Il (sanguinoso) groviglio siriano

In Siria non si pone una scelta tra "buoni" e "cattivi”, e in Medio Oriente le scelte non sono sempre dettate dal calcolo logico

Alcuni commenti sulla stampa israeliana

image_3169Scrive Amir Rappaport, su Ma’ariv: «Finora Assad si è fatto beffe della “linea rossa” enunciata dal presidente Obama la scorsa estate, scommettendo sul fatto che gli Stati Uniti non sono veramente interessati ad agire contro di lui. Ma – aggiunge l’editorialista – durante lo scorso fine settimana sembra che le immagini diffuse in tutto il mondo non abbiano lasciato agli Stati Uniti molte altre scelte se non quella di agire in qualche modo» anche senza un avallo ufficiale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Secondo l’editorialista, «qualsiasi intervento sul suolo siriano rischia di portare per reazione a un’apertura del fuoco contro Israele (come fece Saddam Hussein nel 1991, attaccato dalla comunità internazionale dopo la sua invasione del Kuwait). Assad cercherà di attaccare Israele soprattutto se avrà la sensazione che il suo regime è in concreto pericolo. Ed ebbene sì, è probabile che pensi di lanciare armi chimiche anche contro di noi». (Da: Ma’ariv, 25.8.13)

Scrive Alex Fishman, su Yediot Aharonot: «Le probabilità che la Siria, se attaccata dagli Stati Uniti, reagisca contro Israele non sono elevate, ma in Medio Oriente le scelte non sono sempre dettate dal calcolo logico: se verrà ferito l’onore nazionale della Siria a seguito di un attacco americano, la risposta siriana potrebbe essere irrazionale». Secondo l’editorialista, i siriani «hanno obbligato il presidente Obama a prendere decisioni che avrebbe preferito non prendere, ma che ora “deve” prendere. Obama deve ripristinare la fiducia negli Stati Uniti del mondo in generale, e quella del Medio Oriente in particolare, cercando allo stesso tempo di ridurre al minimo possibile i rischi per le forze e gli interessi americani. Si può solo sperare che gli americani, se decidono di attaccare, ci informino con qualche ora d’anticipo in modo che possiamo prepararci all’eventualità che i siriani vadano fuori di testa». (Da: Yediot Aharonot, 25.8.13)

Scrive Yoav Limor, su Israel HaYom: «In Israele si ritiene che, almeno in una prima fase, qualsiasi eventuale attacco americano sarebbe limitato e concentrato (forse contro le unità che operano con le armi chimiche), sia per evitare di finire in un pantano militare, sia per il timore che un attacco ad ampio raggio possa spingere Assad a utilizzare armi non convenzionali contro i suoi avversari (secondo la logica del non aver nulla da perdere). Dal punto di vista di Israele – continua l’editorialista – la sfida sarà quella di riuscire a rimanerne fuori. La naturale preoccupazione è che, con le spalle al muro, la Siria (o Hezbollah e l’Iran) potrebbe dirigere il fuoco contro Israele, sia per complicare le cose che per cercare di unire il mondo arabo-islamico contro di noi. Pertanto c’è da supporre che vi sarà stretto coordinamento tra Gerusalemme e Washington, incluse delle garanzie americane di proteggere Israele nel caso venisse attaccato (come avvenne durante la guerra del Golfo del 1991)». Alla luce degli eventi in corso in altre parti della regione, l’editorialista esorta Stati Uniti, Europa e Israele a riflettere bene sulla situazione che potrebbe predominare in Siria dopo l’eventuale caduta del regime di Assad. (Da: Israel HaYom, 25.8.13)

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Una delle immagini di quello che è stato denunciato come un massiccio attacco con armi chimiche da parte del regime di Damasco contro civili siriani

Scrive Avi Issacharoff, su Jerusalem Post: «Le immagini della carneficina alla periferia di Damasco hanno evidenziato agli occhi di Israele e della comunità internazionale il livello di orrore che si sta dispiegando appena oltre il nostro confine settentrionale. Il sospetto immediato è che il regime siriano guidato da Bashar Assad abbia ancora una volta fatto uso di armi chimiche – probabilmente gas sarin – contro la popolazione civile in zone in cui è attiva l’opposizione che vuole cacciarlo dal potere. Ma la tempistica è sconcertante. Proprio un anno fa il presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva proclamato che l’uso di armi chimiche avrebbe costituto il superamento di una “linea rossa” che avrebbe richiesto l’intervento americano. E l’attacco ha avuto luogo appena prima dell’arrivo in Siria di una squadra di ispettori delle Nazioni Unite incaricati di indagare precedenti accuse di uso di armi non convenzionali nella guerra civile siriana. La reazione istintiva quasi automatica di esperti e analisti – continua l’editorialista – è stata quella di criticare la politica dell’amministrazione Obama in Medio Oriente. Ancora una volta una linea rossa è stata superata mentre l’amministrazione di Washington rimaneva passiva. Ma il cauto approccio di Washington a quanto sta avvenendo in Siria è del tutto giustificato. In Siria non si pone una scelta tra “buoni” e “cattivi”. Il regime di Assad è senz’altro pessimo, ma l’opposizione che si sta formando si preannuncia altrettanto pessima, e forse anche peggiore dal punto di vista occidentale. Una coalizione di bande affiliate ad al-Qaeda stanno guadagnando il controllo su porzioni sempre più ampie di territorio siriano, comprese alcune delle maggiori città del paese. La caduta di Assad potrebbe mettere l’Occidente di fronte a una minaccia non meno allarmante: un regime controllato da milizie estremiste sunnite che non avranno né la possibilità né la volontà di dialogare con gli Stati Uniti e l’Occidente, e men che meno con Israele. Per quanto possa sembrare drammatico, in Siria l’amministrazione Usa ha ben poche opzioni». (Da: Jerusalem Post, 25.8.13)