Il post-sionismo non esiste

Si tratta del vecchio anti-sionismo, travestito da concetto nuovo, come una vecchia automobile che si cerca di vendere come nuova

Da un articolo di Shlomo Avineri

Negli ultimi anni un fenomeno chiamato “post-sionismo” si è sviluppato nelle conversazioni politico-intellettuali in Israele. Fondamentalmente, si tratta di una critica radicale non solo della politica di Israele; alla sua base c’è una negazione totale del progetto sionista e della legittimità stessa dell’esistenza dello stato d’Israele come nazione-stato ebraica.
Gli argomenti chiamati “post-sionisti” hanno vari aspetti – non solo politici ma anche culturali. Vedono il sionismo come un fenomeno coloniale, non come un movimento nazionale che si contende un territorio con un altro movimento nazionale, quello palestinese. Alcuni di quelli che si chiamano “post-sionisti” si spingono anche oltre, sostenendo che l’esistenza stessa di un popolo ebraico sarebbe una “narrazione” inventata nel XIX secolo, e che gli ebrei sarebbero fondamentalmente una comunità religiosa. L’atteggiamento del sionismo, che ha la maggior parte delle sue radici in Europa, verso gli ebrei dei paesi musulmani è considerato come uno sfruttamento coloniale.
Questo approccio vuole anche de-legittimare il mondo concettuale del sionismo: poiché alcuni dei cosiddetti argomenti “post-sionisti” provengono dall’ambiente post-moderno, i loro portavoce capiscono che i termini che usano hanno una propria forza. Chi controlla i termini controlla la discussione. Quindi insistono a riferirsi in ebraico a Eretz Israel (la Terra d’Israele) pre-1948 come “Palestina”; gli ebrei che sono venuti a vivere qui, e che il sionismo chiama “olim” (dalla radice ebraica “salire”), sono “immigranti” e così via.
Nello stesso tempo, quelli che stanno ben attenti a non accettare la narrazione sionista spesso accettano la narrazione palestinese senza porla in dubbio. Per loro è chiaro che c’è un popolo palestinese, che quello che avvenne nel 1948 è esattamente quello che dicono gli arabi, e che nel conflitto israelo-palestinese c’è, da una parte, una “narrazione” sionista, e dall’altra “fatti” che sono assolutamente identici alla narrazione palestinese. Questo naturalmente è follia assoluta e contraddice i principi dello stesso post-modernismo.
Ma c’è anche un altro aspetto: quelli che si definiscono “post-sionisti” sono semplicemente anti-sionisti del vecchio tipo. Il termine “post-sionismo” suona come se fosse qualcosa di innovativo, venuto dopo il sionismo. Tuttavia, c’è qui un grave errore: perché il termine “post-sionismo” abbia un significato, è necessario partire dall’accettazione del sionismo come fatto e realtà e cercare di andare al di là di esso. Quindi, per esempio, la critica post-moderna parte dall’accettazione della modernità, lotta con i suoi risultati dialettici e le sue contraddizioni e cerca di andare oltre. Non è questo il caso di quelli che si definiscono “post-sionisti”: essi non vedono il sionismo e lo stato di Israele come una realtà davvero avvenuta, ma piuttosto come qualcosa che non è legittimato dall’inizio e che deve essere eliminato fin dalle sue fondamenta.
Tuttavia, in questo le loro pretese sono identiche a quelle degli anti-sionisti vecchio stile. Questi erano, ad esempio, gli argomenti comunisti classici e in qualche misura anche quelli dei Bundisti: che non c’è nessun popolo ebraico (vedi, per esempio, la dottrina di Stalin), che il sionismo è un alleato dell’imperialismo e che gli arabi palestinesi sono vittime dell’aggressione sionista. Non tutti questi argomenti sono completamente privi di fondamento, e anche coloro che non li condividevano sapevano che la discussione era legittima.
Non c’è ragione per non riprendere questi argomenti oggi, se uno li considera corretti. La disonestà intellettuale sta nel tentativo di creare un senso di qualcosa di nuovo, che sia considerato “post” e di moda: si tratta semplicemente di una vecchia automobile che cercano di vendere come se fosse appena uscita dalla fabbrica delle più recenti innovazioni intellettuali.
Alcuni di quelli che si definiscono “post-sionisti” provengono dall’ex campo comunista. C’è qualcosa di patetico nel fatto che 20 anni fa credevano in un mondo nuovo e giusto che doveva emergere da Mosca o da Cuba, e che l’unica cosa che è loro rimasta oggi di quella nobile visione è l’ anti-sionismo. Non la fratellanza delle nazioni, non la liberazione del proletariato, non la giustizia sociale universale: tutto questo è tragicamente crollato, e l’unica cosa che rimane è l’odio per il sionismo.
La posizione anti-sionista ha accompagnato il sionismo fin dall’inizio, ed è una posizione legittima anche se non la si condivide: ha portato alcuni dei comunisti in Terra d’ Israele (pardon, Palestina) a giustificare atti di assassinio di ebrei a Hebron e Gerusalemme, commessi da palestinesi nel 1929, come autentica espressione di una “sollevazione popolare”, anche se ispirata dal fanatismo dell’ Islam.
Non c’è nulla di nuovo in questa cecità morale e in queste distorsioni storiche, ma vale la pena di ricordare questo: non si tratta di post-sionisti, ma piuttosto di anti-sionisti della vecchia scuola. L’ assurdità è che gli anti-sionisti di un’altra specie, quelli del movimento ultra-ortodosso Agudat Yisrael, per esempio, hanno accettato il fatto storico dell’esistenza dello stato di Israele. Gli altri anti-sionisti, che sono abituati ad autodefinirsi la gente del mondo di domani, sono ancora prigionieri delle spire del passato. E’ proprio vero che non c’è niente di nuovo sotto il sole.

(Da: Ha’aretz, 6.07.07)