Il sionismo pragmatico di Sharon che salvò Israele. Due volte

E dimostrò come la realtà avesse smentito le illusioni in cui si erano cullate sia la sinistra che la destra israeliane

Di Gil Troy

23 ottobre 1973: Sharon con un contadino egiziano in un villaggio presso Ismailia, sulla sponda ovest del Canale di Suez

23 ottobre 1973: Sharon con un contadino egiziano in un villaggio presso Ismailia, sulla sponda ovest del Canale di Suez

Ariel Sharon ha contribuito a salvare Israele almeno due volte. La prima volta, nel corso della guerra di Yom Kippur del 1973, gli è valsa il plauso di tutto il mondo libero. La seconda volta, tre decenni più tardi, nella guerra contro il terrorismo di Yasser Arafat, gli è valsa grandi critiche e accuse generalizzate. Questo slittamento riflette perfettamente il cambiamento di tattica nella pluridecennale guerra contro l’esistenza di Israele, e il conseguente crollo dell’immagine d’Israele agli occhi del resto del mondo.

Sharon, un fiero combattente che era rimasto così gravemente ferito nella guerra del 1948 da essere dato per morto, e che nel 1967 aveva ideato nuove tattiche di battaglia coi carri nel deserto, nell’ottobre 1973 rischiò la corte marziale quando attraversò con le sue truppe il Canale di Suez. Israele stava aveva vacillato sotto l’offensiva siriano-egiziana sferrata nel giorno di Kippur. Scontrandosi coi suoi superiori Sharon insistette perché, anziché battersi sulla difensiva, passasse all’offensiva ed entrasse in territorio egiziano. La sua audace manovra funzionò, arrivando ad accerchiare nel Sinai l’intera Terza Armata egiziana e contribuendo in modo determinante alla vittoria finale di Israele.

A Gerusalemme (1992)

Questo era il tipico sionismo da “sabra” (ebreo nato in terra d’Israele) di Sharon, era il suo Israele coraggiosamente determinato a decidere del proprio destino. Milioni brindarono a Sharon e alla riscossa del suo piccolo e valoroso paese dal vile attacco a sorpresa.

Dopo quella sconfitta militare degli arabi, i paesi confinanti con Israele non hanno più tentato di invadere direttamente lo Stato ebraico. Piuttosto, mentre il conflitto arabo-israeliano si trasformava gradatamente in conflitto israelo-palestinese, la tattica araba si spostava da quella degli eserciti a quella del terrorismo e della delegittimazione internazionale. Nel 1975, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la diffamante risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo (poi revocata nel 1991), l’approccio palestinese teso a globalizzare la guerra contro Israele era già decollato. Ancorando la lotta contro Israele alla più ampia lotta post-colonialista, puntando tutta l’attenzione sulle sofferenze palestinesi e sui controversi insediamenti israeliani nei territori (un tema ovviamente assente nella furiosa pubblicistica anti-israeliana dei decenni precedenti), si poteva far apparire Israele agli occhi del mondo come l’aggressore dei palestinesi, e non la vittima degli aggressori arabi. Israele, come si vede nelle recenti prese di posizione per il boicottaggio accademico, venne grottescamente dipinto come un fuorilegge internazionale, come l’ultimo Stato imperialista, colonialista e razzista, senza alcun riguardo per tutto ciò che smentisce quelle accuse: dai profondi legami degli ebrei con quella terra, al carattere anti-coloniale e di autodeterminazione nazionale del movimento sionista, alla natura democratica dello Stato d’Israele. Oggi lo Stato ebraico è diventato il bersaglio prediletto del bullismo delle élite radicali proprio come un tempo gli ebrei erano il bersaglio prediletto di bulli soltanto un po’ più rozzi.

Nella Valle del Giordano (2001)

Nella Valle del Giordano (2001)

Nel corso dei decenni, poi, il conflitto è diventato più complicato in parte anche a causa del contribuito dato da Sharon. L’ascesa al governo del Likud e il declino dei laburisti ha reso Israele molto meno popolare in Europa e nei paesi socialdemocratici. Gli insediamenti, da quello che erano all’inizio (avamposti di sicurezza creati lungo le linee di una futura separazione dai territori, in stile Piano Allon, più il ristabilimento di alcune comunità ebraiche come Kfar Etzion distrutte nel 1948), si sono trasformati nella creazione di avamposti ideologici spesso nel bel mezzo della popolazione palestinese: un sviluppo che si è rivelato profondamente divisivo. Inoltre, nella la guerra del 1982 in Libano contro l’Olp Sharon, come ministro della difesa forzò la mano arrivando fino a invadere Beirut, dove non seppe impedire le stragi di palestinesi a Sabra e Shatila per mano di arabi cristiani falangisti. Tutte mosse che hanno permesso agli accusatori di Israele di dipingere lo stato ebraico come un Golia contro il nuovo Davide palestinese. Ne derivò che, nel 2000, quando Arafat mortificò Bill Clinton ed Ehud Barak respingendo le loro serissime proposte di pace e riconducendo il suo popolo al peggior terrorismo, molti fuori da Israele ne incolparono gli stessi israeliani, e in particolare Sharon, anziché Arafat e la parte palestinese.

