Il negazionista del sionismo

“No, Maestro Barenboim, non è la Shoà che ha creato Israele”

Di Einat Wilf

Einat Wilf, autrice di questo articolo

Daniel Barenboim è un negazionista del sionismo. Negazionista del sionismo è l’affermazione, da lui ripetuta in suo recente editoriale su questo stesso giornale (Ha’aretz), secondo cui Israele esiste a causa della Shoà.

Negazionista del sionismo è il racconto della storia come se lo stato di Israele fosse stato “dato” al popolo ebraico da parte di un mondo in preda al senso di colpa dopo la Shoà. Negazionista del sionismo è anche l’affermazione secondo cui anche i palestinesi sono vittime della Germania e dell’Europa, perché senza la Shoà la loro nakba (“catastrofe”) non sarebbe avvenuta.

Il risultato della negazione del sionismo è ignorare tutta la storia del movimento sionista prima della seconda guerra mondiale. Il negazionista del sionismo ignora completamente, o preferisce convenientemente ignorare, il fatto che, a parte il passaggio decisivo della dichiarazione d’indipendenza, lo stato d’Israele in fieri esisteva già di fatto sotto ogni aspetto prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Negazione del sionismo significa ignorare che lo stato d’Israele è sorto sulla scorta della visione, delle aspirazioni e delle straordinarie gesta di ebrei lungimiranti che gettarono le fondamenta della sua indipendenza.

Israele non è stato “dato” agli ebrei perché, tra l’altro, l’ultima cosa che avevano in mente le nazioni europee alla fine della guerra mondiale era un sentimento di colpa verso gli ebrei. In alcuni paesi europei questo sentimento ha cominciato a emergere dopo una generazione; in altri non si registrano segni in questo senso nemmeno oggi.

Il direttore d’orchestra Daniel Barenboim

Come in quegli stessi anni l’India e il Pakistan, e altre nazioni, non hanno avuto bisogno che venisse trucidato un terzo del loro popolo per ottenere il loro stato, anche il popolo ebraico avrebbe comunque ottenuto il proprio stato alla fine della seconda guerra mondiale non per via della Shoà, bensì a causa di un altro effetto della guerra: lo smantellamento dell’impero britannico.

Il negazionista del sionismo non solo ignora la storia del sionismo prima della seconda guerra mondiale. Egli deruba anche il popolo ebraico della sua coscienza sionista: lo deruba del riconoscimento che gli ebrei possono, con la forza della propria visione, della propria volontà e del proprio lavoro, tornare protagonisti della storia come agenti attivi e forgiare un futuro in cui non sono solo vittime di altri. Il negazionista del sionismo preferisce credere che lo stato d’Israele sia stato un “dono” concesso agli ebrei a causa di ciò che è altri avevano fatto agli ebrei, e non il frutto di ciò che gli ebrei hanno realizzato da se stessi e per se stessi.

Peggio, il negazionista del sionismo cerca di ricacciare gli ebrei nel ruolo che compete loro nella storia europea: persone tollerate, il cui destino viene stabilito da coloro che prendono e danno a proprio piacimento. Il negazionista del sionismo trasforma Israele – unico fra tutti i paesi del mondo – in uno stato in “libertà condizionata” a cui è permesso esistere solo finché coloro che l’hanno avuto in dono, per gentile concessione e non per diritto, incontreranno il favore di chi “ha dato loro” un paese.

1918: posa della prima pietra dell’Università di Gerusalemme sul Monte Scopus (trent’anni prima della nascita dello stato d’Israele)

Il negazionista del sionismo deruba anche gli arabi, e i palestinesi tra loro, dello status di persone che appartengono a un’antica cultura indipendente, capaci di prendere decisioni che comportano conseguenze. Dal punto di vista arabo, accettare il principio della spartizione significava prendere le distanze da una costruzione culturale antica di secoli secondo la quale gli ebrei erano seguaci di una religione inferiore a cui è permesso esistere per concessione della maggioranza, e da una lunghissima tradizione secondo la quale era possibile vivere con gli ebrei solo finché questi stavano al loro posto di persone che non sono e non possono essere eguali ad arabi e musulmani.

È vero: dato che c’erano più arabi che ebrei in Terra d’Israele, gli arabi non erano motivati ad accettare un compromesso e a dividere la terra con il movimento sionista. Ma il fatto che in questa prospettiva avessero motivo di rifiutare il piano di spartizione non li assolve dalla responsabilità per averlo fatto e per le sue conseguenze: se fossero riusciti a prendere le distanze dalla loro storia di prevaricazione e non avessero fatto affidamento sulla loro superiorità numerica, avrebbero accettato il piano di spartizione senza opporsi con la forza. E la nascita di Israele non sarebbe diventata la loro “catastrofe”.

C’è chi sostiene che la mappa della spartizione (proposta dall’Onu), che prevedeva una significativa minoranza araba all’interno dello stato ebraico, dimostra che la dirigenza sionista si riprometteva comunque di “ripulire” il territorio dagli arabi indipendentemente dal loro assenso o meno alla spartizione. Questa tesi trascura il fatto che, in quello stesso momento, centinaia di migliaia di ebrei si trovavano nei campi di raccolta in Europa e a Cipro in attesa della nascita dello stato ebraico e dell’apertura delle porte all’immigrazione. Non c’era alcun bisogno di “ripulire” nulla, nella mappa della spartizione. Ciò di cui c’era bisogno era aprire le porte: le porte che non si sarebbero mai chiuse se non fosse stato per la violenta lotta araba contro il sionismo prima della seconda guerra mondiale (e sa il cielo quanti ebrei si sarebbero potuti salvare dalla Shoà se quelle porte non si fossero chiuse).

Technion, il politecnico di Haifa istituito nel 1912 (36 anni prima della nascita dello stato d’Israele)

Il diritto del popolo ebraico ad avere un paese nella propria patria è un diritto universale riservato a ogni popolo: il diritto di governare se stesso e di controllare il proprio destino. Finché il mondo è diviso in circa 200 paesi sulla base del principio di autodeterminazione per i popoli e le nazioni, il popolo ebraico ha questo diritto. Anche gli arabi palestinesi hanno diritto all’autodeterminazione in una parte del paese che si estende tra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo. Ma il loro diritto non soppianta quello degli ebrei così come il diritto degli ebrei non soppianta quello degli arabi. Quando gli arabi riconosceranno che il popolo ebraico ha un eguale diritto all’autodeterminazione in una parte della sua patria in Terra d’Israele, allora capiranno che devono rinunciare alla pretesa di un“ritorno” dentro lo stato d’Israele. Ed è allora che potranno istituire il loro paese in una parte della Palestina ed promulgare una legge per il diritto di ritorno dei palestinesi nel loro stato, come hanno fatto gli ebrei grazie alla loro visione, al loro lavoro e alla loro determinazione.

(Da: Ha’aretz, 13.6.17)

Le immagini d’epoca sono tratte dal DVD “Israele, una storia per immagini”