Il messaggio di Blair e Bush

I due leader hanno suonato lo stesso spartito, sul quale cera scritta una parola: democrazia.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_436Poche ore dopo la sepoltura di Yasser Arafat venerdì scorso a Ramallah, Tony Blair e George W. Bush avevano un incontro alla Casa Bianca e tenevano una conferenza stampa che potrebbero rappresentare uno spartiacque nei mesi e negli anni a venire.
Blair è corso alla Casa Bianca subito dopo la rielezione di Bush per promuovere quella che è la sua massima priorità: il rilancio della ricerca della pace fra arabi e israeliani. La fretta di Blair ha dato l’impressione che vi fosse tensione nel rapporto col presidente Usa, quasi che infine l’alleanza Bush-Blair fosse giunta al capolinea. Le notizie giunte venerdì dicono che non è accaduto nulla del genere. Anzi. I due hanno suonato lo stesso spartito, e sullo spartito c’era scritta una parola: democrazia. Alle domande che, come di consueto, venivano poste al solo scopo di poter titolare l’indomani “tutta colpa d’Israele”, i due leader hanno ripetutamente replicato con la stessa risposta: oggi i palestinesi hanno l’occasione di costruire una democrazia che possa negoziare con Israele.
Si tratta effettivamente di una occasione incredibile. Entro due mesi i palestinesi eleggeranno un nuovo presidente. A differenza delle elezioni scorse (29 gennaio 1996) che incoronarono Arafat, è probabile che questa volta ai palestinesi verrà offerta un’autentica possibilità di scelta. Non sappiamo quanto questa scelta sarà trasparente e libera, ma sappiamo qual è la scelta che devono fare. Devono decidere se vogliono iniziare a costruire il loro stato democratico a fianco di Israele o se vogliono continuare a cercare di distruggere Israele con qualche genere di dittatura, islamica o di altro tipo.
È chiaro che uno stato belligerante alla Hamas non costituirebbe un interlocutore per Israele. Ma Bush e Blair hanno escluso anche una terza, teorica, possibilità: una dittatura palestinese “moderata” con la quale Israele venisse obbligato a negoziare. Per dirla con le parole di Bush, “se si pensa di poter avere la pace senza democrazia, ripeto, dubito molto che ciò possa mai avvenire. L’abbiamo visto tentare invano troppo volte”. Blair assentiva e aggiungeva: “Quello che stiamo effettivamente dicendo qui è che uno stato palestinese vitale deve essere uno stato democratico”.
Saggiamente Bush e Blair hanno evitato il consueto approccio da “carro davanti ai buoi” che ha rovinato il processo di pace così tante volte. Anziché convocare adesso una conferenza sul Medio Oriente o mandare l’ennesimo inviato, hanno messo in chiaro che tutto dipenderà dalle annunciate elezioni palestinesi. “Svilupperemo una strategia – ha spiegato Bush – tale per cui, una volta fatte le elezioni, potremo dire: ecco come vi aiuteremo. Se volete essere aiutati, ecco cosa siamo pronti a fare. Se scegliete di non essere aiutati, se decidete che non volete una società libera e democratica, allora non c’è proprio nulla che possiamo fare”.
Al centro della conferenza stampa non c’era la Road Map, ma la democrazia. Bush, con Blair al suo fianco, ha riproposto il suo progetto del giugno 2002: mettere la democrazia al centro della politica per la pace.
Si tratta di un chiaro messaggio non solo per israeliani e palestinesi, ma per tutta la regione. Il messaggio, oggi forse con maggiore chiarezza che in qualunque altro momento dopo l’11 settembre, è che non si consentirà al processo di pace arabo-israeliano di deviare dalla strategia valida per tutta la regione. Ha spiegato Blair: “Prima c’era un’idea: qualunque cosa si facesse all’interno dei vari paesi, riguardava solo loro e non importava praticamente nulla. Oggi stiamo imparando che non c’è stabilità di nessun tipo vero e duraturo senza il diritto democratico per i popoli liberi di decidere dei propri governi. Ora, questo non vuol dire che cercheremo di interferire negli affari interni di tutti gli stati del mondo, ma significa che c’è stato un drastico cambiamento dopo l’11 settembre nel modo di concepire i passi avanti da fare”.
Bush e Blair hanno detto ai palestinesi che questa è la loro grande occasione per unirsi allo schieramento del mondo libero e democratico, oppure essere lasciati fuori.
Anche il governo d’Israele dovrebbe prendere nota che il test per misurare l’affidabilità dell’interlocutori non è solo la sua capacità di contrastare il terrorismo, ma le ben più importanti pace e stabilità che si accompagnano a un potere che deriva dal consenso dei governati”.

(Da: Jerusalem Post, 14.11.04)

Vedi anche:
Democrazia palestinese: ne’ inutile ne’ impossibile
di Natan Sharansky (23.06.2002)

http://israele.net/prec_website/analisi/23082dem.html