Il prezzo della scarcerazione di terroristi detenuti

Come era prevedibile, ricadono su Israele le conseguenze dei ricatti che gli sono stati imposti

Famigliari del soldato israeliano Tomer Hazan, presso la loro casa nella città costiera di Bat Yam, nel centro di Israele

Famigliari del soldato israeliano Tomer Hazan, presso la loro casa nella città costiera di Bat Yam, nel centro di Israele

L’assassinio del sergente di 20 anni Tomer Hazan ha sconvolto la nazione. Nidal Amar, il 42 enne palestinese che ha ammesso d’aver ucciso Hazan, ha spiegato che contava di usarne il corpo per estorcere la scarcerazione da un penitenziario israeliano del fratello terrorista.

Il fratello, Nur al-Din Amar, è stato arrestato nel 2003 e condannato da un tribunale israeliano perché coinvolto in diverse attività terroristiche, tra cui una sparatoria nel villaggio di Azun che causò il ferimento di un civile israeliano, e l’organizzazione di un attentato suicida che sarebbe stato realizzato da una terrorista all’interno di Israele se le forze di sicurezza israeliane non l’avessero sventato in tempo.

A rendere ancora più grave la tragedia sono le circostanze del delitto. Verosimilmente tra i due era nata un’amicizia dal momento che entrambi lavoravano presso il ristorante Tzahi Besarim di Bat Yam: Hazan come fattorino (aveva ricevuto il permesso dalle Forze di Difesa di lavorare part-time mentre prestava servizio nell’aviazione con mansioni amministrative), Amar come lavorante in cucina. In sostanza, Amar ha approfittato della fiducia e dell’ ingenuità di Hazan per attirarlo in una trappola mortale nel villaggio palestinese di Beit Amin, a sud di Kalkilya (in Cisgordania).

Dalla dolorosa vicenda si possono trarre alcuni insegnamenti. In primo luogo, che tutti i soldati – anche temporaneamente fuori servizio – dovrebbero attenersi rigorosamente alle istruzioni delle Forze di Difesa in materia di spostamenti in Cisgiordania, a maggior ragione alla luce del costante allarme perché i terroristi palestinesi puntano in modo particolare a sequestrare soldati.

In secondo luogo, che le ditte israeliane non dovrebbero mai impiegare palestinesi che non siano perfettamente in regola coi permessi di ingresso e di lavoro.

Ma soprattutto questo assassinio a sangue freddo sottolinea il carissimo prezzo che Israele paga per la scarcerazione di terroristi palestinesi. Nel luglio 2008 il terrorista dell’Olp Samir Kuntar e quattro terroristi Hezbollah vennero rilasciati in Libano, insieme alle salme di 199 uomini di Hezbollah, in cambio dei corpi dei soldati israeliani Ehud Goldwasser e Eldad Regev (che nel luglio 2006 erano stati catturati in territorio israeliano da Hezbollah e uccisi). Nell’ottobre 2011 il governo israeliano ha accettato di rimettere in libertà 1.027 detenuti palestinesi, per lo più terroristi, in cambio della restituzione del soldato Gilad Shalit, sequestrato in territorio israeliano nel giugno 2006 e da allora trattenuto in ostaggio da Hamas nella striscia di Gaza. Nel luglio di quest’anno, con una decisione controversa a cui questo giornale si era dichiarato contrario, il governo israeliano ha accettato di scarcerare più di cento detenuti palestinesi condannati da lungo tempo per terrorismo in cambio di nulla di concreto: solo di un consenso concesso obtorto collo dall’Olp al riavvio di colloqui diretti dopo quasi tre anni di interruzione. Il primo gruppo di questi terroristi è già stato rilasciato e a breve seguirà il secondo.

Ogni volta che Israele accetta uno scambio ineguale si mette in moto una dinamica estremamente pericolosa. Se un grande numero di detenuti viene rimesso in libertà in cambio della restituzione di pochi singoli soldati sequestrati (vivi o morti), i terroristi palestinesi come Amar sono fortemente incoraggiati a rapire e uccidere altri soldati. Non a caso Israele deve ora fronteggiare un’intensa escalation di tentativi di fare esattamente questo, da parte di gruppi terroristici palestinesi. Le cifre parlano da sé: nei primi sei mesi di quest’anno sono stati sventati ventisette tentativi di rapire soldati, il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012.

Ya'akov (Kobi) Gal, il soldato israeliano ucciso domenica da un cecchino palestinese mentre montava di guardia al quartiere ebraico di Hebron

Ya’akov (Kobi) Gal, 20 anni, il soldato israeliano ucciso domenica da un cecchino palestinese mentre montava di guardia al quartiere ebraico di Hebron

Non basta. Quando tanti detenuti, compresi quelli che si sono personalmente macchiati di reati di sangue (sovente con modalità particolarmente raccapriccianti) vengono scarcerati prima che abbiano scontato la pena, questo fomenta i terroristi palestinesi come Amar che, a ragion veduta, possono scommettere sul fatto che anche loro verranno rilasciati in anticipo nel quadro di qualche “scambio di prigionieri” o di qualche “gesto di buona volontà”. Come dargli torto? Amana Muna, la donna palestinese condannata all’ergastolo nel 2003 per aver sedotto via internet il 16enne israeliano Ofir Rahum e averlo attirato a Ramallah dove terroristi Fatah lo hanno assassinato a sangue freddo, è stata rilasciata (nel quadro del ricatto per la liberazione di Shalit) dopo aver scontato solo otto anni di carcere (accolta come un’eroina dal presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen in persona).

Per tutti i duemila anni di esilio, l’altissima considerazione in cui il popolo ebraico tiene la vita umana è stata cinicamente sfruttata da chi lo voleva ricattare. Di conseguenza la tradizione ebraica ha sviluppato una vasta letteratura rabbinica che affronta le questioni morali e giuridiche implicate. E il risultato è che non ci sono risposte nette. Da un lato il rabbino Yosef Caro (1488-1575), nel suo codice della legge ebraica intitolato Shulchan Aruch stabilisce che il riscatto della vita dei prigionieri ha la precedenza su tutte le altre opere caritatevoli. D’altra c’è il rabbino Meir di Rothenburg (1215-1293) che, in uno straordinario atto di altruismo, emise un decreto dalla cella dove era prigioniero con il quale ordinava ai suoi allievi e sostenitori di non pagare l’esorbitante riscatto preteso da chi lo aveva rapito: sapeva infatti che se il riscatto fosse stato pagato, non vi sarebbe stata fine ai tentativi di estorsione nei confronti della comunità ebraica. Rabbi Meir morì in cattività sette anni dopo essere stato sequestrato.

Non ci sono risposte facili quando si tratta di deliberare sulla scarcerazione, estorta col ricatto, di terroristi detenuti. L’assassinio di Hazan lo scorso fine settimana costituisce un doloroso monito dei rischi che la cosa comporta.

(Da: Jerusalem Post, 23.9.13)