Il partigiano che non poté salvare il Monte Scopus

Studente dell’Università di Gerusalemme, Dov Levin tenne un diario durante i mesi dell’assedio e della guerra per l’indipendenza

image_2105“La situazione non permette di posporre la bevuta di vino. L’università ha chiuso, gli autobus non circolano, nemmeno a Talpiot. I bombardamenti sono terribili, di sera sono accompagnati da un coro di spari. L’anno è cominciato così”. Con queste parole, il 1 gennaio 1948 si apre il diario di Dov Levin, all’epoca studente all’Università Ebraica del Monte Scopus e combattente nell’Haganah (le forze di autodifesa ebraiche sotto il Mandato Britannico).
Levin scriveva tutti i giorni nel suo diario, una piccola agenda da ufficio blu con la copertina rigida. In giorni particolarmente importanti come il 15 maggio – all’indomani della dichiarazione di indipendenza di Israele – le parole traboccavano dai margini. Le pagine del diario riflettono la tensione tra la vita quotidiana di un giovane studente con il “bere il vino” e i “terribili bombardamenti” dei mesi di guerra e di assedio: le esperienze di un soldato sulle linee del fronte.
Levin, oggi professore all’Università di Gerusalemme specializzato in storia ebraica dell’Europa orientale, è nato in Lituania nel 1925. La sua famiglia perì nella Shoà, ma lui sopravvisse e combatté con i partigiani, perfino tenendo un diario mentre era nascosto nella foresta. Salpò per la Palestina Mandataria nell’ottobre 1945 su una nave per l’immigrazione clandestina. Dopo una breve permanenza al kibbutz Beit Zera nella valle del Giordano, si trasferì a Gerusalemme e cominciò a studiare storia e sociologia all’Università.
Quando scoppiò la guerra d’indipendenza, la forze arabe isolarono il monte Scopus – con l’Università e l’ospedale Hadassah – dal resto della città. Quaranta studenti che servivano nell’Haganah rimasero a difendere la piccola enclave. Il diario di Levin dipinge il ritratto di uno studente che non è meno turbato dai suoi studi che dalla guerra; di un veterano dei partigiani al quale le battaglie sul mMonte Scopus spesso sembrano giochi da ragazzi; di un giovane uomo cocciuto che spesso si ribella a suoi sentimentali comandanti.
Il 31 marzo 1948 Levin scrive che ha deciso di farsi crescere la barba “anche solo come esperimento”, ma è più turbato dai “tremendi spari nella notte: noi non rispondiamo nemmeno con un proiettile ed è un bene che siamo abituati a non lasciarci sconvolgere, altrimenti sarebbe continuato all’infinito, e le loro munizioni sono molto migliori delle nostre”.
Il giorno successivo, 1 aprile, Levin ritorna a parlare del prosaico: “In sala da pranzo tutti ricevevano un uovo, ma le uova risultavano vuote, con gran divertimento di quelli che ci erano cascati prima”. Pochi giorni dopo descrive una visita allo zoo dell’Università, guidata dal suo fondatore, il prof. Aharon Shulov. “E’ la prima volta che vedo un leone, e una pantera (la testa del leone è grossa in confronto al suo corpo, relativamente corto e piccolo ma molto ben costruito).
Il 13 aprile un convoglio sanitario venne attaccato mentre si avvicinava al Monte Scopus. Settantotto medici, infermiere e combattenti di scorta furono uccisi nel “massacro del convoglio medico di Hadassah”. I difensori del Monte Scopus tentarono invano di fornire fuoco di copertura al convoglio. “Ci divorano rabbia e dolore insieme”, annota Levin. Trovò debole consolazione nel fatto che un suo caro amico, che doveva trovarsi nel convoglio, non c’era perché aveva fatto tardi. Levin perse qualche soldo in una macabra scommessa in cui aveva sostenuto che l’amico era tra i morti. “Se solo potessi perdere tutto in questo modo” scrisse.
Il 14 maggio, giorno della dichiarazione d’indipendenza dello stato d’Israele, Levin scrisse di “una giornata storica, o forse la giornata storica, benché tutto il periodo sia speciale… Senza trasporti e senza telefono sentiamo tutte le doglie dello stato nascente, e io ho il privilegio di vederlo accadere, anche se da lontano. Noie giornaliere: turno di guardia bucato stiro sonnellino pomeridiano contrattare il turno di guardia [niente virgole nell’originale]: non ci si rende conto del grande momento”.
