Il nuovo Centro d’Israele

La maggioranza degli israeliani crede che la pace sia lontana, ma che bisogna comunque spartire il paese

di Gadi Taub

image_2798Un sondaggio pubblicato a metà marzo da Yedioth Ahronoth rivelava che Kadima (il partito centrista attualmente all’opposizione) non solo mantiene la sua posizione di primo partito israeliano, ma avrebbe addirittura incrementato il suo vantaggio sul Likud salendo a 32 seggi (potenziali). È comprensibile che gli esponenti di Kadima si rallegrino per il risultato di questo sondaggio, e tuttavia sbagliano. Lo stesso sondaggio mostra che il blocco di destra rimane il solo in grado di formare un governo: Kadima sottrae voti solo a sinistra.
La conclusione che ne hanno tratto Tzipi Livni e il suo staff è la stessa che hanno adottato ormai da un anno intero: la necessità di rosicchiare un pezzo del centro. Ecco perché pensano di non dover adottare posizioni che appaiano di sinistra. In questo spirito, Kadima si è opposto alla legge per indennizzi a chi sgombera dagli insediamenti, che avrebbe favorito l’avvio di un processo di ritiro “spontaneo” da Giudea e Samaria (Cisgiordania). Per lo stesso motivo Kadima non si è schierato inequivocabilmente contro gli insediamenti. Tzipi Livni aveva l’occasione di affermare pubblicamente che gli insediamenti sono la nostra disgrazia: innescheranno un conflitto fra Israele e il suo più importante alleato e ci trascineranno verso un stato unico “bi-nazionale” a maggioranza araba. Aveva l’opportunità di affermare che Kadima si adopererà per spartire il paese con o senza un accordo. E invece cerca di “conquistare il centro” evitando di presentare con chiarezza le sue posizioni. Il sondaggio rivela, per l’ennesima volta, che questa tattica è ingiustificata. In questo modo Kadima non conquista affatto il centro; come si è detto, erode soltanto a sinistra.
Ma coloro che si comportano soltanto sulla base dei sondaggi, agiscono in base al passato e al presente, mancando così la sostanza: i governi vengono eletti per aprire un nuovo futuro, non un nuovo passato. Coloro che invece alzano lo sguardo al di là dei sondaggi vedono con chiarezza che Kadima sta leggendo la mappa del passato anziché la mappa del futuro.
Sotto a quella che era la “sinistra” (vale a dire, il campo pacifista) e a quello che era la “destra” (vale a dire, il campo per l’integrità della Terra d’Israele o “grande Israele”), da tempo vediamo emergere un nuovo “centro” che ha già dimostrato la propria forza anche se è temporaneamente andato in sonno in seguito ai Qassam di Hamas e alla seconda guerra in Libano contro Hezbollah. Questo centro non crede che vi siano reali chance per la pace, ma pensa anche che, nonostante questo, dovremmo porre fine all’attività di insediamento e spartire il paese, con l’obiettivo di salvare il sionismo.
Questo nuovo centro non resterà ancora a lungo in stato di stordimento. Tutti gli indicatori puntano in questa direzione. Israele ha dimostrato di saper far fronte efficacemente ai Qassam. Israele vede anche che l’impresa degli insediamenti sta gradualmente alienandoci il sostegno americano (una questione che preoccupa molto, e giustamente, gli israeliani). La maggioranza del pubblico israeliano capisce che è possibile preservare una maggioranza ebraica solo all’interno della Linea Verde.
Isaiah Berlin scrisse una volta che Churchill non creò la determinazione degli inglesi a resistere alla Germania nazista: ciò che fece fu svegliarla, raccoglierla e metterla in condizione di riconoscere la propria stessa forza. È ciò che fece David Ben-Gurion quando capì, nell’estate del 1937 (accettando la divisione della terra proposta dalla Commissione Peel) che nella spartizione del paese risiedeva l’unico futuro possibile per il sionismo. Sulla forza di quella intuizione, Ben-Gurion formulò la posizione della comunità ebraica locale, sebbene non sia stato lui a crearla.
È difficile chiedere a qualcuno di essere un Churchill o un Ben-Gurion. Eppure si può chiedere alla leadership di seguirne le orme. Se Kadima vuole sopravvivere deve dare al centro una voce chiara. Deve dire apertamente che la pace non arriverà tanto presto perché i palestinesi non si sognano di rinunciare al cosiddetto “diritto al ritorno”, e deve dire che noi spartiremo il paese anche senza un accordo con loro.

(Da: YnetNews, 24.3.10)

Nella foto in alto: Gadi Taub, autore di questo articolo