Il vero ostacolo alla pace è lo stesso da 64 anni

Gli errori di giudizio sono la caratteristica costante dei dirigenti palestinesi nella storia del conflitto.

Di Kenneth Bandler

image_3286La via d’uscita del conflitto israelo-palestinese rimane la stessa oggi come all’epoca in cui venne proposta per la prima volta la soluzione basata su due stati, nel novembre di 64 anni fa, quando la dirigenza ebraica colse l’occasione di creare Israele. Tragicamente, palestinesi e mondo arabo rifiutarono sbrigativamente il piano di spartizione dell’Onu. Eppure quell’approccio originario inteso a creare due stati, uno ebraico e uno arabo, dura ancora oggi perché rimane l’opzione più praticabile per una duratura pace israelo-palestinese.
A causa, fra gli altri fattori, della geografia, israeliani e palestinesi sono destinati a vivere fianco a fianco. Di necessità hanno già trovato il modo di condividere le risorse idriche e l’energia elettrica, e potenzialmente potrebbero allargare di molto la cooperazione economica una volta raggiunto un accordo di pace definitivo.
Il processo di pace arabo-israeliano è da tempo carico di sconfortanti problemi, ma nessuno di essi è tanto insormontabile da dissuadere coloro che vivono nella regione. Gli israeliani non hanno mai perso la speranza, né devono perderla gli ebrei all’estero. Dopotutto Israele prese il controllo su Cisgiordania e striscia di Gaza nel 1967 come conseguenza non intenzionale di una guerra difensiva. Se le nazioni arabe avessero scelto di negoziare con Israele ai tempi del summit di Khartoum, anziché pubblicare la loro famigerata dichiarazione dei “tre no” (“no al negoziato, no al riconoscimento, no alla pace con Israele”), si sarebbe potuto fare uno scambio di territori per la pace già trenta o quarant’anni fa, sulla base delle risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Non si parlava, nel 1967, di creare uno stato palestinese. Certamente non ne parlava l’Egitto, che aveva governato con durezza la striscia di Gaza dopo essersi impossessato di quel territorio durante la guerra arabo-israeliana del 1948. La Giordania, dal canto suo, aveva occupato la Cisgiordania e Gerusalemme est. Ma quando l’Egitto, nel 1979, e la Giordania, nel 1994, firmarono i loro storici trattati di pace con Israele, i contorni di fondo di un possibile stato palestinese iniziarono a prendere forma. L’Egitto non volle indietro Gaza. La Giordania a sua volta lasciò cadere ogni rivendicazione sulla Cisgiordania e su Gerusalemme est. Israele si trovò di fronte alla scelta di continuare con l’occupazione di un altro popolo ad infinitum, o trasferire d’autorità la popolazione palestinese per mantenere il controllo sui territori conquistati, oppure negoziare un accordo di pace globale in base al quale la striscia di Gaza e la maggior parte della Cisgiordania diventassero uno stato palestinese. I leader di tutto l’arco politico israeliano hanno da tempo riconosciuto che governare sui palestinesi non è auspicabile per una serie di ragioni morali e di sicurezza, e per il fatto che ciò non garantirebbe una maggioranza ebraica nella patria del popolo ebraico.
Il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin riconobbe queste realtà di lungo periodo quando firmò gli accordi di Oslo nel 1993, stabilendo con essi il quadro negoziale per una futura soluzione negoziata a due stati. Quattro primi ministri israeliani successivi – Ehud Barak, Ariel Sharon, Ehud Olmert e Benjamin Netanyahu – hanno dichiarato il loro impegno ad arrivare a una pace basata sulla creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele. Barak nel 2000 offrì una composizione di vasta portata che includeva nello stato palestinese tutta la striscia di Gaza, gran parte della Cisgiordania e i quartieri arabi di Gerusalemme. Sebbene Yasser Arafat abbia risposto con l’intifada, il governo Barak ha dimostrato fin dove era pronto a spingersi Israele. Successivamente Sharon ritirò tutti i civili e militari israeliani dalla striscia di Gaza (2005), trasferendo quel territorio all’Autorità Palestinese. I palestinesi non colsero l’occasione per iniziare a gettare le fondamenta di un futuro stato, ed anzi il colpo di stato di Hamas non fece che aggravare le minacce contro Israele. Ma anche il gesto di Sharon ha dimostrato l’impegno di Israele ad optare per misure concrete, anche a proprio rischio e pericolo, pur di muovere verso la pace. A causa del devastante ictus che lo ha colpito, non sapremo mai fin dove si sarebbe spinto Sharon, anche se sappiamo che progettava di negoziare lo status futuro della Cisgiordania. Ehud Olmert, il suo successore, ha continuato a perseguire la pace attraverso negoziati diretti ed ha offerto ai palestinesi un accordo sulla Cisgiordania simile a quello presentato da Barak otto anni prima. Lo scorso settembre, parlando all’Assemblea Generale dell’Onu, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele sarà “il primo paese ad accogliere uno stato palestinese come nuovo membro delle Nazioni Unite” dopo che i palestinesi avranno firmato un trattato di pace con Israele.
Quella che manca, dunque, è la volontà della dirigenza palestinese di chiudere l’accordo. Il persistente rifiuto del presidente Abu Mazen di tornare alle trattative con Israele da lui abbandonate rimane l’ostacolo più preoccupante e penoso per tutti coloro che desiderano davvero la pace. È interessante notare che la scorsa settimana Abu Mazen ha dichiarato al Canale Due della tv israeliana che il rifiuto palestinese del piano di spartizione dell’Onu del 1947 fu “un errore”. Gli errori di giudizio sembrano essere una caratteristica costante dell’approccio dei dirigenti palestinesi nel corso di tutta la storia del conflitto.
Ora più che mai il Medio Oriente è una potenziale polveriera. La direzione incerta delle rivolte nel mondo arabo e la minaccia sempre presente del nucleare iraniano rendono imperativo che israeliani e palestinesi trovino il modo di risolvere insieme il loro conflitto. Non si può rinunciare alla speranza. Certamente non vi rinunceranno gli israeliani.

(Da: Jerusalem Post, 1.11.11)

Nella foto in alto: Kenneth Bandler, autore di questo articolo

Si veda anche:

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