Il nazionalismo pan-arabo nella sua cruda realtà

Se una nazione europea sostenesse di essere l'unica che ha il diritto di farsi stato, il mondo la condannerebbe come razzista.

Di Shlomo Avineri, scienze politiche Università di Gerusalemme

image_315Unione Europea e Nazioni Unite hanno finalmente deciso di adottare le prime, timide misure per cercare di porre termine a quanto sta accadendo nella regione sudanese del Darfur. Il recente rapporto di Human Rights Watch sul Darfur conferma i peggiori timori di coloro che seguivano gli eventi nel Sudan occidentale. Vi sono state uccisioni su larga scala, espulsioni, incendi sistematici di villaggi e – non meno grave – il ricorso allo stupro come arma per terrorizzare e umiliare la popolazione nera di quella provincia. Non si tratta solo di saccheggi ad opera di milizie arabe fuorilegge. Queste milizie sono lo strumento del governo di Khartoum, dominato dagli arabi, nella sua guerra contro la popolazione nera e non araba del Darfur.
Non è certo la prima volta che il Sudan si rende protagonista di violenze contro la sua stessa popolazione non araba. Da decenni il governo sudanese cerca di reprimere una rivolta delle tribù nere, soprattutto Dinga, nel sud del paese. In quel caso Khartoum ha cercato di imporre la legge islamica alle popolazioni del Sudan meridionale, che sono per lo più cristiane o animiste. Nel Darfur, invece, le vittime della repressione del governo sudanese sono musulmane. Ma in entrambi i casi il governo è impegnato a opprimere e tormentare gruppi di popolazione di neri, non arabi.
L’opinione pubblica internazionale – evidentemente assi lenta a reagire, come lo fu nel caso del Rwanda, a orrori che si consumano in una terra lontana, dove le vittime sono neri e i dettagli dei fatti poco chiari – tende in ogni caso a trascurare il contesto più ampio nel quale questi eventi si inscrivono. Una delle caratteristiche del nazionalismo arabo – ben sintetizzato nell’ideologia ufficiale della Lega Araba – è quella di considerare tutta questa regione come una regione esclusivamente araba. Naturalmente è vero che la maggioranza della popolazione che vive nell’area che si estende dal Marocco al Kuwait è di lingua e cultura araba. Tuttavia, chiamandola sempre e solo “la regione araba”, il discorso dei nazionalisti arabi non intende indicare una semplice realtà demografica. Intende anche affermare un titolo di diritto: nel credo del nazionalismo arabo classico, esiste un solo popolo che ha diritto legittimo a costituirsi in nazione in quest’area, il popolo arabo.
Questo approccio egemonico e intollerante determina buona parte delle politiche arabe. Da qui nasce la totale assenza di voci arabe che ammettano il diritto all’autodeterminazione dei curdi nell’Iraq settentrionale. Da qui nascono le difficoltà dell’Algeria ad accettare i berberi, e la loro lingua, come una legittima componente politica del paese. Da qui nasce la violenta opposizione ai tentativi dei cristiani maroniti di forgiare un’identità libanese leggermente diversa. Da qui nasce la furibonda reazione che si incontra in Egitto quando si solleva la questione dei cristiani copti (la tipica risposta egiziana è che in Egitto non esistono affatto minoranze). Ed è sempre in questo stesso contesto che si spiega la profonda avversione ad accettare la legittimità di Israele.
Se una qualunque nazione dell’Europa centrale o orientale sostenesse di avere il monopolio del diritto a costituirsi in Staats-Nation (per usare il termine tedesco storicamente screditato), nessuno accetterebbe tale pretesa, e l’opinione pubblica internazionale la etichetterebbe giustamente some sciovinista e razzista.
Eppure è proprio questa la concezione sta al cuore del sistema di convinzioni del nazionalismo arabo. Le violenze in Sudan, come le attuali violenze in Iraq rivolte, fra l’altro, contro l’autonomia dei curdi, non è che un’espressione più brutale del solito di quest’unico pernicioso filo che corre attraverso il pensiero politico arabo dominante. Nessuna meraviglia che la Lega Araba, così vociferante su altre questioni, se ne stia in totale silenzio.
Ciò che accade nel Darfur è molto peggio di ciò che Slobodan Milosevic tentò di fare agli albanesi del Kosovo. Nessuno desidera vedere la comunità internazionale coinvolta in un’altra guerra umanitaria in Africa, ma la questione del Darfur non è solo un problema di aiuti umanitari più o meno rapidi. È la conseguenza di una profonda e grave versione del nazionalismo arabo etnocentrico che deve essere affrontata per quello che è, con grande determinazione sul piano sia politico sia intellettuale.

(Da: Jerusalem Post, 2.08.04)

Nella foto in alto: il prof. Shlomo Avineri