certi organismi internazionali fossero stati un po’ meno ossessionati dall’idea di Israele come radice di tutti i mali del Medio Oriente, e si fossero focalizzati un po’ di più sulle tirannie e sull’estremismo religioso come radici della maggior parte dei mali di questa regione, forse l’influenza diplomatica ed economica dell’Occidente avrebbe potuto contribuire ad attenuare almeno un po’ alcuni degli orrori da cui tante persone in questa parte del mondo stanno ora cercando di scappare.

E, scusandomi di nuovo: le potenze mondiali credono veramente che il loro ultimo atto da “statisti” – premiare l’Iran per il suo criminale programma nucleare con un accordo che farà affluire decine di miliardi nelle casse di Teheran, cementando ancora di più il potere del predatorio regime degli ayatollah, violatori sistematici dei diritti umani – promuoverà una maggiore stabilità in questa parte del mondo?

L’Europa non è forse un po’ in ritardo nell’elaborare delle politiche coerenti in materia di immigrazione? Sembra di essere testimoni dell’ennesimo caso di leadership mondiale palesemente incapace di formulare strategie, costretta a formulare politiche ad hoc nei momenti critici. Adesso, per esempio, la Germania, la potenza economica d’Europa, come potrà fare fronte a quella che certamente sarà un’escalation di richieste da parte del mondo oppresso? Potrà mai la Germania, con la sua storia del XX secolo, chiudere le porte ai bisognosi e ai perseguitati? Ma, allo stesso tempo, come evitare un netto aumento dell’estremismo di destra in reazione all’afflusso? Come garantire che coloro che oggi cercano rifugio e nuove opportunità di vita desiderino veramente integrarsi, anziché distorcere le società aperte occidentali? Come impedire che il male dell’estremismo islamico faccia irruzione in Europa insieme alle sue stesse vittime?

Tornando di nuovo al nostro orizzonte particolare, come dovrebbe agire Israele? Lo stato ebraico deve forse spalancare le sue frontiere alle genti dal nord, allevate per generazioni nell’odio mortale contro di noi? Chiaramente no. Eppure abbiamo degli obblighi verso le masse di perseguitati attorno a noi. Forse i drusi di Siria sono un caso speciale, a nome del quale potremmo agire più energicamente? Difficile pensare che l’Occidente ci condanni, oggi, per la scelta negli anni scorsi di sigillare il confine con l’Egitto allo scopo di evitare che diventassero milioni le decine di migliaia di africani richiedenti asilo che si erano instradati verso l’unica democrazia accessibile via terra. Ancora più difficile, oggi, snobbare quei politici israeliani che sostengono che un’immigrazione incontrollata attraverso una frontiera porosa potrebbe far saltare ogni equilibrio demografico in Israele. Dovremmo permettere alle persone di origine palestinese di passare da Siria e Libano in Cisgiordania, come ha chiesto il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)? Chiaramente sarebbe molto più facile farlo se fossimo in pace con i palestinesi anziché a un punto morto, e se Abu Mazen avesse da tempo e pubblicamente rinunciato alla pretesa di quel “diritto al ritorno” (all’interno di Israele) che brandisce la demografia come un’arma letale contro Israele.

Molte domande, poche risposte. E la conferma di un concetto ben noto. Il Medio Oriente è come l’ospite sgradito che non vuole andarsene: cercare di cavarsela ignorandolo significa farlo a proprio rischio e pericolo.

(Da: Times of Israel, 6.9.15)

Scrive Boaz Bismuth, su Israel HaYom: «Nel frattempo, una domanda incombe enorme su tutta questa vicenda. Dove sono gli stati arabi? Dov’è la solidarietà araba? Dove sono i miliardi di dollari dell’Arabia Saudita? Dove sono i miliardi del Qatar e i miliardi degli Emirati, mentre milioni di profughi siriani sono in Turchia, Libano e Giordania, e altre centinaia di migliaia sono già in Europa?». (Da: Israel HaYom, 4.9.15)