Il prezzo dei Qassam

Chi lancia i Qassam sa bene a quali rischi espone la sua stessa popolazione

Da un articolo di Anshel Pfeffer

image_1429Il rapporto che il generale Meir Klifi ha ricevuto l’ordine di presentare al più presto sulla tragedia di Beit Hanun potrebbe sin d’ora essere riassunto in due sole parole: la seconda parola è “succede”; la prima non si può scrivere su un giornale rispettabile.
Tuttavia, visto che il rapporto sarà scritto in ebraico, il generale potrebbe anche usare un vecchio detto delle forze armate israeliane: “Zeh o tzalash, o tarash”, e cioè: “o è medaglia o è punizione”. In questo caso, la distanza fra le due è stata di poche centinaia di metri, il tipo di errore che prima o poi succede: diciamo una media di una volta ogni varie centinaia di colpi sparati. ”Attacchi chirurgici” è un termine brillante che i genererai amano usare, ma – come sanno tutti, chirurghi compresi – non esiste intervento chirurgico senza qualche possibilità di errore.
Tutto questo, naturalmente, importa poco quando sulle tv di tutto il mondo passano le immagini di venti corpi senza vita, per la metà bambini.
Negli anni scorsi si è dibattuto a lungo in Israele – fra militari, fra ministri, alla Corte Suprema, sui mass-media – sull’efficienza e sulla moralità dell’uso dell’artiglieria contro i lanciatori di missili Qassam. Le direttive sono state riviste innumerevoli volte, i margini di sicurezza sono stati aumentati e diminuiti, l’ordine di fare fuoco sospeso e poi ripreso diverse volte. Ma i fatti non cambiano: l’artiglieria rimane il mezzo più rapido e conveniente per rendere la vita difficile alle squadre di terroristi palestinesi che lanciano i Qassam, cercando di ridurre al minimo la loro minaccia. Ed anche il mezzo più sicuro per la vita dei soldati israeliani.
Molti in Israele accusano governo e forze armate di non aver saputo debellare la minaccia dei Qassam in più di sei anni. Il sindaco di Sderot, Eli Moyal, è diventato un personaggio di rilievo nazionale con le sue quotidiane interviste contro l’impotenza del governo di fronte a queste armi rudimentali. Le sventura dei cittadini di Sderot e delle altre città israeliane attorno alla striscia di Gaza è un fatto concreto che richiede un intervento più esauriente. Tuttavia, dal momento che l’opzione di rioccupare l’intera striscia di Gaza non si pone nemmeno, restano alcuni dati di fatto inesorabili. Finché i gruppi palestinesi continuano a lanciare dalla striscia i loro missili artigianali, queste cose continueranno a succedere, almeno in una certa misura. Chi si affretta a gettare tutta la colpa addosso a forze armate e dirigenza politica israeliane semplicemente preferisce ignorare i fatti sul terreno.
I terroristi che si dedicano al lancio dei Qassam sono costantemente nel mirino di tutte le unità militari e di intelligence di cui Israele dispone, dall’artiglieria alle forze aeree, dai carri Merkava ai commando di incursori. Ne sono stati arrestati e uccisi a centinaia, senza contare i tanti che sono morti nell’esplosione accidentale dei loro ordigni e dei loro depositi.
Le Forze di Difesa israeliane non possono impedire in assoluto il lancio di missili leggeri, praticamente in ogni direzione, praticamente da qualunque punto della striscia di Gaza. Quello che possono fare è rendere di fatto impossibile ai terroristi palestinesi prendere davvero la mira. I Qassam, come i razzi Katyusha degli Hezbollah libanesi, sono quella che i militari israeliani chiamano un’arma “probabilistica”: uno colpo su mille potrebbe prima o poi centrare il cortile di una scuola durante l’intervallo, o qualcosa del genere. Nel frattempo, è proprio la continua pressione delle forze israeliane, e della sua artiglieria, ciò che impedisce ai missili palestinesi di essere più precisi e micidiali, diminuendo le probabilità che un tale bersaglio venga centrato. E i terroristi ci provano in continuazione.
Ma il calcolo delle probabilità gioca anche sull’altro versante, per cui più colpi d’artiglieria e di tank si devono sparare, più aumentano le probabilità di un tragico errore. Elicotteri e aerei sono più precisi, ma è semplicemente impossibile coprire dall’aria tutta la striscia di Gaza 24 ore su 24. Ed è anche molto rischioso. Prima o poi i terroristi palestinesi riusciranno ad abbattere un elicottero Apache. E poi, anche il miglior pilota del mondo può sempre sbagliare mira, come è accaduto a Kafr Kana. Mandare truppe di terra diminuisce ulteriormente le probabilità di errore, ma occorre tempo, comporta ogni volta una mini-rioccupazione di una parte della striscia, e mette a rischio la vita dei soldati che, comunque, possono operare solo in un settore limitato. Mentre i Qassam possono essere lanciati praticamente da qualunque posto, e i terroristi palestinesi non si fanno scrupolo di lanciarli da scuole, case, moschee.
Non ci sono facili soluzioni. Le “colombe” diranno che una soluzione diplomatica risolverebbe tutto; i “falchi” diranno che l’unica soluzione è rioccupare ampie parti della striscia di Gaza. Sono entrambe posizioni semplicistiche, utili solo per i discorsi fatti dai banchi dell’opposizione. La realtà è che si può contenere la minaccia posta dai Qassam sulla popolazione israeliana solo a costo di aumentare i rischi per la popolazione palestinese. E chi lancia i Qassam lo sa.

(Da: Jerusalem Post, 9.11.06)

Nella vignetta in alto: Il soldato israeliano al carrista: “La strada per casa? Segui i Qassam”