Più avanti nel mese, la Legione Araba di Giordania cercò due volte senza successo di conquistare il Monte Scopus usando forze irregolari composte di arabi locali. Levin descrive un prigioniero di guerra, apparentemente un civile. Annotò Levin: “Un poveraccio con i calli ai piedi, uno strano senso di compassione e molto, molto felice che non l’ho ucciso e che non abbia cercato di scappare”.
Aumentava il timore di un assalto arabo più imponente. “Un convoglio gigante dal Mar Morto minaccia con i fari, si muovono verso ovest. Che cosa ci porterà?”, scriveva il 21 maggio. Il giorno seguente Levin osserva che “le nostre possibilità sono magre. L’aiuto dalla città non arriverà rapidamente”. Ma alla fine di maggio i tentativi di prendere il Monte Scopus cessarono, forse grazie anche alle proteste degli Stati Uniti per gli attacchi contro l’ospedale.
Al culmine delle battaglie gli studenti del Monte Scopus continuavano la loro vita. Si incontravano quasi tutte le sere per un kumsitz, una riunione che prevedeva il consumo di bevande alcoliche distillate da studenti di chimica nei laboratori dell’università. Queste feste improvvisate si svolgevano di frequente nelle grotte di Nikanor, dove sono sepolti i leader sionisti Menahem Ussishkin e Yehuda Leib Pinsker. In loro onore, gli studenti chiamarono le loro bevande Ussishkinit e Pinskerit. Le feste portavano tensioni tra gli studenti e i loro comandanti militari, e l’alcol venne ben presto vietato.
Pochi giorni dopo, Levin ed alcuni amici rifiutarono un ordine di trasferirsi all’interno dell’ospedale Hadassah. Furono imprigionati in una prigione militare improvvisata a Hadassah. Il loro arresto fu il culmine del braccio di ferro tra gli studenti e il comandante del Monte Scopus. “Pochi minuti prima del processo ci facemmo fotografare tutti”, scrisse Levin. “Benché non sia molto piacevole essere processato per la prima volta nella vita sul Monte Scopus, è una protesta contro l’ingiustizia e il disprezzo da parte dei comandanti, e l’inizio di una battaglia nell’Yishuv per un esercito democratico e popolare”.
Alla fine di giugno la pressione militare sul Monte Scopus cessò del tutto. Il 24 giugno Levin scrisse solo una frase: “Il rumore dei bambini arabi che giocano si può udire fino a Sheikh Jarrah [l’adiacente quartiere arabo]: silenzio e tranquillità”. Quattro giorni dopo Levin osservava che “questo è il terzo giorno di fila in cui abbiamo mangiato più o meno a sufficienza. Anche il numero di sigarette è accettabile”.
Il 7 luglio Levin lasciò il Monte Scopus, in base a un’intesa raggiunta quel giorno fra Israele e Giordania. Osservò nel suo diario che il bibliotecario dell’Università perquisiva gli effetti personali degli studenti per assicurarsi che non avessero preso dei libri dalla Biblioteca Nazionale.
Il giorno seguente Levin entrò nel Palmach (forze d’elite dell’Haganah). Combatté in alcune delle battaglie intorno a Gerusalemme. Durante questo periodo scrisse che “lo spirito dei partigiani è tornato: si dorme per terra”.
In gennaio Levin celebrò il suo 25esimo compleanno “all’avamposto Malha”, scrivendo: “E’ un’età che dovrebbe portare stabilizzazione”.
Due mesi dopo Levin tornò ai suoi studi, conseguendo la laurea in attività sociali. Dopo vent’anni come assistente sociale a Gerusalemme, tornò all’Università a studiare storia. Ha pubblicato diciotto libri. Lui e la moglie, Bilha, hanno tre figli e quattro nipoti.
Quando recentemente gli fu chiesto perché teneva un diario, Levin rispose: “Sentivo un dovere, un’ossessione a scrivere. Tutti i giorni dovevo scrivere almeno qualche riga”.

(Da: Ha’aretz, 02.05.08)

Nella foto in alto: Un’immagine dell’imboscata araba al convoglio sanitario per il Monte Scopus del 13 aprile 1948