Il paradosso dei palestinesi democratico-estremisti

Da 40 anni ogni dirigenza palestinese è sempre più democratica ma anche più estremista di quella precedente

Da un articolo di Moshe Elad

image_1004Che cos’è che l’occidente, e in primo luogo gli Stati Uniti, vorrebbero vedere in Medio Oriente? Il loro obiettivo è quello di arrivare all’attuazione concreta della Road Map, che sfoci nell’esistenza di due stati, Israele e Palestina, l’uno a fianco dell’altro, oppure quello che vogliono è ottenere la democratizzazione dei territori?
La difficoltà che incontrano gli Stati Uniti nel creare la democrazia in Iraq dovrebbe insegnare all’occidente per lo meno una cosa importante: che quando sui tratta di democrazia in Medio Oriente, la scelta non è fra una dittatura araba e una democrazia di tipo occidentale, quanto piuttosto fra una dittatura laica con qualche venatura di democrazia, come in Egitto, in Giordania e in Marocco, o una dittatura fondamentalista islamica, come in Arabia Saudita e in Iran.
In questo senso, è senz’altro realistico pensare che una nuova dirigenza palestinese verrà democraticamente eletta il prossimo 25 gennaio. Ciò che non è realistico è pensare che quella dirigenza sappia arrivare a un accordo di pace con Israele. Marwan Barghouti, Jibril Rajoub e Mohammed Dahlan di Fatah, Mahmoud al-Zahar e Ismail Henia di Hamas sono in effetti persone che hanno delle qualità democratiche, ma è assai dubbio che questi cinque, e il gruppo di giovani che sta con loro, abbiano in mano le chiavi per la conclusione del conflitto con lo stato di Israele.
La cultura politica in Cisgiordania e striscia di Gaza degli ultimi quattro decenni ha messo in luce un fenomeno assai singolare della società palestinese: la dirigenza che si trova di volta in volta in prima linea con Israele è sempre più democratica di quella precedente, ma anche più estremista nel suo atteggiamento verso Israele.
Già verso la fine del 1967, l’allora primo ministro israeliano Levy Eshkol tentò di arrivare a un accordo per istituire una forma di autogoverno in Cisgiordania e striscia di Gaza con due rappresentanti delle tradizionali famiglie di notabili palestinesi: Mohammed Jabari di Hebron e Mazuz al Masri di Nablus. L’accordo non riuscì e allora, per la prima volta, fece la sua comparsa nei territori un organismo anti-israeliano, il Fronte Nazionale Palestinese. La sua dirigenza era più democratica dei Jabari e Al Masri, ma era composta da un gruppo estremista di sostenitori del partito Ba’ath siriano e di comunisti appoggiati dall’Unione Sovietica, che consideravano Israele una minaccia vitale. Quando i leader del Fronte Nazionale Palestinese vennero espulsi in Libano nel 1973, dopo un breve intervallo vennero rimpiazzati dai membri del Comitato di Guida Nazionale. Questa dirigenza collettiva e pluralista comprendeva non meno di venticinque rappresentanti eletti da tutte le fazioni palestinesi: il Fatah, la sinistra marxista-leninista, e per la prima volta anche un gruppo religioso islamista. Questo organismo democratico dichiarò guerra agli Accordi di Camp David (1978) e con essi al piano per l’autonomia palestinese. Nel 1982 anche il Comitato di Guida Nazionale finì fuorilegge. Cinque anni dopo Israele, che in questo modo aveva creato un vuoto nella dirigenza locale, si ritrovò con la prima intifada, guidata da un gruppo di capi giovani e violenti, determinati ad andare allo scontro con Israele. Molti di quei capi sono oggi candidati alle elezioni per il parlamento palestinese.
La prima intifada finì quando l’Olp, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fece il suo sbarco nei territori (grazie agli accordi di Oslo). Ma dal momento che la sua dirigenza era considerata in fin dei conti troppo centralizzata e troppo disponibile alle concessioni e alla riconciliazione, il pubblico palestinese trovò presto il modo di dare vita a un’alternativa. E così l’intifada di Al-Aqsa ha visto emregere un misto di leader fondamentalisti (Hamas e Jihad Islamica) e di leader di bande anarcoidi che agiscono sotto l’egida del regime palestinese (Tanzim, Brigate al-Aqsa). Alcuni dei loro membri verranno eletti nelle prossime elezioni parlamentari palestinesi.
Ecco perché è ingenuo da parte degli Stati Uniti e dell’Europa pensare che cento anni di sanguinoso conflitto tra movimento sionista e movimento nazionalista arabo, e tre decenni di scontro violento fra israeliani e palestinesi possano giungere al termine semplicemente incoraggiando l’elezione di Marwan Barghouti e della sua banda. Supponendo che storia tenda a ripetersi, alla fine di gennaio scopriremo che il nuovo interlocutore di Israele sarà molto democratico, ma anche molto estremista.
E così la chiave sarà ancora una volta nella mani dell’occidente. Tutti i mezzi di pressione disponibili – dalla rottura dei rapporti diplomatici alla cessazione dei trasferimenti di denaro – dovranno essere adoperati verso la dirigenza democratica che emergerà nell’Autorità Palestinese per costringerla ad essere flessibile, a parlare di compromesso e di pace. Altrimenti il prossimo leader che condurrà i negoziati sarà democratico quanto Yasser Arafat e liberale quanto Izz al-din al Qassam.

(Da: Ha’aretz, 8.12.05)

Nella foto in alto: terroristi delle Brigate al-Aqsa (Fatah) per le strade di Gaza