"Sharon il terrorista", vergato su un tratto della barriera difensiva che ha fermato i terroristi stragisti della seconda intifada

“Sharon il terrorista”, vergato su un tratto della barriera difensiva che ha fermato i terroristi stragisti della seconda intifada

Le ondate di attentati suicidi palestinesi che ne seguirono catapultarono Sharon al governo come primo ministro, nel marzo 2001. Ma solo un anno più tardi, a ben 18 mesi dell’inizio dell’intifada delle stragi, dopo che i terroristi avevano assassinato più di 130 israeliani nel solo mese di marzo – e dopo che gli attentati dell’11 settembre avevano contribuito a cambiare la percezione occidentale e la posizione politica americana – solo allora Sharon contrattaccò. L’offensiva militare “Scudo Difensivo” dell’aprile 2002 contro le centrali terroristiche nelle città della Cisgiordania riuscì finalmente a riportare la calma, ma fece di Sharon una figura odiata dai “pacifisti” internazionali e in tutto il mondo arabo.

Gli israeliani hanno fatto un errore madornale non celebrando quella vittoria di dieci anni fa sul terrorismo. Si meritavano fanfare e sfilate di vittoria per come avevano resistito e contrattaccato. E Sharon avrebbe dovuto essere glorificato per quello che aveva fatto. Come Giosuè seppe vedere “latte e miele” dove i suoi esploratori vedevano solo spaventosi giganti, così Sharon aveva mostrato agli israeliani – e a un mondo letteralmente terrorizzato – che le democrazie possano sconfiggere i terroristi.

Con Abu Mazen, a Sharm el Sheik (2005)

Costruendo una barriera di sicurezza e lanciando una controffensiva militare, Sharon mostrò come la sterzata palestinese dal negoziato al terrorismo avesse smentito le illusioni in cui si erano cullate sia la sinistra che la destra israeliane. Con la sua mossa finale, il disimpegno nell’estate del 2005 dalla striscia di Gaza e da una parte della Cisgiordania, mostrò che, se è vero che assecondare i terroristi palestinesi non avrebbe portato la pace, d’altra parte è anche vero che non si possono ignorare le aspirazioni dei palestinesi.

Coloro che considerano un fallimento il disimpegno da Gaza dimenticano troppo facilmente il pesante prezzo militare, umano e diplomatico che Israele pagava restando a Gaza: Sharon contribuì a tamponare quella emorragia.

È logico che il mezzo secolo trascorso da Ariel Sharon sulla ribalta della storia sia terminato lasciando nella confusione i suoi avversari, giacché lui non ha mai spiegato fino in fondo la sua nuova visione. Gli ictus che l’hanno colpito dopo il disimpegno hanno lasciato amici e nemici ad arrovellarsi su come avrebbe reagito alle prime ondate di razzi palestinesi da Gaza, al colpo di stato con cui Hamas vi ha preso il potere cacciando Fatah e alle altre sfide che nel frattempo si sono poste a cominciare dalle turbolenze in tutto il mondo arabo circostante.

Quello che ci insegna la carriera di Sharon è valorizzare le tattiche non convenzionali, le sagacia, le complessità e la necessità di un approccio pragmatico, non millenaristico. Non ci sarà pace finché i partigiani di tutti i versanti non saranno capaci di ammettere che la situazione ha tante dimensioni ed è dinamica, rendendosi conto che a volte i generali possono diventare statisti, i falchi possono essere i veri costruttori di pace, le ipotesi di vecchia data possono rivelarsi idee obsolete, i nemici possono diventare alleati o addirittura amici.

25 ottobre 2004: Sharon alla Knesset prepara il discorso per presentare il suo piano di disimpegno dalla striscia di Gaza

25 ottobre 2004: Sharon alla Knesset si appresta a tenere il discorso di presentazione del piano di disimpegno dalla striscia di Gaza

I zig-zag di Sharon sono la manifestazione e la conferma che il pragmatismo non messianico è stata la chiave del successo del sionismo. La maggior parte dei palestinesi rimane schiava di fantasie massimaliste e irrealistiche, condannandosi al fallimento. I sionisti hanno avuto successo affrontando e risolvendo i problemi senza perseguire una giustizia messianica, suprema e integrale, nemmeno dopo le mostruosità naziste. Questa ricerca di soluzioni realistiche, questa capacità di adattare l’ideologia alle nuove percezioni della realtà, è ciò che portò David Ben-Gurion ad accettare la spartizione dell’Onu del 1947, che portò Yitzhak Rabin alla scommessa di Oslo del 1993-95, che portò Ariel Sharon a rimandare i soldati nelle città di Cisgiordania nel 2002, a costruire una barriera di sicurezza fra Israele e palestinesi, ad abbandonare la striscia di Gaza.

Ariel Sharon non aveva il carisma di Bill Clinton, l’eloquenza di Ronald Reagan, la fermezza di principi di Menachem Begin, i sogni visionari di Theodor Herzl. Ma “Arik” era la personificazione stessa della personalità del “sabra” israeliano coraggioso, capace di improvvisare, pratico e fiducioso.

Tutti noi che auspichiamo la pace e aborriamo il terrorismo dovremmo essere grati al grandioso sionismo pragmatico di Ariel Sharon, di ampio respiro e dal piglio sicuro.

(Da: Jerusalem Post, 7.1.14)